Considerazioni sul concetto di “valore”.
IL VALORE DEI VALORI |
IL VALORE DEI VALORI |
Non passa giorno senza che non sentiamo qualche personaggio o qualche “comparsa” sul proscenio della vita pubblica o qualche gazzettiere al servizio di questo o di quel potentato politico od economico, disputare e discettare sui valori – più o meno negoziabili -, ora per lamentarne la mancanza , ora per rivendicarne e ostentarne il possesso e la difesa. |
E nondimeno, se chiedessimo a chi non sembra vivere che per i valori, di specificarne l’esatto significato, noteremmo un certo qual imbarazzo, e pour cause, dato che il discorso sui valori è tutt’altro che univoco, basti pensare alla varietà di significati che il termine è venuto assumendo nel corso dell’ ultimo secolo; lo Zingarelli ne enumera addirittura sedici: si va dal significato economico a quello etico a quello estetico a quello matematico a quello nutritivo, ecc. Ma è evidente che il significato che qui ci interessa (termine scelto non a caso) è quello che potremmo indicare con l’espressione “qualità positiva”. Già, ma se ora provassimo a specificare meglio che cosa intendiamo per “qualità positiva” ci troveremmo di nuovo in alto mare, dal momento che una qualità può essere considerata positiva da qualcuno e negativa da qualcun altro, oppure positiva in determinate circostanze e negativa in altre, o positiva in un’epoca, in una cultura, in una comunità, in un gruppo o persino in una famiglia; ma non in un’altra epoca, in un’altra cultura, in un’altra comunità o famiglia, ecc. Esempi: il commercio e il guadagno per la nobiltà feudale e per la borghesia comunale; il risparmio in una società rurale e puritana e in una società consumistica di massa; la fedeltà coniugale per un calvinista e per un libertino stile Don Giovanni, e così via. Sembrerebbe dunque che un valore, fuori dal suo contesto storico, sociale e culturale, non abbia nessun significato. Ma se un valore, per essere tale, ha bisogno di un contesto, significa che non esistono valori assoluti? E se non esistono valori assoluti, che fondamento potranno mai avere i diversi valori di cui ogni soggetto è portatore in una società multiculturale, pluralista, liberale e democratica? Non è una questione di poco conto, perché se tutti i valori sono relativi e soggettivi, come potremo stabilire la superiorità di alcuni valori rispetto ad altri, o, come accade nell’attuale discussione sui temi bioetici, la intangibilità – o non negoziabilità – di alcuni principi fondativi della dottrina morale cattolica, come, ad esempio, la sacralità della vita umana dal suo concepimento alla sua fine (salvo eccezioni come la pena di morte e l’uccisione del nemico in caso di guerra)?
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D’altra parte, se i valori fossero del tutto soggettivi non potrebbero essere né condivisi né validi di per sé. Per Max Scheler (cfr. Il formalismo nell’etica e l’etica materiale del valore, 1921) – diversamente da Kant, che basava la sua etica sulla purezza formale della ragione pratica – i valori sono gli oggetti specifici dell’esperienza emotiva. Il mondo dei valori non è colto dalla ragione ma dalla intuizione emotiva, alla quale si presenta come oggettivo e indipendente dall’atto dell’apprendimento; in quanto oggettivo, il mondo dei valori ha leggi proprie. Queste leggi determinano anche la gerarchia dei valori, valida di per sé, anche se i valori non venissero messi in opera nella vita. La prima modalità del valore è la serie del gradevole o sgradevole (del godere e del soffrire). |
La seconda modalità è l’insieme dei valori vitali: salute, malattia, vecchiaia e morte, ascesa e decadenza, esuberanza e depressione. La terza modalità concerne il campo dei valori spirituali: estetici, giuridici, filosofici (conoscenza pura). La quarta ed ultima modalità è quella dei valori religiosi che riguardano il sacro e il profano. Corrispondono a questi valori i sentimenti della beatitudine e della disperazione – da non confondere con quelli della felicità e infelicità – e dipendono dalla vicinanza o dalla lontananza del sacro nella vita vissuta da ciascuno. L’atto con cui si apprendono i valori del sacro è una particolare specie di amore. I valori, dunque, esistono, per Scheler, di per sé, e si possono conoscere solo tramite il sentimento, rimanendo del tutto inaccessibili all’intelletto “che è cieco nei loro riguardi come l’orecchio e l’udito nei riguardi dei colori”. A questo punto, se ci chiediamo nuovamente che cosa sono i valori, possiamo rispondere con Scheler che sono “oggetti intenzionali del sentimento disposti in ordine gerarchico”. I valori esistono dunque fuori di noi e non sono opinabili, ma si ri-velano attraverso l’intuizione emotiva-sentimentale del soggetto; da un lato sono in relazione con noi, dall’altro esistono indipendentemente da noi. Anche per lo spiritualista René Le Senne esistono valori assoluti e trascendenti; questi valori, per manifestarsi, hanno tuttavia bisogno degli ostacoli che la realtà oppone alla libertà d’agire dell’uomo (cfr. Obstacle e valeur, 1934). Ma che cos’è quest’uomo che, da un lato, partecipa alla trascendenza divina dei valori e, dall’altro, è “soggetto”, cioè assoggettato, sottomesso, gettato sotto a ogni accidente materiale, e, sovente, umiliato e offeso da altri uomini o in balia dei venti della fortuna o della storia? “Secondo l’idea greca – come scrive il Maritain negli anni tragici della seconda guerra mondiale (cfr. L’educazione al bivio, 1943) – l’uomo è un animale dotato di ragione la cui suprema dignità consiste nell’intelletto; secondo l’idea giudaica, l’uomo è un individuo libero in personale relazione con Dio, la cui suprema giustizia o rettitudine è di obbedire volontariamente alla legge di Dio; secondo l’idea cristiana, l’uomo è una creatura peccatrice e ferita chiamata alla vita divina e alla libertà della grazia, la cui massima perfezione consiste nella carità.” E secondo l’idea postmoderna? Non c’è un’idea postmoderna di uomo, e forse nemmeno un uomo postmoderno. Forse oggi c’è solo un uomo disincantato e abbandonato a se stesso che non sa più né chi era, né chi è, né tanto meno chi sarà. Fulvio Sguerso
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