Cinema: E fu sera e fu mattina

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

E FU SERA E FU MATTINA 

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

E FU SERA E FU MATTINA 

 

 
 
RegiaEmanuele Caruso

Con Albino Marino, Lorenzo Pedrotti, Sara Francesca Spelta, Simone Riccioni, Francesca Risoli, e con Nicola Conti, Paola Gallina, con la partecipazione speciale di Giovanni Foresti

 Anno: 2014, Nazione: Italia, Durata: 110 min., Genere: commedia

SoggettoBeppe Masengo, Emanuele Caruso

SceneggiaturaMarco Domenicale, Emanuele Caruso con la collaborazione di Cristina Cocco

ProduzioneRoberta Lampugnani, Deborah Sandri, Elisa Conti, Beppe Masengo

Direttore della FotografiaCristian De Giglio

Primo Assistente Operatore e Operatore SteadycamDavide Carbonari

Audio in Presa DirettaGiovanni Frezza, Fabrizio Cabitza

CostumiSimone Oliveri

ScenografiaJacopo Valsania

TruccoJessica Lacchia, Marta Albiani, Silvia Galeazzo, Ilaria Matarazzo

Parrucchiera Gemma Berruto

Montaggio – Emanuele Caruso

Musiche – Remo Baldi

Post-Produzione AudioGiovanni Frezza per Articolture s.r.l.

 Aiuto Regia – Alessandra Castellengo, Beppe Masengo


Il film sarà disponibile anche in HD Digital Download su iTunes e Google Play.
Il DVD fisico invece oltre che nelle LIBRERIE e VIDEOTECHE di tutta Italia, potete trovarlo e ordinarlo anche ONLINE in questi STORE:

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E FU SERA E FU MATTINA, film girato fra LANGHE e ROERO, con un budget di appena 70.000 Euro, premiato dalla F.I.C.E come “FILM INDIPENDENTE DELL’ANNO” 2014, il film si interroga sul valore del tempo, della vita e della nostra dimensione spirituale. Opera prima del regista albese Emanuele Caruso, il film è uscito al cinema, in completa autodistribuzione, nel Gennaio 2014.

E’ diventato un caso cinematografico, vendendo oltre 45.000 biglietti e incassando al botteghino quasi 300.000 Euro. Notizie trascritte dal sito:  

http://www.efuseraefumattina.it/

Recensione di Biagio Giordano


“E fu sera e fu mattina” è una frase scritta all’interno del primo libro della Bibbia: la Genesi. Rispecchia, in un contesto di fede,  l’onnipotenza di Dio nella sua capacità interminabile di creare.

2013. Colline delle Langhe (Langa in piemontese). Sera. Ad Avila, un inquieto ma laborioso paesino agricolo – artigianale di 2.000 abitanti, situato come una sella di cavallo sulla vetta di una suggestiva  collina verde affiancata da numerosi e ordinati vigneti (Barolo), si percepisce un rumorio festoso di voci proveniente dalla piazza.

E’ la festa di Santa Eurosia,  una vergine e martire cristiana alto-medievale decapitata dai Mori, il cui culto è  diffuso in diversi paesi dell’Italia settentrionale e del Lazio, Molte vecchie campane in Italia hanno ancora scritte di lode per Eurosia, un tempo con il loro suono si cercava di scongiurare l’arrivo di quel mal tempo  particolarmente dannoso per i prodotti agricoli. La Santa Eurosia la cui provenienza della santità affonda le radici nel lavoro umano terriero di braccia, è divenuta la protettrice dei prodotti della terra. Quest’ultimi nel film,  anche nell’anno in corso del racconto, ad Avila sono stati abbondanti.

 L’attempato e carismatico sindaco Nicola e il giovane parroco, quest’ultimo trasgressivo ma molto umano e professionalmente corretto, di nome Francesco,  porgono, dal palco eretto nella piazza, il loro saluto ringraziando della presenza le numerose persone sedute ai tavolini e  danno ufficialmente inizio sia al programma della celebrazione  della Santa costituito da riti di ringraziamento sia al divertimento più materialistico relativo ai piaceri della gola, tutto ciò in tempi distinti: i cui rispettivi confini, nel racconto sembrano  non sovrapporsi mai né in qualche modo sfiorarsi.


