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CONSIDERAZIONI SULLA VIOLENZA

di Fulvio Sguerso

 

SILVIO BERLUSCONI COLPITO AL VOLTO DURANTE UN COMIZIO A MILANO. BOSSI "E' TERRORISMO" Di fronte alla violenza non possono essere accettate subordinate, ammiccamenti o tantomeno giustificazioni. Il giorno che la politica italiana tutta lo avrà compreso fino in fondo, allora sarà veramente matura” (Mario Calabresi, La Stampa, 14/12/09). Giusto: la violenza è sempre esecrabile, odiosa, intollerabile; quella fisica e gratuita, poi, grida vendetta al Cielo in quanto è un’offesa all’umanità colpita in un singolo uomo (o una singola donna), una ferita indelebile non solo al corpo dell’aggredito ma anche alla sua anima. “Il volto ferito e pieno di sangue di Silvio Berlusconi  - prosegue Calabresi - non può che lasciare sgomenti, non riesco ad immaginare una persona seria e che ami definirsi democratica e perbene che possa avere una reazione diversa”.

Il dolore e l’offesa (e il dolore dell’offesa), è vero, non possono che ispirare pietà e disumano sarebbe non provarne. E ora a me pare fuori luogo disquisire sulle ragioni e sui torti dell’aggredito e dell’aggressore: di fronte a un atto gratuito e irrazionale che cosa si può dire? Di fronte a un uomo aggredito proditoriamente, nel cuore stesso della sua Milano, mentre stringeva mani lieto e sicuro, vezzeggiato e festeggiato da una folla adorante, chiunque esso sia, non si può che, appunto, provare sgomento e pietà. Non si può? A quanto pare qualcuno può. Che cosa? Non solo non provare pietà, ma addirittura provare un insano piacere nel vedere l’uomo ricco e potente, osannato “dalla maggioranza degli italiani”, ferito al volto accasciarsi a terra, umiliato e dolorante, in un attimo spogliato della sua aura quasi regale e ridotto a un poveruomo smarrito e incredulo che si potesse arrivare a tanto odio nei suoi confronti, contro un uomo così tenero di cuore e così amato da tanti e da tante.

Come è possibile? Non viviamo forse in una società educata e civile che si è da lunga pezza lasciata alle spalle la “selva primitiva” in cui vigeva la legge del più forte e del più prepotente? E non è stata da tempo superata e confutata dai fatti quella desolata e desolante idea hobbesiana dell’uomo come lupo all’altro uomo? E non si è forse rivelata fuorviante la famosa allegoria degli uomini-porcospini di Schopenhauer?

E che dire di quella strana teoria del dottor Freud, secondo la quale alla base della sessualità e dell’autoconservazione troviamo la violenza in continua tensione dialettica con la libido, cioè con le pulsioni vitali del giovinetto Eros? E non si vorrà per caso alludere a una qualche immaturità etico-poltica dell’italiano medio, così facilmente suggestionabile e incline all’immensa invidia e alla pietà profonda, all’inestinguibil odio e all’indomato amor? Certo è che, salvo nella mitica età dell’oro o nel paradiso terrestre prima della tentazione e caduta di Adamo, la storia conosciuta ci parla più di guerra che di pace, e di pace come preparazione della guerra, e della politica come continuazione della guerra con altri mezzi, e di potenze e di superpotenze che si contendono con ogni mezzo le risorse sempre più scarse del Pianeta. Ma esisterà pure un modo per far sì che gli uomini e le donne vivano in pace e in concordia, senza guardare in cagnesco chi la pensa diversamente, o chi denuncia ingiustizie, o chi dice ad alta voce che il re è nudo! Ci sarà pure giustizia a questo mondo! Ci sarà, da qualche parte, una Legge fondamentale a cui tutti, ma proprio tutti gli appartenenti a una comunità devono obbedire! Eh già, abbiamo persino una bella Costituzione “scritta”, peccato che per tanti rimanga lettera morta. Ma violare o aggirare una legge concepita per scongiurare la violenza non è una forma di violenza?

Anche la calunnia e la menzogna divulgata a mezzo stampa, video e internet è violenza. Dov’è finita la deontologia professionale? E’ corretto strumentalizzare il gesto sciagurato dell’artista fallito Tartaglia, probabilmente vittima delle sue frustrazioni e del conseguente delirio di onnipotenza?

Il Presidente Napolitano ha richiamato tutta la classe politica al senso di responsabilità. Non è la prima volta e, temo, non sarà neanche l’ ultima.

Fulvio Sguerso

       

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