Ex OCV: area maxi, ma lavoro per pochi
Vado Ligure Demolizione dei capannoni ex Ocv
AREA MAXI, MA LAVORO PER POCHI
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Iniziata l’opera di demolizione dei capannoni ex Ocv:
in un sito da 100.mila mq ora solo una decina di addetti
AREA MAXI, MA LAVORO PER POCHI
Amatiello (Cgil) durissimo: “Perché le aree date alla logistica e non ad attività manifatturiere? Il Comune dov’è?
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Centomila metri quadrati d’area per una decina scarsa di lavoratori: in tempi di crisi accade anche questo. È il caso dell’ex Ocv a Vado Ligure ora occupata da tre società, dopo la delocalizzazione dell’azienda. in Francia a Chambery. E che resta dei capannoni che solo pochi anni fa davano lavoro a oltre 160 dipendenti? La risposta è semplice: poco o niente visto che da qualche settimana sono iniziati i lavori di demolizione per far spazio a un parcheggio per mezzi pesanti. E le promesse di nuova occupazione da parte del Comune di Vado Ligure che aveva definito l’area Ocv come “strategica per l’insediamento di nuove aziende”? Parole al vento, almeno al momento. Infatti se in tempi recenti l’assessore alle infrastrutture del Comune di Vado Ligure Ennio Rossi aveva rassicurato un po’ tutti dando per certo l’arrivo di nuovi investitori, la situazione attuale non è così rosea come da previsioni. E neppure i lavori per la futura Piattaforma Maersk sembrano attirare nelle aree vadesi nuove aziende. “Il fatto di avere dieci lavoratori in uno spazio così esteso come quello dell’ex Ocv rappresenta una sconfitta per tutto un territorio tradizionalmente foriero di lavoro e occupazione – afferma Tino Amatiello, segretario generale Filctem Cgil di Savona – gli spazi liberi per poter fare industria a Vado Ligure di certo non mancano, anche quella della Giuntini è ancora libera, ciò che manca è la volontà di investire qui e in questo senso anche la politica locale deve recitare un grosso mea culpa”. Dito puntato sull’amministrazione comunale di Vado Ligure, giunta Giuliano che, secondo i sindacati, non è riuscita a far ripartire l’occupazione recitando un ruolo marginale nelle trattative tra nuovi investitori e proprietari dell’area -ex Ocv. Inoltre non è andato a buon fine nemmeno i’ arrivo in terra vadese della società Remacut, specializzata nella progettazione è fabbricazione di macchinari per impieghi speciali nell’industria petrolchimica, e sono così sfumati altri sessanta posti di lavoro più altrettanti stimati nell’attività legate all’indotto. “Ancora una volta siamo rimasti con il cero in mano, questa è l’ennesima occasione persa per un territorio già in forte sofferenza – riprende Amatiello – la domanda spontanea è: perché le aree ex Ocv sono state date alla logistica e non alle attività manufatturiere? Il Comune in tutta questa vicenda dove è?”. Il paradosso è che non solo i dipendenti delle aziende che operano negli spazi ex Ocv sono sotto le dieci unità, ma l’area è occupata già per una porzione pari alla metà dello spazio complessivo. E la recente demolizione da parte di alcuni capannoni per far posto a un parcheggio richiesto dalla ditta Marenzana dimostra come al momento l’aspetto logistico sia predominante su quello della produzione che potrebbe portare a nuova occupazione. “Si era parlato di attività di marketing territoriale ma poi le parole non si sono mai tradotte in fatti – conclude il segretario savonese Filctem – non a caso aziende potenzialmente interessate a operare come Zinox e la stessa Remacut hanno scelto di andare altrove. La situazione è paradossale, non possiamo prendercela neppure con i proprietari delle aree, loro hanno solo interesse a vendere, non importa se ad attività che possano portare nuova occupazione o ad aziende interessate a costruire parcheggi, la necessità è solo quella di vendere. Non possiamo più stare a guardare, dobbiamo sederci tutti intorno a un tavolo e invertire la rotta”.
