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PROCESSI BREVI (FORSE) PARCELLE PESANTI (SEMPRE)

 

  Marco Giacinto Pellifroni

 


M. G. Pellifroni

Si continua a discettare sui pro e i contro del processo breve, approvato a spron battente dal Senato e di imminente dibattito alla Camera. Sarebbe ora che si parlasse anche di come il cittadino comune vive il calvario dei processi. Se è costretto a ricorrervi per aver subito un torto, egli si ritrova alla mercè di un giudice e di un avvocato. Il secondo ha tutto l’interesse a far durare il processo il più a lungo possibile, per giustificare le voci legalmente quanto assurdamente alte della sua parcella. Il primo è indifferente ai tempi lunghi, tanto il suo orario lavorativo è, a quanto apprendo, di 4 fino a 6 ore al giorno (una brevità superata solo dall’orario settimanale dei parlamentari: 8,6 ore, pagate a circa € 600 l’ora, superando persino gli avvocati!).

In mezzo a tutti questi privilegiati, il cittadino, con uno stipendio medio di € 1200 al mese, magari pure precario, è il classico vaso di coccio tra vasi di ferro, e in genere si ritira terrorizzato. L’obiettivo del processo breve viene così raggiunto: non lo si fa proprio, si auto-prescrive!

Cito il caso di un normale cittadino che, scontento delle prestazioni del suo avvocato in un contenzioso stragiudiziale, decide di passare ad altro legale. Non l’avesse mai fatto: l’avvocato ripudiato lo sommerge di parcelle, per qualunque parola gli era sfuggita di bocca in passato, facendola passare per un “parere”, e dando per buona ogni sua prestazione, anche se gravemente carente o addirittura sbagliata, sfociando in un pignoramento; infiocchetta le sue pretese con le ampollose voci della tariffa forense e grava il finale di un 10% di “rimborso forfetario” (concesso per legge agli avvocati, “a prescindere”), ci applica il 2% CPA (cassa previdenza avvocati) e su questo nuovo sub-totale calcola infine l’Iva del 20%. L’onorario, già abnorme, viene quindi appesantito da questi balzelli finali, per cui da 100 passa a 134,64, a beneficio dell’avvocato e dello Stato.* Roba da far impallidire chiunque non abbia le tasche foderate di bigliettoni. “Le spese legali –mi confidava candidamente un avvocato- pesano non tanto per gli addebiti del tribunale, quanto per quelli dell’avvocato”.
Avvocato che, al pari del giudice, e nonostante esista un codice deontologico di comportamento che stigmatizza le sue cattive prestazioni, non risponde in realtà della qualità del suo servizio né dell’esito della causa: va pagato comunque. L’unica deroga è a suo vantaggio, in quanto può pattuire un supplemento di compenso in caso di vittoria, quindi non in sostituzione, ma in aggiunta a quanto previsto dalla tabella forense (cosiddetto “patto di quota lite”, sconosciuto nei paesi anglosassoni, dove addirittura vigono i contingent fees, per i quali ad una quota dei risarcimenti spettanti all’avvocato fa da contrappeso il suo accollo di rischio e spese di processo). **   

Per chi avesse avuto la fortuna, o l’accortezza, di schivare le aule di giustizia, faccio un elenco esemplificativo delle voci di cui sono infarcite in piena legalità le parcelle di un avvocato per una causa tipo.

Nel capitolo DIRITTI si legge: “posizione e archivio”, “esame e studio pratica”, “delega e autentica”, “comparsa di costituzione”, “copie documenti”, “fascicolo”, “accesso uffici”, “deposito”, “esame ordinanza”, “esame missive”, “consultazioni avv. X”, “consultazioni ing. Y”, “conferenze di trattazione”, “vacazione fuori sede”, “domiciliazione”, “nota spese”, “corrispondenza”, “collazione e scritture”, ecc., con alcune voci ripetute più volte.

Nel capitolo ONORARI si trova: “studio controversia”, “indennità trasferta”, “consultazioni”, “comparsa costituzione e risposta”.

In tutta questa ridda di voci, spesso rappresentanti pomposamente mansioni di routine ma comunque estremamente salate, possono celarsene anche alcune di pura fantasia, ad es. quella relativa alla trasferta, non necessariamente accompagnata da pezze giustificative. L’onere della prova, infatti, non spetta all’avvocato, che dimostri documentalmente di averla effettuata, ma al cliente, che deve dimostrarne l’eventuale non veridicità.

Quando si parla di caste, della politica e della magistratura, sarebbe il caso di estendere il discorso a quella degli avvocati, che tra l’altro se ti intentano una causa a proprio beneficio, come nel succitato esempio, godono dell’esenzione da ogni onorario, in quanto si fanno difendere da un avvocato amico, spesso del suo stesso studio legale, e la battaglia parte già ad armi fortemente impari, a tutto danno del cittadino inerme, che deve rivolgersi ad un nuovo avvocato per difendersi dal primo, con la prospettiva di ulteriori parcelle e, in caso di soccombenza, di un loro raddoppio.

Vedremo se, nel ribollire di proposte per accelerare o evitare i processi, tra cui la procedura conciliativa obbligatoria, preliminare all’eventuale ricorso in giudizio, si addiverrà anche ad una minore sperequazione tra la figura dell’avvocato (e di altri professionisti) e quella del cittadino comune, a cominciare dal numero delle voci di addebito e dalla loro irrealistica entità. A giudicare dal numero di avvocati presenti in parlamento, ho l’impressione che si parta già sbilanciati…

 

* Analoga cascata di gravami del 10% forfetario + 2% (contributi Inarcassa) + 20% Iva vige per le parcelle di altri ordini professionali, ad es. quello di ingegneri e architetti.

** V. Luca Frumento su Il Sole-24 Ore del 3/06/2006, “Dividere il risarcimento con l’avvocato? È vietato”. La vignetta è ripresa dallo stesso articolo.     

                                

 

Marco Giacinto Pellifroni                                                  15 novembre 2009