Cinema: Nella valle di Elah

 
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Nella valle di Elah

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
 Nella valle di Elah
 

 Titolo Originale: IN THE VALLEY OF ELAH

Regia: Paul Haggis

Interpreti: Tommy Lee Jones, Charlize Theron, James Franco, Susan Sarandon, Jonathan Tucker

Durata: h 2.00

Nazionalità: USA 2007

Genere: drammatico

Al cinema nel Novembre 2007

Recensione di Biagio Giordano

 USA, all’epoca della guerra in Iraq. Hank Deerfield (l’imperturbabile Tommy Lee Jones), un ex combattente nel Vietnam, un uomo ancora fiducioso nelle istituzioni militari del suo paese, apprende che suo figlio, appena ritornato dalla guerra in Iraq, è scomparso.

Hank, constatata amaramente l’inerzia istituzionale nelle indagini per la scomparsa, dovuta per lo più alla burocrazia militare, decide di partire personalmente alla ricerca del proprio figlio Mike.


 Ha solo l’aiuto dell’ispettore Emily Sanders (Charlize Theron), dapprima reticente a seguire il caso ma poi consenziente per sfidare professionalmente alcuni suoi colleghi da tempo troppo aggressivi nei suoi confronti.

Il corpo del giovane militare viene quasi subito ritrovato; è situato in un terreno desolato facente parte di una vecchia zona militare. La scena che si presenta ai suoi occhi è shoccante: il corpo è stato fatto a pezzi, e risulta in parte divorato da animali, inoltre sulla pelle di quei poveri resti umani così macabri, ci sono segni di gravi bruciature.

Il padre di Mike appare dapprima sconvolto, e poi sempre più indignato, si accorge infatti che la zona del delitto, delimitata dalla polizia militare, non è stata protetta e sorvegliata a sufficienza, ciò potrebbe compromettere la ricostruzione di quanto accaduto e  l’individuazione dei responsabili di quell’orrore.


 Ma grazie alle numerose testimonianze e all’acume investigativo sia suo che dell’ispettore Emily Sander, si riuscirà a ricostruire quanto realmente accaduto.

Le indagini porteranno sorprendentemente a risultati del tutto inattesi, facendo cadere l’ipotesi razzista della pista messicana della droga; si individuerà infatti un sospettato bianco, che confesserà, e si ricostruirà tutto il difficile contesto psicologico da cui poi è scaturito il delitto. La pena per l’assassino si prevede molto severa. 

Ma attraverso le sincere testimonianze sulle indagini del caso si sono andate via via scoprendo cose sulla personalità di Mike, nel frattempo lacerata dalla guerra, che saranno mortificanti per la sua famiglia.

 Mike in guerra si è infatti spaventosamente abbruttito. E al ritorno al suo paese ha manifestato subito instabilità di umore: violenza gratuita verso gli altri, becero maschilismo, abituale e futile litigiosità, tutto ciò espresso in diversi ambienti da lui frequentati.


 E così tutto il suo gruppo di commilitoni più intimi, che divenuto, rispetto al mondo civile, un vero e proprio corpo estraneo, è giunto alla esaltazione maniacale di sé contro gli altri civili.

Nella valle di Elah (titolo tratto dall’antico testamento che ricorda lo scontro avvenuto tra Davide e Golia) non è un vero e proprio film antimilitarista, solleva semplicemente, ma decisamente, una questione riformista sugli interventi militari americani all’estero, cioè ad esempio su come organizzare, del tutto diversamente rispetto a quanto visto nel film, una spedizione militare in territorio straniero con criteri umanistici, mettendo cioè al centro delle varie questioni anche l’importanza  del mantenimento della salute mentale del soldato fino al congedo.


Il film pone a proposito la domanda di come evitare la formazione di uno stress supplementare nel soldato in guerra, e risponde che forse ciò è possibile effettuando con più frequenza i ricambi di forze militari. Nonché ampliando le spese per la missione che seppur già alte spesso non tengono conto delle necessità più raffinate del soldato, quest’ultimo appare bisognoso spesso di un aiuto psicologico e di un ascolto più profondo che attenui la sua ansia.

Il padre di Mike, Hank, anche lui reduce da una guerra difficile come quella nel Vietnam, è riuscito a mantenere una salute mentale buona, e una fiducia invidiabile nelle istituzioni: almeno fino a quando non ha patito l’esperienza negativa di suo figlio. Ciò ci dice che è possibile ritornare da una guerra con una salute mentale di fondo buona: se solo si studiano prima con maggiore rigore umanistico tutti gli aspetti possibili di una guerra, non ultima la questione di un budget adeguato alle tante esigenze di protezione psichica e inconscia del soldato.

 Biagio Giordano  

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