CINEMA: Terrore dallo spazio profondo

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Terrore dallo spazio profondo
Film reperibile in DVD

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

Terrore dallo spazio profondo

 Titolo Originale: INVASION OF THE BODY SNATCHERS

Regia: Philip Kaufman
Interpreti: Leonard Nimoy, Jeff Goldblum, Veronica Cartwright, Brooke Adams, Donald Sutherland
Durata: h 1.55
Nazionalità: USA 1978
Genere: fantascienza
Al cinema nel Gennaio 1978
Recensione di Biagio Giordano
Film reperibile in DVD

 Matthew Bennell (Donald Sutherland) è un funzionario del Ministero della salute, il suo lavoro consiste nel controllare nelle cucine dei ristoranti che le salse o i piatti che si stanno per servire non siano adulterati; un lavoro difficile, anche perché quando scopre irregolarità ed è costretto a prendere provvedimenti disciplinari, i gestori, di nascosto, gli danneggiano i vetri della automobile.


 

Elizabeth Driscoll (Brooke Adams), una sua collega addetta all’analisi batteriologica degli alimenti, ha scoperto in un giardino pubblico, mentre rientrava dal lavoro, un fiore completamente sbocciato, facente parte di un bocciolo raro, che cresce in fretta, rassomigliante a quelli della tipologia grex: frutto di una impollinazione tra due specie diverse da cui ne deriva una terza, unica, denominata epilobica (tradotto dal greco: sopra il baccello); di solito non sono fiori ma erbe infestanti, particolarmente pericolose nei giardini per la  rapidità con cui diffondono le loro radici; queste erbe, per la loro tipologia, sono note per essere cresciute anche nei terreni delle grandi città devastate dalla guerra.

Il mattino successivo, la donna quando si sveglia scopre che il marito si è  già alzato. L’uomo è intento a raccogliere i resti del contenitore di vetro caduto per terra con la pianta grex dentro. Egli raccoglie tutto e butta poi i frammenti nell’immondizia, ma da quel momento il suo comportamento  più consueto si modificherà, l’uomo diventerà strano, infiacchito, apatico, rinunciatario ad affrontare le problematiche più comuni del vivere quotidiano.


Successivamente Matthew ed Elizabeth vengono a conoscenza che la pianta è in grado di riprodurre i corpi umani e animali, cosa che avviene probabilmente attraverso le informazioni che essa ricava dall’olfatto delle persone e dagli altri esseri attratti dal suo profumo. Le vite duplicate stabiliscono poi un contatto emozionale permanente con la psiche degli uomini originari, modificandone il consueto comportamento.

Da dove viene la pianta intelligente? E che mistero interplanetario racchiude la riproduzione tipo fotocopia, interminabile, di migliaia di esseri umani, la cui personalità appare del tutto nuova in quanto l’intera psiche non prova più angosce, odio o paure?

Premiato a Avoriaz, questo film diretto da Philip Kaufman è un remake de “L’invasione degli ultracorpi” del 1956 diretto da Don Siegel. A differenza del primo lungometraggio che si svolgeva in piena guerra fredda e nel periodo maccartista, trasmettendone  tutta l’atmosfera cupa, tesa e sospettosa dei personaggi, questa pellicola, girata nel 1978, si cala in una realtà sociale e politica del tutto diversa, che vede un mondo commercialmente cambiato, più collaborazionista tra nazioni, con un’economia internazionale che appare già avviata a una lenta ma costante globalizzazione, e politicamente orientata, visti i vantaggi della nuova liberalizzazione del commercio, verso lo scioglimento dei due blocchi contrapposti tra Usa e Unione Sovietica. Il film riflette perciò atmosfere del mondo reale non sempre seriose, opportunamente punteggiate qua e là da ironia.


 In “Terrore dallo spazio profondo“, secondo adattamento al romanzo di Jack Finney (il primo resta la versione di Don Siegel), l’ambientazione viene spostata all’interno di una grande città della California.

Il film proietta  questioni filosofiche di un certo impegno, note da tempo nel mondo delle trame cinematografiche per la loro funzionalità al botteghino, questioni quindi spesso ricorrenti nella produzione filmica, che a volte risultano anche di grande impatto culturale.

Ad esempio da sottolineare nel film, per realismo,  le infinite varianti dell’egoismo umano di chiara derivazione sociale, nonché le rappresentazioni folli legate alle paure irrazionali di provenienza inconscia, inoltre la portata paradossale dell’odio in ciò che è chiamato comunemente bene, e per finire il pensiero più astruso legato per reattività alle improvvise angosce  esistenziali  di tutti i giorni non sempre di chiara origine.

Il racconto propone una sorta di via redentrice ai peccati dell’uomo e una correzione drastica alle imperfezioni caratteriali violente costitutive di molti individui, ponendosi, seppur alla lontana, in un ambito di  accentuato parallelismo con  concetti più di origine religiosa quali la salvezza e la grazia.


