ALBISSOLA: L’ETICA E IL TERRITORIO di Antonia Briuglia Non è moralismo né giustizialismo, né amara convinzione
che dobbiamo arrenderci all’abitudine della notizia
dell’ennesima inchiesta con i soliti capi d’accusa, con i soliti
imprenditori e i soliti uomini politici, che non sono più in
grado di finire il loro mandato senza rimanere invischiati in
quella o in quell’altra vicenda d’illecito o di abuso. Non è neppure la convinzione del fallimento della
classe politica, che non sa amministrare senza rimanere
coinvolta in un sistema caratterizzato da quella che si può,
sempre più, definire”bassa marea morale”. Non è l’interesse morboso per l’ennesima
vicenda giudiziaria che comincia in sordina e poi riempie le
pagine dei quotidiani locali, dove si sprecano dietrologie e
attestati di stima incondizionata verso l’attuale malcapitato. E’ piuttosto la rabbia per l’inevitabile e
incontestato, ennesimo episodio di allucinante sfruttamento del
territorio dove a dettare legge sono più gli interessi
indiscussi di disinvolti imprenditori che quelli dell’interesse
di un’intera cittadinanza. Una volta, e ancora oggi in alcune regioni
arretrate dell’Italia, ciò avveniva in zone franche, dove le
leggi non esistevano o la loro scarsa incisività lasciava un
margine ampio a chi, con la complicità delle Autorità,
registrava e consolidava il proprio profitto. Oggi non è più così. Piani
regolatori o PUC, sanciscono e avvallano quello che, un tempo,
sarebbe stata etichettata:
speculazione edilizia. Anche nel caso delle costruzioni oggetto
dell’inchiesta, a Grana, si è assistito, inermi, alla
costruzione di numerosi palazzi accostati gli uni agli altri
all’inverosimile, proprio a evidenziare l’incapacità di un
territorio a sostenerli. La zona, che un tempo ospitava fabbriche
dismesse ma già densamente edificata, oggi appare, come si
poteva prevedere, costruita all’esasperazione, in un’iperbole
dove solo il cemento la fa da padrone. Alcuni dei primi palazzi edificati hanno
appartamenti già abitati da qualche anno, eppure ancora non
esiste un’adeguata viabilità, non esiste il verde, non si sa se
le opere fognarie dell’intera zona, visto il consistente nuovo
insediamento, siano state adeguatamente ristrutturate in modo da
non pesare ulteriormente sull’abitato dei quartieri vicini, già
densamente abitati.
Oggi vediamo solo
centinaia di alloggi in grandi “casamenti”,
(come Fazio soleva chiamarli, altro che
palazzine!) accostati gli uni agli altri in un
quartiere chiamato, non senza un significato
ironico ”I
giardini di Arcos”.
Un quartiere dove
“riqualificare”, per il Piano Urbanistico
Comunale di Albissola Marina, ha voluto dire
prevedere la costruzione di una quantità
smoderata di metri cubi di cemento. Una storia
urbanistica nata dieci anni fa, all’inizio della
prima legislatura del
Sindaco Parodi
di centro-destra che
ereditava già dal
Sindaco Ferrari,
della precedente Giunta di centro-sinistra, il
Piano Regolatore che la conteneva.
Proprio per questo
motivo, contrariamente a quanto, in questi
giorni il PD albissolese dichiara, non c’è mai
stata una vera e incisiva opposizione a
quest’operazione che non è stata mai, di fatto,
osteggiata dall’allora minoranza consiliare. Prova ne è che, ancora oggi,
l’attuale giunta tornata al centro sinistra,
parla di un’altra edificazione anche nell’area
camper adiacente a quella in oggetto. L’urbanistica creativa sembra
essere quella scelta da tutte le
Amministrazioni, in barba alla storia della
legislazione che impone standard urbanistici e
planivolumetrici, sulla cui osservanza ci si è
battuti strenuamente per decenni. Inoltre il
mancato e continuo controllo
sulla realizzazione delle opere
di urbanizzazione, aggrava
fortemente l’operazione di
effettiva rapina del patrimonio
urbanistico da parte degli
interessi economici di alcuni
che, dopo avere avuto il
supporto dei Comuni , non
ripagano come previsto. Ma
forse questa è ritenuta una valutazione snob, di
“pantofolai” o piuttosto di “vecchi” che non
amano le novità. Mi si spieghi allora, con
argomenti convincenti, quale aspetto qualitativo
si nasconde in quello che ha tutta l’aria del
solito quartiere dormitorio di periferia dove il
vetro e l’acciaio, repressivi e rattristanti, la
fanno da padroni? Quale studio sociologico ha
partorito un paese nel paese, che ha solo un
piccolo bar, un supermercato e un “fai da te”
come servizi di quartiere?
Mi si dimostri che la
novità sia motivata almeno da un’architettura
bioclimatica dove la produzione di energia, il
suo risparmio, tetti verdi e riciclo dell’acqua,
predisposizione concreta alla raccolta
differenziata e la viabilità e le zone verdi
siano il “nuovo”
ad Albissola. Nulla di tutto questo. Eppure si continua a
edificare, anche quando si sostiene di avere
ereditato un disastro, come se fosse
ineluttabile, impossibile da fermare. Come fosse impossibile
rimediare alla mancanza di etica con la quale si
affronta il territorio e quindi tutto l’ambiente
di una città. Mi sento garantista anch’io,
ma una cosa è certa: le Amministrazioni hanno
avuto, spesso, interlocutori di dubbia
reputazione che sono stati oggetto d’indagini a
vario titolo e nei confronti dei quali, ancor
più spesso, le prime hanno avuto atteggiamenti
di sudditanza. Nelle riunioni politiche,
all’interno dei palazzi Comunali, si è discusso
più della credibilità delle lottizzazioni basata
sulla convenienza del privato che della loro
reale condizione di presupposto urbanistico.
Si sono cercati gli
strumenti per togliere ogni intralcio
all’autorizzazione edilizia, creando le
condizioni di un reale spossessamento dei poteri
all’Amministrazione pubblica e di un
allargamento delle maglie di una vera e propria
speculazione
fondiaria. Non è moralismo, né voglia di
giustizialismo ma il profondo rammarico che,
ancora una volta, non sia la classe politica a
farsi garante dell’etica dell’amministrare e del
gestire quel che resta del nostro territorio.
ANTONIA BRIUGLIA
Stefano Parodi