#cambiaverso sempre e comunque: Le riforme e le fughe in avanti….

#cambiaverso sempre e comunque:

Le riforme e le fughe in avanti….

#cambiaverso sempre e comunque:

Le riforme e le fughe in avanti….

Ci sono dei fatti che suonano come sintomi. Di un paese che perde la propria identità e la propria visione del futuro.

Che in Italia fare e, soprattutto, applicare le riforme sia cosa ardua, lo sappiamo bene tutti. Che noi Italiani siamo specializzati nel volere rigore e nettezza, ma solo quando non ci riguarda direttamente, personalmente, lo viviamo spesso sulla nostra pelle.

Che si sia, in questo paese, di fronte a una contrapposizione frontale tra una pulsione di innovazione generale, quasi una iconoclastia del passato, tutto, senza distinzioni, e una resistenza al cambiamento, ma senza visione del futuro, incapace di rispondere alle domande mutate dell’oggi senza riproporre stereotipi antichi e ormai sconosciuti, che questo sia lo scontro in atto, trasversale nei partiti e nella società, lo si percepisce ogni giorno con maggiore chiarezza.


Che, da questo scontro, rischi di non prodursi alcunchè di positivo, a vedere alcuni fatti, lo temiamo in molti. Consapevoli che il troppo ritardo accumulato per riformare il nostro Stato e il nostro paese, determini, oggi, una fretta e una violenza che abbia dimensioni distruttive invece che innovative.

Tutta questa premessa, forse un poco enfatica, per arrivare, ancora una volta, ai nostri porti e alle norme che li regolano. Che presentano situazioni che contengono molto delle cose prima scritte.

Qualche giorno fa, improvvisamente, non si sa bene da chi, è stata diffusa una velina che conteneva una bozza di un disegno di legge, allo studio presso il Ministero dello Sviluppo economico, che riguardava anche l’assetto dei porti italiani, sia da un punto di vista istituzionale, che da quello più stringentemente economico. Una serie di norme che erano inserite all’interno di un provvedimento per favorire la competitività del paese allo studio dello stesso Ministero. Tutte improntate al criterio della massima liberalizzazione e ai principi della concorrenza.


Mi direte: e allora? Allora, vorrei ricordare due cose:

1.   Della riforma della 84/94 si parla da anni, molti, e della materia si sta occupando sia il Parlamento che il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture;

2.   La normativa vigente nei paesi europei, su questa materia, tiene in massimo conto la particolarità degli assetti portuali. Solo per ricordare un fatto, notevole per l’impatto che ha sulla realtà: i privati lavorano nei porti su terreni e strutture in concessione, non in proprietà. Strutture  e terreni su cui devono impegnare ingenti investimenti finalizzati alla realizzazione degli obiettivi delle imprese, che devono contemperarsi con la pubblica utilità che lo Stato deve ricevere dalla concessione.

Quindi ne derivano due domande:

1.   Esiste un coordinamento tra i Ministeri? E’ possibile che due ministeri dello stesso Governo lavorino sulla stessa materia con ipotesi totalmente difformi?

2.   Esiste la consapevolezza, a livello governativo, che l’ansia riformatrice non può smantellare una realtà in corso, applicando sulla stessa concetti e soluzioni generali, che non tengono conto della particolarità del settore, come invece si fa in tutto il resto di Europa, anche in presenza di soluzioni improntate alla massima liberalità?

La Legge 84/94 è stata una vera riforma, silenziosa ma profonda, che ha concretamente modificato la realtà dei porti italiani.

 

Ciò nonostante un aggiornamento della 84/94 è necessario, ma non perché il comparto portuale sia in crisi o perché la legge non abbia prodotto effetti assai positivi.

E’ per effetto della 84/94 che è nata la categoria dei terminalisti portuali, che hanno assunto un ruolo centrale nello sviluppo della portualità italiana, garantendo investimenti per miliardi di Euro sulle aree e sugli equipment, anche quelli difficilmente amovibili (ad esempio le gru su rotaia di banchina o di piazzale) e sviluppando occupazione BUONA, con limitatissima precarietà (oltre il 95% dei dipendenti dei terminal hanno contratti a tempo indeterminato) e buoni salari.

E’ per effetto della 84/94 che si è dato un assetto sulla organizzazione del lavoro che consente un equilibrio tra le esigenze di flessibilità dell’orario di lavoro, non del rapporto di lavoro, e la stabilità occupazionale. Principi su cui è nato il CCNL, Contratto che ha incentivato la contrattazione integrativa imperniata sui salari di risultato e sull’efficienza (la diffusione della contrattazione integrativa tra le aziende terminalistiche supera il 90%).