 

Il racconto, avvalendosi di una efficace profondità espositiva, tratta di  qualcosa che pur seducendo appare spesso enigmatico,  ed eticamente ambiguo, qualcosa forse  di impossibile a dire, in quanto sembra entrare  in relazione con un’altra realtà, quella appartenente allo spazio ignoto, da cui appunto proviene  la spora del fiore.

Quest’ultima appare  sotto forma di messaggio spirituale vagante, scritto da entità intelligenti altre.  E’ come un messaggio straordinario messo in una bottiglia che galleggia per giorni in un mare aperto e che si sa prima o poi approderà su di una terraferma dando forse  la possibilità a qualcuno di leggere e di emozionarsi, e magari di cambiare anche qualcosa nel proprio modo di pensare e operare.

La redenzione che il film propone passa attraverso il sacrificio, in forma horror, della popolazione civile,  come se, per cambiare in positivo le pulsioni dell’uomo, fosse necessario una shock, un trauma, qualcosa in grado di spingere le persone verso un modo diverso di porsi  davanti alla vita.

 L’autore del film per quanto riguarda il senso più generale che la pellicola racchiude, tenta anche qualcosa di sperimentale, prendendosi coraggiosamente, nonostante la canonicità degli argomenti, un po’ di rischi commerciali; si ha l’impressione infatti che nella narrazione tutto poggi filosoficamente su un concetto di catarsi, e questo in un mondo come quello fantascientifico,  rappresenta una deviazione dai codici più usuali.

La parola catarsi però, nonostante questo  film non abbia avuto un grosso successo, ha fatto in seguito scuola. Diversi film ne hanno infatti riportato il significante, basti pensare al famoso film di David Linch Dune del 1984 in cui esso è addirittura centrale.

 

 

Non potendo usare granché delle logiche narrative del teatro perché i film di fantascienza poco si prestano a rappresentazioni da palcoscenico, l’autore fa un intelligente compromesso tra dramma, tragedia e catarsi, combinandoli in modo tale da farne scaturire un prodotto fantastico nuovo, di forte penetrazione psicologica, qualcosa che in definitiva sembra dare, alla forma letteraria su cui poggia il film, più interesse.

 L’autore opta per le infinite possibilità narrative che la letteratura in genere consente, esasperando la scrittura  per immagini con la penna della cinepresa tanto da raggiungere una forma espressiva del tutto paragonabile, con la penna sulla carta.

I codici visivi classici di tipo fantascientifico ne risentono, ma tutto sommato il piacere e l’ansia spettacolare per il futuro, tipico del linguaggio fantascientifico, reggono.

Il leggero terremoto espressivo del regista Kaufman non fa crepe nei muri classici della tradizione, tutt’al più ne sollecita il rifacimento dell’intonaco  colorandolo diversamente, con tinte contrastanti e nell’insieme equilibrate nei toni freddi e caldi.

La pellicola si caratterizza anche per diversi ed emozionanti cammei dedicati a componenti del cast del primo film del 1956, quali il regista Don Siegel nel personaggio del taxista, Kevin McCarthy nel ruolo dell’uomo urlante in mezzo alla strada che finisce contro un’automobile, Robert Duval vestito da prete che dondola su un’altalena, ecc. Un altro remake verrà realizzato nel 1993 da Abel Ferrara, dal titolo “Ultracorpi. L’invasione continua“.


Il film funziona bene sul piano della fotografia secondaria, quella cioè neutrale, non proprio legata al genere di un  film; essa è presente a tratti in ogni opera cinematografica e riguarda un gioco estetico marginale alla trama e allo stile del genere, quasi autonomo dall’intreccio, che produce brevi situazioni di suggestione visiva quasi dal nulla: tra le pause infinitesimali del film. E’ qualcosa che riesce a illuminare fortemente il robusto filo conduttore narrativo principale pur rimanendone separato.

Anche quella parte di fotografia allacciata più direttamente agli intrecci  chiave del film funziona bene, come ad esempio l’itinerario e l’evoluzione, visti per fotografia, del fiore grex, esso appare dapprima come piccola spora trasportata dallo spazio interplanetario, poi spinta dal vento sulla Terra e fatta cadere dalla pioggia su una foglia, tutto ciò è molto suggestivo,  e rappresenta un ottimo biglietto da visita come introduzione al film perché fa ben sperare l’animo dello spettatore sulla qualità del seguito narrativo.

Il cane con la testa umana, i replicanti nati adulti ancora rivestiti di scaglie biologiche da parto che sorprendono i loro sosia umani lasciandoli di stucco, le   persone che si muovono nella città con il grosso baccello in braccio tra gente ignara di quanto sta accadendo, tutto ciò è curato con dettagli fotografici  di forte comunicazione che risultano frutto di assemblaggi ben riusciti nel montaggio.

 

Biagio Giordano

    
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