Cinema: uomini di Dio

 
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Uomini di Dio
Al cinema nell’Ottobre 2010

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

Uomini di Dio

 

Titolo Originale: DES HOMMES ET DES DIEUX

Regia: Xavier Beauvois

Interpreti: Lambert Wilson, Michael Lonsdale, Jacques Herlin, Olivier Rabourdin, Philippe Laudenbach

Durata: h 2.00

Nazionalità:  Francia 2010

Commento di Biagio Giordano

Al cinema nell’Ottobre 2010

Secondo premio come miglior film a Cannes 2010

 Xavier Beauvois è un regista che ama scrivere in prosa e in poesia, appare  caratterizzato da una forte vena neorealista, è capace infatti di osservare  il reale  con sguardi  penetranti, che vanno molto al di là delle apparenze, immettendosi nelle cose più palpabili e vere, sono sguardi intensi che animano la sua intelligenza, paragonabili solo a quelli del glorioso passato cinematografico post-bellico italiano.

Egli ama far impattare lo spettatore su un fronte visivo storico-drammatico molto lento nel suo svolgersi, mettendo a fuoco profili di personaggi e senso delle loro azioni in maniera esaustiva: tale che lo spessore che ne deriva procura un’emozione più duratura nello spettatore, finché a volte diviene segno, impronta di una vera e propria esperienza di vita, una sorta di testimonianza anima e sangue vissuta dentro il film stesso.


Xavier Beauvois ha anche spiccate doti di attore messe in pratica in diversi film. E’ figlio di Francis Beauvois, un noto farmacista, e di Gabriella Chova   studiosa di moda, di cui era storica e filosofa.

Già negli anni dell’adolescenza Xavier Beauvois manifesta un forte interesse per il cinema, segue infatti conferenze e varie iniziative artistiche  sulla settima arte.

Negli studi di base però il giovane Xavier Beauvois, tutto preso com’è dal cinema, abbandona a un certo punto il liceo e si reca a Parigi, iscrivendosi all’École Nationale Supérieure des Métiers de l’Image et du Son, precedentemente nota comeInstitut des hautes études cinématographiquesoIDHEC, è la scuola di cinema statale francese con sede a Parigi, essa offre corsi che spaziano dalla ricerca artistica allo sviluppo professionale senza trascurare la formazione tecnica di base. (Un istituto oggi conosciuto come Fémis).

Ma Xavier Beauvois non verrà accettato al corso, per motivi non ben chiari, e questo fatto momentaneamente  metterà in forse tutti i suoi ambiziosi progetti sul cinema,   Xavier Beauvois rimane ferito dalla notizia, la delusione è  cocente e comincia ad essere assalito da seri dubbi sulle sue capacità di studio nel campo cinematografico. Xavier  Beauvois comincia a pensare  che nel campo dell’arte forse potrebbero esserci delle sezioni non cinematografiche più adatte a lui.


Sarà una relazione umana importante a fugare ogni dubbio sulle sue capacità e a ridargli fiducia negli studi cinematografici. Diventa amico di  Serge Daney che gli farà ritrovare la stima di se stesso e il suo amor proprio. Una reciproca e potente empatia intellettuale fra i due, favorirà gli studi di Xavier Beauvois tanto da fargli conquistare  una borsa di studio all’Académie de France a Roma.

 In quella scuola  conosce la sua futura moglie, Agata Boetti, con la quale formerà una famiglia, contemporaneamente comincia la sua attività cinematografica come aiuto regista.

Inaspettatamente ha fortuna, gli si presenta una buona occasione, viene scelto come aiuto regista di un grande autore cinematografico: Manoel de Oliveira, nel film Mon cas (1986). In seguito, dopo questa  soddisfacente esperienza con Manoel de Olivera, Xavier Beauvois si sente pronto per cominciare a produrre opere proprie e compone così  il cortometraggio Le matou (1986).

A seguire, firma il suo primo lungometraggio: Nord (1991), che avrà un grandissimo successo di pubblico e critica; ambientato nella Francia del nord, a Pas-de-Calais, il film narra le intricate vicende, drammatiche, di una famiglia che va sfaldandosi inesorabilmente; questa pellicola in cui è anche attore gli procurerà la nominazione ai César  come eccellente speranza maschile.


 

Nel 1995 ha successo con N’oublie pas que tu vas mourir che vince il Premio della Giuria al Festival di Cannes, nel 2005 gira Le petit lieutenant (2005) premiato con il Label Europa Cinemas. Nel 2015 firma il suo capolavoro, Uomini di Dio, storia tragica e vera, documentata,  ambientata nel 1966, dalle cause misteriose che narra la vita di otto monaci di cui sei verranno rapiti e trucidati dal terrorismo fondamentalista islamico con  la complicità di forse oscure, nel clima più generale della guerra civile che infuria nel paese.

