CINEMA: Monsieur Lazhar

RUBRICA SETTIMANALE DI BIAGIO GIORDANO
In uscita in questi giorni nella provincia di Savona
Monsieur Lazhar

 

RUBRICA SETTIMANALE DI BIAGIO GIORDANO

In uscita in questi giorni nella provincia di Savona

Monsieur Lazhar

Uscita Cinema: 31/08/2012

Genere: Drammatico

Regia: Philippe Falardeau

Sceneggiatura: Philippe Falardeau

Attori: Mohamed Fellag, Sophie Nélisse, Émilien Néron, Brigitte Poupart, Danielle Proulx, Louis Champagne, Francine Ruel, Jules Philip, Sophie Sanscartier, Seddik Benslimane

Fotografia: Ronald Plante

Montaggio: Stéphane Lafleur

Musiche: Martin Léon

Distribuzione: Officine Ubu

Paese: Canada 2011

Durata: 94 Min

Formato: Colore

Recensione di Biagio Giordano

 

Film uscito in questi giorni nella Provincia di Savona

Montreal, Canada. Bachir Lazhar  è un immigrato algerino con domanda in corso di asilo politico. Nel suo paese è perseguitato da terroristi musulmani. La moglie,  scrittrice di una certa fama, ha pubblicato un libro di idee progressiste che chiama in causa,   criticamente, aspetti  della  cultura del suo paese. I musulmani più intransigenti  non  gradiscono affatto  il libro e uccidono sia la donna che il figlio incendiando  la loro casa.

L’uomo nonostante possieda tratti somatici non proprio europei, non ha l’aspetto dell’immigrato, è  colto e gentile, con molto autocontrollo e umorismo, pronto a rispondere in modo esauriente a ogni domanda su di lui.

Un giorno dal giornale apprende una notizia tragica e fuori dal comune, una maestra di Montreal  si è impiccata in aula durante la ricreazione; Lazhar letti i dettagli rimane sinceramente impressionato  dalla notizia,  contemporaneamente però pensa che il fatto  potrebbe rappresentare per lui anche l’occasione di una occupazione, di un lavoro che gli piace,  qualcosa che è pienamente in sintonia con il suo forte desiderio di  aiutare gli alunni della classe  a superare il trauma subito.

Lazhar riesce ancora a controllare la sua depressione causata dal lutto e aggravata dall’inferno dell’immigrazione, pur  avendo un contegno un po’ rinunciatario, dismesso. C’è  un aspetto positivo nel suo stato psichico disagiato, qualcosa che da subito appare esternamente invisibile ma che parlando si fa immediatamente notare, esso  riguarda l’attività del suo inconscio che svela  aspetti inconsueti del suo sé più profondo conquistandosi uno spazio rilevante nella sua coscienza.  Dal comportamento di immigrato di Lazhar  sembra emergere  una  disponibilità e sensibilità nuova verso le persone e una attenzione particolare, per certi versi sorprendente, per tutto ciò che riguarda le questioni sociali  presenti nel paese in cui vive attualmente.

 

 

 L’uomo si presenta quindi subito dalla direttrice della scuola  elementare proponendosi come sostituto della defunta maestra ma sottolineando anche la sua solidarietà per  la situazione psicologica creatasi nella scuola.
Lazhar non ha mai  insegnato,  ha fatto sempre  altri lavori, al suo paese ultimamente  gestiva un  ristorante, ma riesce  ad ottenere  lo  stesso  l’incarico nella scuola, provvisorio, mostrando false referenze ed esibendo una gentilezza e raffinatezza sia nei modi di fare sia nel dire che lusingano la Preside

 Lazhar è cosciente che non potrà  farla franca con  la burocrazia  della scuola, sa benissimo che prima o poi verrà scoperto e cacciato, ma a lui non importa, vuole capire cosa è successo veramente in aula, chiarire il mistero delle cause che hanno portato la maestra a compiere quel gesto sconvolgente.

Con la verità e il rigore del suo insegnamento egli ha intenzione di aiutare i bambini a migliorare la  grave condizione psicologica che gli opprime. La generosità  di Lazhar non ha confini etnici;  la depressione non sembra corroderlo dentro,  e seppur il suo atteggiamento positivo verso la vita può sembrare un po’ paradossale  esso richiama quello tipico degli uomini eticamente superiori.

