Etica

ETICA PUBBLICA
ED ETICA PRIVATA OGGI
A Vittorio Arrigoni in memoriam

ETICA PUBBLICA
ED ETICA PRIVATA OGGI
A Vittorio Arrigoni in memoriam

Prima di tutto converrà definire il più accuratamente possibile i termini del nostro discorso; che cosa intendiamo con l’espressione “etica pubblica”? E come è possibile, o è corretto  distinguerla da quella “privata”? Non si tratta di una questione solo terminologica ma comporta  la scelta di un atteggiamento che ha a che fare proprio con il nostro tema, ed è scelta rivelativa di un modo di pensare e quindi di agire in base a certi valori piuttosto che a certi altri.

Se definissimo, ad esempio, l’etica pubblica come “la forma di autocomprensione critica e collettiva , che gli individui, e la società tramite loro, basano su principi filosofici di natura morale” (S. Maffettone) porremmo l’accento sull’aspetto cognitivo e su quello sociale dell’etica, ma poi dovremmo ancora spiegare su quali  principi filosofici di natura morale fondiamo la nostra autocomprensione,  e la definizione rischierebbe di riuscire più complicata  del concetto da definire. Più semplice all’apparenza è la definizione dell’etica privata come la facoltà di ognuno di comportarsi, nella sua intimità, come meglio crede, secondo i suoi propri principi, ovviamente entro i limiti stabiliti dalla legge. Ma, come è noto, questi limiti non sono sempre gli stessi ovunque e in ogni tempo, e possono cambiare, appunto, come le leggi che segnano i mutevoli confini tra il lecito e l’illecito in una determinata società, quindi anche in una determinata comunità linguistica; e potrebbe persino verificarsi il caso che io consideri i miei principi sacri e inviolabili anche se contrari a qualche articolo del Codice in vigore nello Stato di cui sono cittadino, o a qualche legge positiva della polis a cui appartengo (Antigone di Sofocle); quindi neanche questa definizione  è completa ed esauriente. Inoltre, chi stabilisce dove e quando  l’etica privata finisce e dove e quando comincia l’etica pubblica? La questione ha tenuto con il fiato sospeso, all’inizio dell’età moderna e in concomitanza al costituirsi dello Stato assoluto  teorizzato da Bodin e da Hobbes, gesuiti e libertini,  apologeti del diritto divino dei sovrani e sostenitori dell’origine umana delle leggi e della distinzione tra morale, diritto e politica.
Vittorio Arrigoni

Per Ugo Grozio, ad esempio, ogni appartenente alla specie umana è titolare di diritti naturali inalienabili che non possono essere revocati da nessun comando del sovrano o legge positiva, in quanto diritti razionalmente giusti che rimarrebbero tali etsi Deus non daretur (anche se Dio non fosse). Una netta distinzione tra moralità e giurisprudenza la troviamo in Samuel Pufendorf, che distingue tra legge divina, che riguarda la vita ultraterrena,  diritto positivo, che è creazione umana e riguarda la vita terrena e  le azioni esterne, e moralità. che  riguarda invece le azioni interne o la “coscienza” di ciascuno.

Su questa base, il preillumista tedesco Christian Thomasius delinea con precisione gli ambiti della morale, del diritto e della sfera pubblica; nell’opera Fundamenta juris naturae et gentium del 1705; egli, premesso che ogni uomo tende alla felicità e che  è impossibile essere felici senza la pace interiore, e che questa non si dà senza la pace esterna, distingue tre ambiti dell’agire propriamente umano, denominandoli, sulla traccia del De officiis di Cicerone: l’honestum, il justum, e il decorum.

 L’onesto riguarda la moralità individuale, e precisamente il rapporto di ciascuno con se medesimo e ha come sua massima costitutiva “fai a te stesso quello che vorresti che gli altri facessero a te”; il giusto riguarda l’agire sociale e quindi il rapporto tra sé e gli altri; è l’ambito del diritto, la cui massima è “non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facessero a te”; infine il decoro riguarda – o dovrebbe riguardare – la politica e l’etica pubblica, la cui massima è – o dovrebbe essere “fai agli altri quello che vorresti che gli altri facessero a te”. Di queste distinzioni terrà conto la Metafisica del costumi (1797) di Immanuel Kant, ma per andare oltre e delineare  una Dottrina del diritto valida per tutta l’umanità e una Dottrina dei doveri o della virtù fondata sull’universalità della ragione pratica.  Ai giorni nostri, con il termine “pubblico” intendiamo , come spiega il giurista Sergio Cotta, “l’area degli interessi, finalità e attività propri di una determinata collettività politica. Questa area di interessi e l’armatura istituzionale in cui si esprime variano secondo i tempi,e le circostanze culturali e materiali. Tuttavia entrambe, con la collettività anch’essa storica da loro definita, affondano le radici in una situazione umana primaria che ne costituisce il fondamento e ne offre la giustificazione esistenziale prima che politico-istituzionale.”