 Successivamente Francesco scende tra i tavoli e saluta intimamente diversi partecipanti alla festa, distribuendo calore e speranza, anche quando le persone che incontra sa che non sono proprio dei santi, per non dire, da come appare nel film,  dei gentili ipocriti; quest’ultimo aspetto si nota frequentemente in alcuni personaggi del racconto soprattutto attraverso i loro retro pensieri sagacemente distribuiti dal regista nel complesso tessuto narrativo del film.

 Diversi abitanti infatti criticano il parroco Francesco per alcuni suoi modi  amministrativi e per il  comportamento ecclesiastico, sottolineando le sue eccessive e strane assenze dalla Chiesa, la mancanza nei locali di culto del riscaldamento soprattutto nelle ore ancora fredde delle giornate di Maggio, cosa quest’ultima che avrebbe favorito negli anziani la crescita  dei dolori reumatici, e per finire disapprovando il fatto che Francesco  conviva, nel suo appartamento, con un giovane considerato un assassino, di nome Gianni, giudicato a torto nel paese come  omicida intenzionale della sua ragazza; in realtà la sua ragazza è deceduta a seguito di un incidente stradale che vedeva alla guida della macchina  proprio Gianni,  perciò, in seguito,   egli è stato sì riconosciuto  responsabile  del tragico accaduto ma solo facendo rientrare l’accusa  nella categoria dell’omicidio colposo.


 Successivamente Francesco si avvia spedito verso il Bar del paese dove lavora la sua fedele amica Luisa. Stranamente nel locale, colmo di pubblico, non riecheggia l’aria di festa presente nella piazza, ma  addirittura è presente un’atmosfera mortifera, fatta di silenzio e  stupore che vede protagonista la televisione.

In quel Bar del paese, Francesco percepisce, dagli sguardi tirati dei presenti che può essere  accaduto qualcosa di grave. Forse è stata trasmessa una notizia  preoccupante tale da coinvolgere tutti. E se  così fosse, viste le reazioni nel Bar, i suoi  contenuti potrebbero far pensare ad un imminente  danno agli interessi più consolidati del paese.

Al Bar, Francesco nota che c’è Arturo, il papà di Luisa,   e lo vede dirigersi velocemente  verso di lui, l’uomo è concitato, pronuncia a fatica solo le parole: “il sole” – “la benzina”… e “l’ha detto la TV”.

La notizia in gioco risulterà effettivamente spaventosa. Il pianeta Terra infatti, secondo un canale della televisione, ha solo 49 giornate di vita, in quanto il Sole  sta per terminare il suo lungo processo  di fusione nucleare, che gli scienziati prevedevano potesse rimanere attivo ancora per milioni di anni. E’ risaputo che è un lavoro fisico-chimico  quello che il Sole compie tipico anche delle stelle, esso si distingue dai pianeti per l’esito, che è in vampate di fuoco di straordinaria potenza e bellezza, dovuto alla fusione nucleare.


Per fusione nucleare, è noto dai più semplici libri di fisica, si intende un processo fisico nucleare in cui due nuclei di basso numero atomico (per esempio nel Sole, idrogeno, 11H, cioè con numero atomico 1) si uniscono e formano un nucleo di numero atomico superiore (per esempio, elio, 42He, numero atomico 4) dando origine a una energia e a una potenza di enorme portata.

  La causa, nel film, dell’esaurirsi a breve  di questo processo di fusione nel sole,  è dovuta alla  scarsa presenza di idrogeno nel  nucleo solare. Secondo quel canale televisivo visto al Bar di Avila, ci sarà perciò l’esplosione del sole, ciò porterà alla morte definitiva anche del nostro pianeta. Viene aggiunto che, a causa della distanza, dopo l’esplosione passeranno 8 minuti prima che l’uomo possa percepire l’accaduto.

Però secondo un altro canale televisivo la catastrofe è solo un’ipotesi, probabilmente perché la complessità del fenomeno è tale che l’uomo non dispone di mezzi osservativi idonei a far capire con certezza quando si manifesteranno i momenti più catastrofici legati ai disturbi del nucleo solare.

