Facebook

Facebook: che ci facciamo sul famoso social network?

Facebook: che ci facciamo sul famoso social network?

C’è chi è presente già da qualche anno, chi lo ha scoperto da poco, certo è che nessuno può dire di non aver mai sentito parlare di Facebook.
Il social network più popolare del globo ha di fatto creato un modo diverso di comunicare e di condividere il proprio mondo con l’esterno.

Potremmo dire che è democratico come la pioggia che bagna tutti, e -salvo bannaggi sulla cui discrezionalità è impossibile (pare) sindacare- consente a ciascuno di presentare se stesso, o l’alias che più piace.
Meno complesso di Second Life, risulta più immediato e fruibile che l’utente vada alla scuola dell’obbligo o sia da tempo nell’età della quiescenza.
La possibilità di aumentare la propria superficie di contatto attraverso ciò che viene americanamente assunta come “amicizia” ma che nel contesto europeo potremmo definire meglio come “contatto di conoscenza” fa poi perdere in un mare magnum la solitudine che da sempre attanaglia l’uomo. Ma ahinoi non la risolve……
Non ci trastulleremo a classificare in una simpatica tassonometria gli utenti che si affollano, o le conseguenze semi-drammatiche che si possono generare: è ormai da qualche tempo che nelle cause di separazione giungono sul tavolo del giudice pagine e pagine stampate di contatti “extra-territoriali” a riprova di infedeltà consumate o immaginate come tali.
Ma possiamo, sulla base di considerazioni empiriche, soffermarci sulle probabili attese che genera la frequentazione di un siffatto social network.
Potremmo parlare dell’uso politico, cioè dell’utilizzo della rete FB per far conoscere orientamenti, analisi, critiche, denunce e iniziative politiche, o per promuovere vere e proprie campagne elettorali.
L’espressione del 
quindi non è personalizzata ma si scherma dietro a comunicati politici, e sociologici. L’attesa quindi è quella di fare informazione politica, o almeno ingenerare riflessioni.

Per altri è un modo per condividere la propria arte, il proprio sapere, la propria cultura sottoponendo a verifica pubblica il gradimento della propria competenza, o quantomeno per il piacere di far conoscere nicchie culturali, che si presume siano, semi-sconosciute.
Per altri ancora rappresenta una sorta di diario pubblico, sorta di cronaca più o meno emozionale, che pare però più orientato a far conoscere sè stessi. E qui possiamo osservare una peculiarità del mezzo.

 Infatti la presentazione del soggetto, agli “amici”(nell’accezione suindicata) o al mondo, non necessariamente deve corrispondere alla vera identità personale.
Anzi: la virtualità del mezzo telematico consente una sorta di alter ego, consapevole o meno.
È possibile infatti esprimere ciò che vorremmo essere o ciò che vorremmo che gli altri pensassero di noi.
Quanto ci sia di consapevole non è dato saperlo, e forse non è neppur giusto analizzarlo in questa riflessione che, ribadiamo, è solo frutto di una valutazione empirica ed ovviamente opinabile.
Ciò che siamo o che vogliamo apparire (con buona pace dei relativi trattati), anche in forme alterate, è pur sempre lo specchio di noi.
Non a caso vanno per la maggiore pagine dedicate agli aforismi, alle frasi d’effetto, a vignette, battute a caratteri cubitali, foto esotiche, personaggi famosi.
Un vero supermarket del prêt-à-porter, dove è possibile con un click illustrare il proprio stato d’animo, senza sforzo e soprattutto senza ricerca. A volte con risultati esilaranti (per chi legge) ma nella maggior parte delle volte evoca la “sensazione” di una limitatezza nell’espressione di contenuti, che può essere indice della difficoltà di chi ‘posta’ di esporsi direttamente.
Una solitudine quindi che si maschera dietro ad una massificazione (e banalizzazione?) delle emozioni, che risultano -a quel punto- facilmente condivisibili e riconosciute

 Patrizia Turchi

 

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