Dalla ‘bagna cauda’ alla ‘sbira’ o trippa alla genovese

La sbira

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Due piatti poveri assurti, specie la prima, ai tavoli dei ristoranti, diciamo, moderni ma limitati all’area piemontese, e, la seconda, in versione ben meno ‘semplice’ dell’originale, nel genovesato e località limitrofe.
Stiamo alla ‘sbira, che non sappiamo quanti, pure a Genova, conoscano, oltre al piatto tipico, l’origine del termine, da ‘sbirro’. Si deve risalire al 1479, quando dall’Oratorio di Sant’Antonio, detto dei ‘Birri’, uscivano quelli che di mestiere avrebbero fatto le guardie carcerarie che custodivano i prigionieri della Repubblica di Genova, soprannominati appunto ‘sbirri’.
Zuppa dei poveri – la stessa che veniva somministrata negli ultimi giorni ai condannati a morte – nata da chi non poteva permettersi di più, ma allo stesso tempo calda e ipercalorica per sopportare il lavoro al freddo, cucinata in modo semplice e rapido, con pane raffermo, brodo di trippa e trippa lessa, sale e pepe, che veniva servito in bettole e osterie fino a notte tarda.
Nel corso del tempo, però, la ‘sbira’ si è arricchita di altri ingredienti – sedano, alloro, cipolle, funghi, grana grattuggiato, ecc. – che la rendono un piatto denso e saporito.
Al suo maschile, ‘sbiro’, in genovese significa: gaglioffo, furbastro, poco raccomandabile.

da A Civetta



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