Nel suo lavoro egli ottiene risultati brillanti, poco sperati, ricevendo le congratulazioni della Preside, inoltre la classe supera i brillantemente lo shock del suicidio della maestra. L’insegnamento dell’algerino  ha suscitato nella classe riflessioni introspettive  molto critiche che hanno portato a una notevole elevazione del giudizio etico verso i fatti  accaduti. Lazhar ha utilizzato sagacemente l’impianto moralistico delle fiabe portando la classe a una conversazione efficace  con i  contenuti dei testi, scegliendo quelli eticamente più esemplificativi delle responsabilità di ciascuno nel vivere quotidiano.

Grazie all’attenzione analitica di  Lazhar sul comportamento  degli alunni  e su tutti i dettagli del loro dire, la verità viene finalmente in superficie liberando dal senso di colpa l’intera classe e facendo felice l’insegnante algerino.
I mezzi usati da Lazhar per fare del bene alla classe in crisi, seppur ben compresi dai suoi colleghi e dalla Preside, non sono però stati accettati dalle famiglie, esse  avevano imposto al consiglio di scuola, con chiare minacce di ritorsione,  di rimuovere dalla classe la questione del suicidio, invitando gli insegnanti a non parlarne  per niente con gli alunni.

Qual’è la verità che spiega il suicidio, e perché essa ha dato così tanto fastidio alle famiglie dei bimbi?

Il film solleva un fascio di problemi legati alla scuola canadese che sembrano appartenere in qualche modo anche a gran parte del mondo occidentale, compresa l’Italia; essi trovano con il cinema una intelligente articolazione, suscitando domande e interrogativi molto coinvolgenti, che sembrano supplire al fatto che con il cinema è impossibile fare approfondimenti tematici di una certa entità. Il regista Falardeu   mette al posto di un mancata  indagazione esauriente tipica della settima arte,   una serie di scene di forti emotività, logicamente ben strutturate, tali da suscitare in tutti gli spettatori una maggiore attenzione per il mondo della scuola elementare.

Tra i problemi sollevati dal film, primo fra tutti spicca il divieto di toccare i bambini da parte degli insegnanti, ciò  secondo il racconto vale sia nel caso si voglia punirli e sia nel caso si desideri incoraggiarli moralmente a seguito di  turbe o sventure di vario genere subite, nonché per tutti quei casi in cui l’insegnante  desidera manifestare preferenze di stima  a certi bambini rispetto ad altri o simpatie empatiche particolari verso qualcuno.

E’ questa una questione molto delicata, che può a volte mettere in difficoltà l’insegnante senza che egli abbia valide difese procedurali. I bambini sanno che non possono essere toccati in nessun modo e quelli particolarmente frustrati usano a volte  questo diritto contro l’insegnante magari con l’aiuto dei genitori, mettendo su una scena di bugie ben congeniate. Ciò può accadere con una certa frequenza soprattutto in quei bambini che sono oggettivamente presi in seri conflitti con la scuola e l’insegnante, e di solito anche con il sociale.

Una seconda questione molto importante sollevata a mio parere da questo film di Falardeu è quella del razzismo. Della discriminazione degli adulti  verso gli immigrati  rispetto alla curiosità gioiosa e non sospettosa che i bambini nutrono nei loro confronti.

Durante i colloqui con i genitori di una alunna Lazhar  sottolinea una caratteristica negativa della loro bambina: la rigidità caratteriale. Il giudizio suscita subito una reazione violenta da parte del padre della bambina, che fa notare a Lazhar la sua difficile posizione di immigrato algerino, cioè la difficoltà oggettiva di una sua integrazione nel tessuto canadese a tempi brevi, aspetti che secondo il genitore non possono che  rendere Lazhar nervoso, inquieto,  disturbato, non idoneo a toccare e mettere in pratica certi argomenti sull’educazione dei bambini canadesi. Lo invita quindi  perentoriamente a non occuparsi dell’educazione di sua figlia perché essa spetta esclusivamente ai genitori.

Nel rapporto con gli alunni invece Lazhar trova molto: simpatia, solidarietà, affetto, tanto da farlo inorgoglire  delle sue origini algerine.

Sembra quasi che il film voglia smentire una supposta origine antropologica del razzismo, sottolineandone invece le radici patologiche di origine nevrotica, educativa, sociologica, economica.

Con questo film di notevole importanza culturale  e di origine occidentale, il cinema canadese sembra in qualche modo voler riscattare alcune piaghe xenofobe che avvelenano il vecchio e nuovo continente,  con un messaggio di speranza che trova forte potenza espressiva, radici emotive di altissimo livello, calandosi nel mondo  dei bambini a scuola.  Quest’ultimi, sembra suggerire il film, possono diventare razzisti solo quando i genitori adulti o i media politici glielo insegnano.

 BIAGIO GIORDANO
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