E la stessa chiarezza normativa si è raggiunta in materia di appalto di servizi e operazioni portuali e di  fornitura di lavoro temporaneo, attraverso gli artt. 16 e 17 della Legge.

Non è un caso se il comparto portuale, a livello nazionale, pur con situazioni di difficoltà, abbia registrato un ricorso limitato agli ammortizzatori sociali e abbia sostanzialmente tenuto dal punto di vista occupazionale nel corso della lunga crisi che stiamo vivendo da ormai 7 anni.

Quindi cosa c’è da cambiare?

Io credo che i fronti aperti su cui intervenire siano essenzialmente tre, che attengono a una modifica della norma, ad una corretta e uniforme applicazione della stessa e a un deciso cambiamento del contesto generale in cui agisce la portualità italiana.


1.   La modifica: La 84/94 non disciplina il tema della fine concessione. Non è una cosa banale. E’ un elemento che condiziona la possibilità e la capacità di investimento delle imprese che agiscono sulla concessione. Se consideriamo che la L.84/94 ha compiuto 20 anni e che le concessioni rilasciate all’inizio del nuovo regime avevano una durata variabile, ma spesso sotto i 30 anni, allora possiamo constatare che molte imprese terminalistiche sono entrate negli ultimi 10 anni di titolarità della concessione. Una situazione che non consente investimenti significativi, in assenza di una qualsiasi garanzia o sulla possibilità temporale di ammortamento o su meccanismi di indennizzo per le parti residue di investimento non ammortizzate. In molte situazioni le Autorità Portuali hanno agito con il meccanismo della proroga dei termini, a fronte di nuovi piani di investimento proposti dal terminalista. Ma non c’è su questo una specificaindicazione  della norma di legge. Addirittura la bozza circolata dal MISE prevedeva la revoca automatica della concessione non assegnata in gara e il divieto di proroga…. In Europa le proroghe vengono usualmente concesse; ad esempio in Olanda hanno optato per modificare il regime concessorio trasformandolo in regime locativo, su cui si può agevolmente applicare la proroga. Qui siamo fermi.

2.   La corretta e uniforme applicazione: sul tema lavoro abbiamo assistito ad un adattamento della legge alle realtà tradizionali dei singoli porti. Questo ha prodotto qualche distorsione nella concorrenza tra i porti – ricordo ancora una volta che la voce “lavoro” incide per più del 60% dei costi di una impresa portuale – e ha vanificato in parte il grande lavoro svolto per costruire un contratto nazionale di lavoro unificato dai 13 che preesistevano al 2000. La mia opinione è che si debba dare piena e uniforme applicazione alle previsioni della 84/94, offrendo in ogni porto alle imprese terminalistiche la possibilità di scegliere la propria organizzazione del lavoro ricorrendo alla integrazione del proprio organico da parte dell’art. 17 o all’appalto di porzioni uniformi del proprio ciclo operativo utilizzando le imprese autorizzate ex art. 16 o alla combinazione tra le due soluzioni. Non concordo affatto né con chi propone ritorni alla cara vecchia tradizione del monopolio su un unico soggetto che fornisca lavoro e servizi, né con chi presuppone liberalizzazioni del mercato del lavoro che non tengano conto delle esigenze di stabilità, di professionalità e, quindi, di sicurezza che sono indispensabili al sistema. Se ci sono problemi in giro per i porti italiani ciò non è dovuto alla Legge, ma alla sua parziale o difforme applicazione. 

3.   Il cambiamento del contesto: un passo avanti, importante, è stato compiuto con il famoso art 29 dello “sblocca Italia” che, finalmente, attribuisce valore e valenza nazionale alle scelte di investimento sulle infrastrutture portuali, sottraendo la decisione sugli investimenti alle comunità locali. Sulle difformità applicative delle norme sulle concessioni e sul  lavoro ho già detto. Restano le questioni non direttamente connesse alla 84/94, ma che incidono pesantemente sulla salute della categoria e sulle prospettive di sviluppo: la semplificazione burocratica e la semplificazione e continuità degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria degli ambiti portuali, in primis i dragaggi, le elettrificazioni delle banchine per attenuare l’inquinamento prodotto dalle navi e rendere così più compatibile il porto e il suo lavoro con le città.

 

In ogni città portuale sarebbe utile e positivo si aprisse una discussione su questi temi, una discussione che superi le contingenze e interessi fortemente le istituzioni locali.

Torno a ripetere che Savona ne è fortemente interessata e che questa discussione potrebbe avere una valenza progettuale e programmatica utile alla reputazione della nostra città e del nostro porto.

Luca Becce   

 

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