CONSIDERAZIONI
SULLA VIOLENZA
di Fulvio Sguerso
Di fronte alla violenza non possono essere
accettate subordinate, ammiccamenti o tantomeno
giustificazioni. Il giorno che la politica
italiana tutta lo avrà compreso fino in fondo,
allora sarà veramente matura” (Mario Calabresi, |
Il dolore e l’offesa (e il
dolore dell’offesa), è vero, non possono che
ispirare pietà e disumano sarebbe non provarne.
E ora a me pare fuori luogo disquisire sulle
ragioni e sui torti dell’aggredito e
dell’aggressore: di fronte a un atto gratuito e
irrazionale che cosa si può dire? Di fronte a un
uomo aggredito proditoriamente, nel cuore stesso
della sua Milano, mentre stringeva mani lieto e
sicuro, vezzeggiato e festeggiato da una folla
adorante, chiunque esso sia, non si può che,
appunto, provare sgomento e pietà. Non si può? A
quanto pare qualcuno può. Che cosa? Non solo non
provare pietà, ma addirittura provare un insano
piacere nel vedere l’uomo ricco e potente,
osannato “dalla maggioranza degli italiani”,
ferito al volto accasciarsi a terra, umiliato e
dolorante, in un attimo spogliato della sua aura
quasi regale e ridotto a un poveruomo smarrito e
incredulo che si potesse arrivare a tanto odio
nei suoi confronti, contro un uomo così tenero
di cuore e così amato da tanti e da tante. Come è possibile? Non viviamo
forse in una società educata e civile che si è
da lunga pezza lasciata alle spalle la “selva
primitiva” in cui vigeva la legge del più forte
e del più prepotente? E non è stata da tempo
superata e confutata dai fatti quella desolata e
desolante idea hobbesiana dell’uomo come lupo
all’altro uomo? E non si è forse rivelata
fuorviante la famosa allegoria degli
uomini-porcospini di Schopenhauer? E che dire di quella strana
teoria del dottor Freud, secondo la quale alla
base della sessualità e dell’autoconservazione
troviamo la violenza in continua tensione
dialettica con la libido, cioè con le pulsioni
vitali del giovinetto Eros? E non si vorrà per
caso alludere a una qualche immaturità
etico-poltica dell’italiano medio, così
facilmente suggestionabile e incline all’immensa
invidia e alla
pietà
profonda, all’inestinguibil
odio e all’indomato
amor? Certo è che, salvo nella mitica età
dell’oro o nel paradiso terrestre prima della
tentazione e caduta di Adamo, la storia
conosciuta ci parla più di guerra che di pace, e
di pace come preparazione della guerra, e della
politica come continuazione della guerra con
altri mezzi, e di potenze e di superpotenze che
si contendono con ogni mezzo le risorse sempre
più scarse del Pianeta. Ma esisterà pure un modo
per far sì che gli uomini e le donne vivano in
pace e in concordia, senza guardare in cagnesco
chi la pensa diversamente, o chi denuncia
ingiustizie, o chi dice ad alta voce che il re è
nudo! Ci sarà pure giustizia a questo mondo! Ci
sarà, da qualche parte, una Legge fondamentale a
cui tutti, ma proprio tutti gli appartenenti a
una comunità devono obbedire! Eh già, abbiamo
persino una bella Costituzione “scritta”,
peccato che per tanti rimanga lettera morta. Ma
violare o aggirare una legge concepita per
scongiurare la violenza non è una forma di
violenza? Anche la calunnia e la
menzogna divulgata a mezzo stampa, video e
internet è violenza. Dov’è finita la deontologia
professionale? E’ corretto strumentalizzare il
gesto sciagurato dell’artista fallito Tartaglia,
probabilmente vittima delle sue frustrazioni e
del conseguente delirio di onnipotenza? Il
Presidente Napolitano ha richiamato tutta la
classe politica al senso di responsabilità. Non
è la prima volta e, temo, non sarà neanche l’
ultima.
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