Cinema: 7 minuti
RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
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RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
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Sette minuti, di Michele Placido, con Michele Placido, Violante Placido, Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Donato Placido, Gerardo Amato, Fiorella Mannoia, Ottavia Piccolo, anno 2016, produzione Italia, genere drammatico. Il film si riferisce a una vicenda aziendale realmente accaduta a Yssingeaux in Francia che ha coinvolto tutti i suoi dipendenti. Una fabbrica tessile romana, è attraversata da alcune difficoltà di bilancio, viene quindi acquisita da una multinazionale con sede a Parigi. I nuovi amministratori non intendono licenziare, anche perché ciò avrebbe dei costi non indifferenti per l’azienda in termini di liquidazioni e permessi non goduti da rimborsare, preferiscono perciò, attraverso un referendum tra i membri del consiglio di fabbrica, cercare di riequilibrare i bilanci aumentando con astuzia lo sfruttamento degli operai. L’azienda si inventa uno escamotage di tipo psicologico: far rinunciare agli operai, tutti i giorni, 7 minuti della loro pausa pranzo. Da subito, e apparentemente, la cosa per il personale (che temeva il peggio, ossia il fallimento) non sembra essere un grosso problema, ma se la proposta sembra accettabile dal punto di vista individuale, ossia ragionando ciascuno per sé, non lo è socialmente, in quanto se approvata, andrebbe a discapito di chi cerca lavoro. Il consiglio di fabbrica scopre infatti che l’azienda tutti i mesi, con la sua proposta, risparmierebbe il pagamento di 900 ore di lavoro, cioè l’equivalente delle prestazioni di 5 operai con contratto a tempo indeterminato. L’azienda quindi aveva deciso di rimettersi in sesto violando il contratto, rinunciando all’assunzione di 5 operai, aumentando quindi, a parità di stipendio, le ore di lavoro dei già presenti. Durante lo svolgimento del referendum il consiglio di fabbrica si presenta diviso, inquieto, indeciso, le immigrate (timorose) propendono per il si, in quanto esse sia nel sociale che nella fabbrica percepiscono nei propri confronti la presenza di forme di razzismo più o meno subdole, che creano in loro insicurezze di ogni genere, con conseguenti tentazioni di stare sempre dalla parte del padrone, esse inoltre hanno una identità sociale ancora confusa, e non sono del tutto consce dei loro diritti. Il resto del consiglio invece, fortificato da tradizioni di lotte ventennali, è dotato di un maggior discernimento sulle questioni sindacali-aziendali, e quindi decide per il no. Lo scontro all’interno del Consiglio di fabbrica sarà perciò durissimo. Film con buoni effetti drammatici, sostenuto da un verismo riuscito che i colori hanno reso di difficile composizione fino a quando i particolari dell’ambiente di fabbrica han preso il sopravvento linguistico ridando il tono giusto alle scene chiave previste come drammatiche ma che rischiavano di non essere percepite in tutta la loro esplosività. Michele Placido conferma le sue straordinarie doti di attore e regista, che ne fanno uomo di punta del cinema italiano nonostante una critica professionale ancora poco attenta alle qualità delle sue opere. Ambra Angiolini bravissima, si rivela essere una delle migliori attrici italiane del momento.
Sceneggiatura di buon spessore. Linguaggio cinematografico ricco di invenzioni pur in un contesto narrativo stilistico già noto da tempo che fa venire in mente l’epoca d’oro del film sociale italiano degli anni ’60.
Il cinema italiano può solo ripartire da qui, da una letteratura visiva legata ai nuovi drammi sociali che riflettono la difficile realtà proletaria di oggi del nostro paese.
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