DEMOCRAZIA

Siamo in una vera o finta democrazia?
DEMOCRAZIA DI NOME E OLIGARCHIA DI FATTO

 Siamo in una vera o finta democrazia?

DEMOCRAZIA DI NOME E OLIGARCHIA DI FATTO 

 “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Nel primo articolo della Legge fondamentale tuttora vigente (anche se non del tutto e da tutti letta, riconosciuta e onorata nella pratica quotidiana) viene chiaramente definito l’ordinamento democratico rappresentativo del nostro Stato repubblicano.

Democrazia rappresentativa significa che la stessa “sovranità popolare” non è illimitata o totalitaria, ma contenuta e regolata entro il sistema giuridico disegnato dalla Costituzione medesima; che prevede, è vero, anche un istituto di democrazia diretta come il referendum, ma solo per abrogare una legge esistente o per confermare una legge di revisione costituzionale. E tuttavia, una volta stabilite le procedure formali per l’esercizio effettivo della sovranità popolare, non è detto che si realizzi anche una democrazia sostanziale. Questa evenienza era ben presente ai padri costituenti, i quali vollero dichiarare e statuire nei successivi articoli il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo (e della donna), e richiesero anche a ciascuno l’adempimento di quegli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale che legano – o dovrebbero legare –  tra loro gli appartenenti a una comunità civile. Fondamentale, ai fini della realizzazione di una democrazia sostanziale, è l’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge…”. Con tutto quel che segue e ne consegue. Ora non occorre un particolare acume o una superspecializzazione in scienze sociali per constatare che una vera e sostanziale democrazia è ancora di là da venire, e chissà se mai la vedremo un giorno realizzata. Quello che effettivamente vediamo è ancora, come sempre, il dominio di una minoranza opulenta su una maggioranza (una massa) di “dipendenti”, di clienti, di utenti, di consumatori, di elettori ed elettrici illusi di partecipare, sia pure in parte infinitesima, alle decisioni che li riguardano.

 
Non per niente aumenta, di tornata in tornata, il cosiddetto “partito del non voto”. Ma non intendo aggiungere un altro cahier de doléances a quelli già in circolazione, o portare un secchio d’acqua alla truppa antipolitica e demagogica di un Beppe Grillo (il quale combatte il sistema con le armi del sistema e facendo di ogni erba un fascio); no, non credo che  il  populismo mediatico berlusconiano sia debellabile con altri populismi mediatici, in ogni caso minori e perciò perdenti.
La questione, bisogna riconoscerlo, l’avevano  posta, nei suoi termini più esatti e radicali, i vescovi italiani nel documento “Per un Paese solidale. Chiesa  italiana e Mezzogiorno”(21 febbraio 2010); e l’avevano posta come emergenza educativa, etica, economica e, udite bene, “democratica”. Che cosa dicevano  i vescovi?  Quello che avevano pensato e persino scritto gli obsoleti Padri costituenti: “Libertà e verità, e dunque giustizia e moralità, sono tra le condizioni necessarie di una vera democrazia, fondata sull’affermazione della dignità della persona e delle soggettività  della società civile. Non è possibile mobilitare il Mezzogiorno senza che esso si liberi da quelle catene che non gli permettono di sprigionare le proprie energie…La criminalità organizzata non può e non deve dettare i tempi e i ritmi dell’economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese, perché il controllo malavitoso del territorio porta di fatto a una forte limitazione, se non addirittura all’esautoramento, dell’autorità dello Stato e degli enti pubblici, favorendo l’incremento della corruzione, della collusione e della concussione, alterando il mercato del lavoro, manipolando gli appalti, interferendo nelle scelte urbanistiche e nel sistema delle autorizzazioni e concessioni, contaminando così l’intero territorio nazionale”. Non solo il Mezzogiorno, dunque, ma l’intero territorio nazionale (come ha voluto puntualizzare monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, a scanso di fraintendimenti). Che dire d’altro? Extra Ecclesiam nulla Salus? Peccato che i vescovi e lo stesso Papa denuncino solo i peccati senza mai nominare i peccatori, permettendo così a questi ultimi di fingere di non capire o, se interpellati, di escludere ogni riferimento alla propria persona (lità), allontanando da sé e indirizzando, caso mai, su altri le censure episcopali e le ammonizioni petrine.

 

FULVIO SGUERSO 

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