“TRASFERITO IN FRANCIA, COSI’ LA MIA VITA E’ CAMBIATA A 50 ANNI”
Quando l’Ocv di Vado Ligure ha chiuso nel 2012 c’è qualcuno che si è subito rimboccato le maniche e si è dato da fare. E quando ha capito che le opportunità di lavoro nel savonese erano pari a zero non ci è pensato su e ha accettato il trasferimento nell’alta Savoia, in Francia. Sono passati oramai tre anni dalla prima volta che dieci ex dipendenti vadesi hanno messo piede per la prima volta a Chambery. All’inizio per molti di loro l’adattamento è stato duro: senza famiglia e amici, senza conoscere la lingua, senza troppe certezze per il futuro. Però la voglia di rivincita è stata più forte di tutto e di tutti. “La chiusura dell’Ocv a Vado Ligure è una ferita che non si è ancora rimarginata – giurano gli operai che hanno accettato il trasferimento in Francia – soprattutto perché è arrivata inaspettata, come un fulmine a ciel sereno”. Quel giugno del 2012 sarà un mese che rimarrà impresso nella mente di molti vadesi e savonesi: nonostante la dura scorza dell’operaio abituato a sudare in fabbrica, ricordare quei momenti fa venire gli occhi lucidi ai dipendenti che hanno subìto la perdita del lavoro. Ma oramai la scelta di una seconda vita in Francia è stata fatta, non c’è tempo per voltarsi indietro e sfogliare nostalgicamente l’album dei ricordi. Nel frattempo, però, qualcuno si è pentito per aver accettato il trasferimento in Alta Savoia per il solo bisogno di lavorare e sentirsi appagato come dipendente e come uomo? “Rifaremmo quello che abbiamo fatto perché in Italia per un cinquantenne è praticamente impossibile trovare lavoro – sostiene Emilio Lottero, uno dei primi a partire – la decisione è stata sofferta, non lo nascondo, perché separarmi da: mia moglie è stata la cosa più dura. Vederci una volta al mese, quando va bene, non è la stessa cosa che vivere la quotidianità con la persona che ami. Qui piano piano ci stiamo integrando e il pensiero spesso va a Vado Ligure, dove ho lasciato il cuore. Sapere che la fabbrica dove ho lavorato per anni adesso è una cattedrale nel deserto fa molto male moralmente, è ancora oggi un pugno nello stomaco”. Come detto, però, occorre guardare avanti, perché la vita prosegue nonostante tutte le difficoltà. E ora dopo un primo periodo di ambientamento e di spirito di solidarietà reciproca, la lingua francese non fa più paura. Così ognuno si ritaglia i propri spazi. Il residence iniziale non è più la base comune dove vivere. Qualcuno ha convinto la moglie ad un trasferimento definitivo in terra francese, qualcuno ha affittato un appartamentino mentre gli ultimi arrivati trascorrono gran parte della giornata insieme condividendo uno spazio. Se gli affitti si sistemano, più difficile è invece il rapporto con gli affetti. Famiglia, amici, parenti. La distanza c’è, i chilometri si sentono: oggi la tecnologia aiuta per fortuna, ma non basta. Un conto è chiacchierare su Skype, un altro è tornare a casa e abbracciare la propria moglie dopo una dura giornata di lavoro. Gli emigrati della Ocv però se lo ripetono “bisogna andare avanti”. La situazione economica lo richiede, una dura e cinica esigenza che deve essere soddisfatta. E tutto spesso per il bene della famiglia, proprio quella oggi lontana. Così trascorre la vita per dieci italiani emigrati in Francia divisi tra le speranze per un futuro più sereno e un passato che ogni tanto torna a presentare il conto. Addio Vado o, forse, solo arrivederci. Quando l’Ocv di Vado Ligure ha chiuso nel 2012 c’è qualcuno che si è subito rimboccato le maniche e si è . dato da fare. E quando ha capito che le opportunità di lavoro nel savonese erano pari a zero non ci è pensato su e ha accettato il trasferimento nell’alta Savoia, in Francia. Sono passati oramai tre anni dalla prima volta che dieci ex dipendenti vadesi hanno messo piede per la prima volta a Chambery. All’inizio per molti di loro l’adattamento è stato duro: senza famiglia e amici, senza conoscere la lingua, senza troppe certezze per il futuro. Però la voglia di rivincita è stata più forte di tutto e di tutti. “La chiusura dell’Ocv a Vado Ligure è una ferita che non si è ancora rimarginata – giurano gli operai che hanno accettato il trasferimento in Francia – soprattutto perché è arrivata inaspettata, come un fulmine a ciel sereno”. Quel giugno del 2012 sarà un mese che rimarrà impresso nella mente di molti vadesi e savonesi: nonostante la dura scorza dell’operaio abituato a sudare in fabbrica, ricordare quei momenti fa venire gli occhi lucidi ai dipendenti che hanno subìto la perdita del lavoro. Ma oramai la scelta di una seconda vita in Francia è stata fatta, non c’è tempo per voltarsi indietro e sfogliare nostalgicamente l’album dei ricordi. Nel frattempo, però, qualcuno si è pentito per aver accettato il trasferimento in Alta Savoia per il solo bisogno di lavorare e sentirsi appagato come dipendente e come uomo? “Rifaremmo quello che abbiamo fatto perché in Italia per un cinquantenne è praticamente impossibile trovare lavoro – sostiene Emilio Lottero, uno dei primi a partire – la decisione è stata sofferta, non lo nascondo, perché separarmi da: mia moglie è stata la cosa più dura. Vederci una volta al mese, quando va bene, non è la stessa cosa che vivere la quotidianità con la persona che ami. Qui piano piano ci stiamo integrando e il pensiero spesso va a Vado Ligure, dove ho lasciato il cuore. Sapere che la fabbrica dove ho lavorato per anni adesso è una cattedrale nel deserto fa molto male moralmente, è ancora oggi un pugno nello stomaco”. Come detto, però, occorre guardare avanti, perché la vita prosegue nonostante tutte le difficoltà. E ora dopo un primo periodo di ambientamento e di spirito di solidarietà reciproca, la lingua francese non fa più paura. Così ognuno si ritaglia i propri spazi. Il residence iniziale non è più la base comune dove vivere. Qualcuno ha convinto la moglie ad un trasferimento definitivo in terra francese, qualcuno ha affittato un appartamentino mentre gli ultimi arrivati trascorrono gran parte della giornata insieme condividendo uno spazio. Se gli affitti si sistemano, più difficile è invece il rapporto con gli affetti. Famiglia, amici, parenti. La distanza c’è, i chilometri si sentono: oggi la tecnologia aiuta per fortuna, ma non basta. Un conto è chiacchierare su Skype, un altro è tornare a casa e abbracciare la propria moglie dopo una dura giornata di lavoro. Gli emigrati della Ocv però se lo ripetono “bisogna andare avanti”. La situazione economica lo richiede, una dura e cinica esigenza che deve essere soddisfatta. E tutto spesso per il bene della famiglia, proprio quella oggi lontana. Così trascorre la vita per dieci italiani emigrati in Francia divisi tra le speranze per un futuro più sereno e un passato che ogni tanto torna a presentare il conto. Addio Vado o, forse, solo arrivederci.
ANDREA GHIAZZA da IL LETIMBRO
Tra qualche giorno in edicola il numero di dicembre de Il Letimbro |