Trama del film.1996. Algeria, un comunità di  otto monaci trappisti (dal nome dell’abbazia benedettinaNotre-Dame de la Trappe) dell’Ordine dei Cistercensi della Stretta Osservanza, vive nel piccolo monastero di Thibirine sui monti innevati dell’Atlante, vicino alla città di Medea, 90 km a sud di Algeri.

 La comunità trova il tempo di dedicarsi, dopo i culti,  dopo il lavoro nel convento, e le preghiere,  ai problemi di salute e di miseria della popolazione locale. Si creano tra afflitti e i benefattori sentimenti forti. Straordinario diventa l’amore reciproco tra i benedettini di religione cristiana e la popolazione  algerina di fede musulmana, tanto da non sembrare avere limiti. Quando un  giorno in paese  incominciano a verificarsi gravi fatti di sangue i monaci rimangono sconvolti.


 

Fondamentalisti islamici  massacrano dei croati emigranti lavoratori, e promettono altre azioni purificatorie verso lo straniero. Un giorno gli assassini si recano in convento per ottenere medicinali e cure per due loro compagni feriti, la fermezza nel rifiuto di aiuto da parte del Priore Christian, che intuisce l’odio presente nel loro animo, è per loro scoraggiante. Inoltre  un’efficace citazione del Corano da parte del priore scuote i fondamentalisti che decidono di desistere da ogni azione brutale nei loro confronti e a cercare aiuto da un’altra parte. I monaci poi pur non sentendosi più al sicuro rinunciano a chiedere protezione alla polizia  algerina e proseguono la loro vita come se niente fosse accaduto.

Successivamente però, a causa di un misterioso  complotto  di cui facevano parte  non solo i jihadisti ma forse anche parti dell’esercito algerino, sei di loro subiranno un brutale sequestro di persona dalle tragiche conseguenze finali.

Il fatto è realmente accaduto, il rapimento è avvenuto tra il 26 e il 27 marzo del 1996, destando stupore e indignazione in tutto il mondo occidentale.


Il merito di Xavier Beauvois   in questo film è stato quello di aver trovato un modo assai efficace  di raccontare lo scorrere dell’esistenza spirituale e umanistica dei monaci prima della morte, gestendo letterariamente  e psicologicamente al meglio per il pubblico il contrasto tra il bene senza limiti del comportamento dei monaci e l’orrore del fondamentalismo jihadista.  Xavier Beauvois ha raggiunto  livelli espressivi di rara drammaticità  proprio in quanto ha voluto  rimanere a tutti i costi su un terreno di familiarità con il reale di tutti i giorni,  senza costruire, nelle scene con i maggiori protagonisti, azioni violente e sanguinose semmai  solo alludendovi.

Basti prendere in considerazione la  scena finale,  in cui i monaci appaiono rassegnati al rapimento, rapiti dalla fede in Dio che diventa massima proprio in quella circostanza,  essi appaiono inconsciamente assenti alla gravità del fatto che stanno vivendo,  vengono portati a piedi tra la neve nel rifugio dove incontreranno la morte per decapitazione, è una lunga e silenziosa sequenza scenica, struggente, la loro scomparsa poi tra la nebbia nella solitudine delle montagne, lascia un vuoto di senso che per alcuni lunghi minuti disorienta e sconcerta lo spettatore.

Beauvois, con un linguaggio cinematografico da mano sicura, è riuscito a dare una sensazione di sacro della vita del convento di rara emozione. Lo scorrere del tempo sembra rimanere sospeso in un nulla privo delle lancette dell’orologio,  denso di cose, che vanno dai culti alle preghiere, dai canti comunitari al lavoro nei campi, dalle assemblee amministrative ai pasti sobri ma del tutto appaganti.

A questi si alternano le vicende esterne e interne al luogo sacro con la messa in luce di un sociale complesso dove la miseria non è sempre angoscia e regressione inesorabile verso il male ma trova con la fede un autentico motivo di vita, che diventa gioiosa, piena com’è dell’amore per Dio,  e per le persone.

L’ecumenismo di quei monaci sembra non avere limiti, sono testimonianza di un vangelo interpretato e interrogato da una posizione di scelta  di fede senza riserve, che avvicina per evocazione storica immaginaria all’atmosfera spirituale pregnante delle comunità cristiane del primo secolo dopo cristo.

   Biagio Giordano      

 

       

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