TRUCIOLI
SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni ALBISSOLA: L’ETICA E IL TERRITORIO Non è moralismo né giustizialismo, né amara
convinzione che dobbiamo arrenderci all’abitudine della notizia
dell’ennesima inchiesta con i soliti capi d’accusa, con i soliti
imprenditori e i soliti uomini politici, che non sono più in grado di
finire il loro mandato senza rimanere invischiati in quella o in
quell’altra vicenda d’illecito o di abuso. Non è neppure la convinzione del fallimento
della classe politica, che non sa amministrare senza rimanere coinvolta
in un sistema caratterizzato da quella che si può, sempre più,
definire”bassa marea morale”. Non è l’interesse morboso per l’ennesima
vicenda giudiziaria che comincia in sordina e poi riempie le pagine dei
quotidiani locali, dove si sprecano dietrologie e attestati di stima
incondizionata verso l’attuale malcapitato. E’ piuttosto la rabbia per l’inevitabile e
incontestato, ennesimo episodio di allucinante sfruttamento del
territorio dove a dettare legge sono più gli interessi indiscussi di
disinvolti imprenditori che quelli dell’interesse di un’intera
cittadinanza. Una volta, e ancora oggi in alcune regioni
arretrate dell’Italia, ciò avveniva in zone franche, dove le leggi non
esistevano o la loro scarsa incisività lasciava un margine ampio a chi,
con la complicità delle Autorità, registrava e consolidava il proprio
profitto. Oggi non è più così. Piani regolatori o PUC, sanciscono e
avvallano quello che, un tempo, sarebbe stata etichettata:
speculazione edilizia. Anche nel caso delle costruzioni oggetto
dell’inchiesta, a Grana, si è assistito, inermi, alla costruzione di
numerosi palazzi accostati gli uni agli altri all’inverosimile, proprio
a evidenziare l’incapacità di un territorio a sostenerli. La zona, che un tempo ospitava fabbriche
dismesse ma già densamente edificata, oggi appare, come si poteva
prevedere, costruita all’esasperazione, in un’iperbole dove solo il
cemento la fa da padrone. Alcuni dei primi palazzi edificati hanno
appartamenti già abitati da qualche anno, eppure ancora non esiste
un’adeguata viabilità, non esiste il verde, non si sa se le opere
fognarie dell’intera zona, visto il consistente nuovo insediamento,
siano state adeguatamente ristrutturate in modo da non pesare
ulteriormente sull’abitato dei quartieri vicini, già densamente abitati. Non si comprende, inoltre, quali siano le “opere
a scomputo” che avrebbe dovuto costruire l’impresa in cambio di
tanto permissivismo edificatorio. Opere di urbanizzazione e oneri che
continuano a essere condizione imposta per ottenere le concessioni
edilizie. Oggi vediamo solo centinaia di alloggi in
grandi “casamenti”, (come Fazio soleva chiamarli, altro che palazzine!)
accostati gli uni agli altri in un quartiere chiamato, non senza un
significato ironico ”I giardini di Arcos”. Un quartiere dove “riqualificare”, per il
Piano Urbanistico Comunale di Albissola Marina, ha voluto dire prevedere
la costruzione di una quantità smoderata di metri cubi di cemento. Una
storia urbanistica nata dieci anni fa, all’inizio della prima
legislatura del Sindaco Parodi di centro-destra che ereditava già
dal Sindaco Ferrari, della precedente Giunta di centro-sinistra,
il Piano Regolatore che la conteneva. Proprio per questo motivo, contrariamente a
quanto, in questi giorni il PD albissolese dichiara, non c’è mai stata
una vera e incisiva opposizione a quest’operazione che non è stata mai,
di fatto, osteggiata dall’allora minoranza consiliare. Prova ne è che, ancora oggi, l’attuale giunta
tornata al centro sinistra, parla di un’altra edificazione anche
nell’area camper adiacente a quella in oggetto. L’urbanistica creativa sembra essere quella
scelta da tutte le Amministrazioni, in barba alla storia della
legislazione che impone standard urbanistici e planivolumetrici, sulla
cui osservanza ci si è battuti strenuamente per decenni. Inoltre il mancato e continuo controllo sulla
realizzazione delle opere di urbanizzazione, aggrava fortemente
l’operazione di effettiva rapina del patrimonio urbanistico da parte
degli interessi economici di alcuni che, dopo avere avuto il supporto
dei Comuni , non ripagano come previsto. Inoltre, con buona pace dei “giovanilisti”
che approvano e apprezzano ogni tipo di architettura purché “nuova”, il
quartiere edificato è “mostruoso” nelle tipologie, nel posizionamento
dei fabbricati , nella compatibilità col territorio esistente. Ma forse
questa è ritenuta una valutazione snob, di “pantofolai” o piuttosto di
“vecchi” che non amano le novità. Mi si spieghi allora, con argomenti
convincenti, quale aspetto qualitativo si nasconde in quello che ha
tutta l’aria del solito quartiere dormitorio di periferia dove il vetro
e l’acciaio, repressivi e rattristanti, la fanno da padroni? Quale studio sociologico ha partorito un
paese nel paese, che ha solo un piccolo bar, un supermercato e un “fai
da te” come servizi di quartiere? Mi si dimostri che la novità sia motivata
almeno da un’architettura bioclimatica dove la produzione di energia, il
suo risparmio, tetti verdi e riciclo dell’acqua, predisposizione
concreta alla raccolta differenziata e la viabilità e le zone verdi
siano il “nuovo” ad Albissola. Nulla di tutto questo. Eppure si continua a edificare, anche quando
si sostiene di avere ereditato un disastro, come se fosse ineluttabile,
impossibile da fermare. Come fosse impossibile rimediare alla
mancanza di etica con la quale si affronta il territorio e quindi tutto
l’ambiente di una città. Mi sento garantista anch’io, ma una cosa è
certa: le Amministrazioni hanno avuto, spesso, interlocutori di dubbia
reputazione che sono stati oggetto d’indagini a vario titolo e nei
confronti dei quali, ancor più spesso, le prime hanno avuto
atteggiamenti di sudditanza. Nelle riunioni politiche, all’interno dei
palazzi Comunali, si è discusso più della credibilità delle
lottizzazioni basata sulla convenienza del privato che della loro reale
condizione di presupposto urbanistico. Si sono cercati gli strumenti per togliere
ogni intralcio all’autorizzazione edilizia, creando le condizioni di un
reale spossessamento dei poteri all’Amministrazione pubblica e di un
allargamento delle maglie di una vera e propria speculazione
fondiaria. Non è moralismo, né voglia di giustizialismo
ma il profondo rammarico che, ancora una volta, non sia la classe
politica a farsi garante dell’etica dell’amministrare e del gestire quel
che resta del nostro territorio.
ANTONIA BRIUGLIA
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