Ha avuto così poco; è passato così presto; era capace di tanta allegra amicizia;era bravo a lavorare.
SI CHIAMAVA ANGELO DI PAOLO
                                                 di
Sergio Giuliani      versione stampabile

 Era un ragazzetto scuro di capelli e di pelle, dai lineamenti del volto molto marcati ed un poco primitivi. Per non so qual difetto, aveva le spalle incurvate in avanti e girava la testa con fatica per guardar di lato coi grandi occhi marroni spinti all’estremo dell’orbita.

I muratori dell’impresa lo canzonavano, ma bonariamente, anche se gli gridavano sempre di esser più veloce ad issare con la carrucola e la fune (allora non c’erano gli elevatori!) carichi di “pronta” o di mattoni fino al tetto da riparare, dove c’era sempre urgenza di materiale per le abili e svelte mani dei lavoranti. Lui accettava senza rispondere, badando  ad obbedire.

 Lo rividi poi, fatto uomo e messosi in proprio, allorché ristrutturò; meglio ricostruì da capo, la casa di miei amici. Aveva acquisito una grande maestria nel lavoro edile e gran sveltezza, malgrado la rigidezza del suo busto nel lavorare. Ci comandava con gioia, noi che lo aiutammo volentieri come bocia a cacciar via “zeto” ed a portargli mattoni, ferri e sacchi di cemento per lavorare. Bisognava fare alla svelta, particolarmente quando si incementavano i piani orizzontali o le colonne nelle loro armature, che il giorno dopo venivano destramente tolte per essere rifissate. Tutto da solo, il lavoro difficile, cantando di continuo vecchie canzoni con voce tonante: una ne ricordo,”Rocche bianche”, una storia partigiana che non ho più risentito.

La casa fu terminata e Angelo fu a capotavola nel pranzo di inaugurazione, allorché nonna Marina aveva preparato l’agnello da lei allevato con i carciofi e Tino aveva portato su dalla cantina il vino imbottigliato dal babbo.

Poi…..la sorpresa! L’amico e collega don Peluffo aveva ora la sua chiesa di San Paolo in corso Tardy e Benech, fuori, finalmente, dal garage di via Trilussa. Ritrovai qui Angelo a lavorare al grande Cristo di Parini nell’abside della modernissima costruzione nella quale m’è toccato di dar l’ultimo saluto a tanti che conoscevo e che adesso sono soltanto icone nella memoria.

Si andava realizzando su un grandissimo pannello ligneo composto la struttura scatolata, anch’essa in legno e rilevata del Cristo che sarebbe stata issata dietro l’altare, riempita alle spalle di cemento su cui sarebbe rimasta, eterna e scavata, l’immagine.

Mi parve un gran lavoro d’arte e d’artigianato. Chiesi ad Angelo come avrebbe garantito il diffondersi della malta tutto eguale attorno ai rilievi del legno e mi rispose con una sicurezza un poco millantata. Aggiunse:”Non è certo facile, ma….” E sorrise.

Buon Natale ad Angelo, al bellissimo e perfetto Cristo in gloria, preciso ed efficace ei suoi profili di cemento e che spesso, passando da San Paolo, entro a rivedere.

Probabilmente Angelo è morto per bontà. Disponibile ed amico di tutti com’era, lui del sud, fattosi valdese ad ogni effetto, è incappato in una situazione disperata e disgraziata. E’ stato preso a fucilate, nel centro di Vado, da un marito che non sopportò che lui conoscesse la moglie abbandonata coi figli e che le portasse umana solidarietà, o, forse, anche amore.

Non me ne vorrà, l’artista Gian Paolo Parini se ricordo così importante nel suo capolavoro anche Angelo. Ha avuto così poco; è passato così presto; era capace di tanta allegra amicizia; era bravo a lavorare. E’ Natale e farò il solito “salto” a san Paolo. Per risentire una voce amica.

 

                                                                                            Sergio Giuliani