Comunque in seguito,  sentendo i commenti da una parrucchiera,  anche quest’ultimo canale si associa alle previsioni più negative fatte dall’altro, forse per trasmettere ai cittadini il messaggio di  una massima, quanto inutile, allerta.


A seguito del diffondersi della notizia, il vivere quotidiano delle 2.000 persone di Avila viene  quindi investito da forti apprensioni e qualche angoscia, il tutto animato da nuove meditazioni esistenziali: questa volta più filosofiche e teologiche o cariche di un umorismo nero, a volte autoironico.

Ciascun singolo paesano  ripensa la propria esistenza da un punto di vista nuovo, liberato finalmente da ogni incrostazione materialistica legata a interessi dimostratisi spesso egoistici; solo due fratelli, forse a testimonianza dell’inguaribile ottusità di certi desideri umani anche di fronte al fine vita, in lite per una grossa eredità terriera, terra dove entrambi hanno lavorato per anni, continueranno a rimanere ciechi di fronte al pericolo fine del mondo tanto che la loro litigiosità sfocerà in un delitto: uno dei due verrà ucciso per mano dell’altro.

Il giovane regista Emanuele Caruso è alla sua prima esperienza in un lungometraggio, e nonostante ciò costruisce un film di buon valore tecnico, pedagogico, letterario e fotografico. Si notano nel film la bravura (indubbia) del regista nel dirigere un cast alle prime armi e con una notevole componente di volontariato, e il coraggio nell’essersi cimentato da subito in un linguaggio fotografico difficile e complesso il cui assemblaggio nel montaggio ha prodotto, grazie a una cultura narrativa ben digerita del regista,  sicura e per certi aspetti ingegnosa, una scorrevolezza da far invidia a numerosi film ad alto budget.

 Ma forse il pregio più importante del regista di questo film risiede da un’altra parte. Precisamente: nel aver colto nella sua mente tra numerose ipotesi di scrittura filmica per il primo soggetto, l’importanza di un’impressione letteraria colta da qualche parte  o generata dalla sua fantasia, che presa al volo è risultata nel film di alto valore emozionale?


 Un’idea la cui tematica di tipo interrogativo potrebbe essere riassunta così: che cosa  di più importante l’uomo rimuove nell’inconscio per ottenere il meglio dalla vita, ossia per avere un’esistenza più dinamica e ricca di risultati di vario genere: non è forse la morte? Se così fosse allora il ritorno dal rimosso, a un certo punto della nostra vita, per forza maggiore (la fine del mondo), della morte, della sua pulsione o della sua rappresentazione, dall’inconscio alla coscienza,  potrebbe creare un’infinità di comportamenti nuovi e per paradosso una vita che per quello che resta risulterà più  autentica, unitaria, semplice, dando al bene e al male, pur non riuscendo ad abolire quest’ultimo, confini netti, chiari.

 Una nuova breve vita di 49 giorni dunque, il tempo rimasto alla vita del Sole, un’esistenza segnata dalla morte che è accolta finalmente nel proprio animo per quello che effettivamente è. Un’esistenza finale con comportamenti a volte melodrammatici, a volte poetici, o profondamente meditativi riguardanti ad esempio il senso della vita che può non essere trovato o non esserci, oppure una vita che va  incontro al risvegliarsi di alcuni sensi di colpa, magari per aver sprecato l’esistenza  non avendo visto la possibilità  di costruire un futuro diverso: avendo preferito scegliere  la via dell’aggressività intesa come preziosa vitalità e il cinismo affaristico come norma, dimenticandosi del prossimo sofferente. 


 O altresì una vita finale paradossalmente fertile, nella depressione,  ricca di idee etiche innovatrici seppur imprigionate nell’ossessione, oppure una vita d’angoscia per ciò che si aveva prima nel campo sentimentale e affettivo e lo si dava per scontato (parola che compare frequentemente nel film) e che si è finito per perdere. Oppure una vita breve fatta di vendette mortali per i torti subiti, e che nessun tribunale terreno potrà ormai punire…

 
 

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