 

Questo significa che veniamo al mondo in un mondo già bene (o male) formato, strutturato, organizzato e pre-costituito. Ma se il mondo, o meglio, la società nella quale nasciamo è strutturata e organizzata, ogni nuovo arrivato ha bisogno di un periodo più o meno lungo di apprendistato per imparare “a stare al mondo”. In altri termini, ogni nuovo “io” entra a far parte di un preesistente “noi”. Scrive Sergio Cotta che “ogni collettività politica nasce sulla base di un tessuto umano formato da un intreccio di relazioni interindividuali più o meno intenso e più o meno esteso, ma in ogni caso dotato d’una certa stabilità e durata. Più ancora che di di cose e di beni, questo intreccio interrelazionale si sostanzia di messaggi, simboli, significati che circolano per la familiarità e la comunanza nel vivere d’un certo numero di persone: di un dato ‘noi’, per riprendere liberamente l’efficace termine di Gurvitch.”  Ora questo noi che cos’è? E’ il fondamento, la ragion d’essere umana della collettività politica, e quindi della dimensione del pubblico: “rispetto a codesto noi pubblico, il privato si definisce come la sfera degli interessi, finalità e attività di un io.” Cioè di ognuno, di ogni soggetto o persona che fa parte del noi. Senonché ogni io è diverso da ogni altro “sotto il profilo sia genetico che psicosomatico, sia intellettuale che spirituale. Sarebbe pertanto del tutto incomprensibile pensare che la globale individualità dell’io non desse luogo a quella sfera di interessi, attività ecc. che usiamo chiamare ‘privata’. “Dunque i soggetti, le singole persone con i loro particulari si trovano al polo opposto del noi della sua comunanza? Per niente: “sul piano esistenziale, l’io nasce e si forma entro un noi: nasce non solo in una famiglia, ma entro un clan, una tribù, una etnia, una nazione o come si voglia e ne riceve come originari mezzi espressivi il dialetto o la lingua, i costumi, le credenze, i valori. Fin dalla sua nascita l’identità individuale è coniugata con una vera e propria identità sovraindividuale – quella appunto del noi di appartenenza – la quale è presente costitutivamente nel suo essere quell’individuo e quindi orienta anche il suo dover essere, il suo sviluppo secondo valori”. Quali valori? E’ chiaro che, se ognuno è diverso per profilo genetico, psicosomatico, intellettuale e spirituale, lo sarà anche sotto quello valoriale, cioè etico. Questo significa che, data la libertà costitutiva di ogni persona in quanto tale, i miei valori mi assomiglieranno, anzi, mi identificheranno distinguendomi e, magari, in certi casi, opponendomi ad altre persone o ad altri “noi”. E qui si apre la questione del relativismo o del “politeismo dei valori”, questione cruciale nell’etica, e non solo in quella contemporanea: è possibile riferirsi a un ordine gerarchico indiscusso e indiscutibile di valori se ognuno ha la propria scala valoriale, e questa scala vale quanto quella di chiunque altro? Uno degli ultimi paragrafi del saggio su La questione morale

di Roberta De Monticelli, intitolato significativamente “Ethos, una questione di vita e di morte” . L’autrice si chiede se ci sono buone ragioni per essere pluralisti, nel senso del politeismo valoriale: sì, ci sono buone ragioni, e sono le ragioni della libertà, di tutte le libertà, da quella negativa  a quella positiva, da quella interiore  a quella politica, civile, economica ecc.; insomma le libertà dichiarate e difese dalle moderne Costituzioni liberaldemocratiche. Senonché le libertà non basta dichiararle, se non le si esercitano è come se non ci fossero: è qui la differenza tra l’essere (e il sentirsi) sudditi e l’ essere (e il sentirsi) cittadini; ed è anche la differenza tra chi è eticamente e civilmente adulto e chi ancora deve raggiungere, o meglio, conquistarsi la propria autonomia interiore. Per fare che cosa? Per fiorire liberamente, ciascuno nei modi e con i talenti suoi propri, ma nel rispetto della libertà e dei talenti altrui, nel senso della fedeltà a quei valori per i quali viviamo, e per i quali,  se è il caso, come dice il nostro inno nazionale, “siam pronti alla morte”, non al compromesso. Eh sì, il cammino verso l’attuazione della libertà, della pace perpetua e della ragione pratica universale per tutta l’umanità è ancora lungo…………….

 Fulvio Sguerso

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