versione stampabile PROCESSI BREVI (FORSE) PARCELLE PESANTI (SEMPRE)
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M. G. Pellifroni |
Si continua a discettare sui pro e i
contro del processo breve, approvato a spron battente dal Senato
e di imminente dibattito alla Camera. Sarebbe ora che si
parlasse anche di come il cittadino comune vive il calvario dei
processi. Se è costretto a ricorrervi per aver subito un torto,
egli si ritrova alla mercè di un giudice e di un avvocato. Il
secondo ha tutto l’interesse a far durare il processo il più a
lungo possibile, per giustificare le voci legalmente quanto
assurdamente alte della sua parcella. Il primo è indifferente ai
tempi lunghi, tanto il suo orario lavorativo è, a quanto
apprendo, di 4 fino a 6 ore al giorno (una brevità superata solo
dall’orario settimanale dei parlamentari: 8,6 ore, pagate a
circa € 600 l’ora, superando persino gli avvocati!). |
In mezzo a tutti questi
privilegiati, il cittadino, con uno stipendio
medio di € 1200 al mese, magari pure precario, è
il classico vaso di coccio tra vasi di ferro, e
in genere si ritira terrorizzato. L’obiettivo
del processo breve viene così raggiunto: non lo
si fa proprio, si auto-prescrive! |
Per chi avesse avuto la
fortuna, o l’accortezza, di schivare le aule di
giustizia, faccio un elenco esemplificativo
delle voci di cui sono infarcite in piena
legalità le parcelle di un avvocato per una
causa tipo. Nel capitolo DIRITTI si
legge: “posizione e archivio”, “esame e studio
pratica”, “delega e autentica”, “comparsa di
costituzione”, “copie documenti”, “fascicolo”,
“accesso uffici”, “deposito”, “esame ordinanza”,
“esame missive”, “consultazioni avv. X”,
“consultazioni ing. Y”, “conferenze di
trattazione”, “vacazione fuori sede”,
“domiciliazione”, “nota spese”,
“corrispondenza”, “collazione e scritture”,
ecc., con alcune voci ripetute più volte. Nel capitolo ONORARI si
trova: “studio controversia”, “indennità
trasferta”, “consultazioni”, “comparsa
costituzione e risposta”. In tutta questa ridda di
voci, spesso rappresentanti pomposamente
mansioni di routine ma comunque estremamente
salate, possono celarsene anche alcune di pura
fantasia, ad es. quella relativa alla trasferta,
non necessariamente accompagnata da pezze
giustificative. L’onere della prova, infatti,
non spetta all’avvocato, che dimostri
documentalmente di averla effettuata, ma al
cliente, che deve dimostrarne l’eventuale non
veridicità. Quando si parla di caste,
della politica e della magistratura, sarebbe il
caso di estendere il discorso a quella degli
avvocati, che tra l’altro se ti intentano una
causa a proprio beneficio, come nel succitato
esempio, godono dell’esenzione da ogni onorario,
in quanto si fanno difendere da un avvocato
amico, spesso del suo stesso studio legale, e la
battaglia parte già ad armi fortemente impari, a
tutto danno del cittadino inerme, che deve
rivolgersi ad un nuovo avvocato per difendersi
dal primo, con la prospettiva di ulteriori
parcelle e, in caso di soccombenza, di un loro
raddoppio. Vedremo se, nel ribollire di
proposte per accelerare o evitare i processi,
tra cui la procedura conciliativa obbligatoria,
preliminare all’eventuale ricorso in giudizio,
si addiverrà anche ad una minore sperequazione
tra la figura dell’avvocato (e di altri
professionisti) e quella del cittadino comune, a
cominciare dal numero delle voci di addebito e
dalla loro irrealistica entità. A giudicare dal
numero di avvocati presenti in parlamento, ho
l’impressione che si parta già sbilanciati… *
Analoga cascata di
gravami del 10% forfetario + 2% (contributi
Inarcassa) + 20% Iva vige per le parcelle di
altri ordini professionali, ad es. quello di
ingegneri e architetti. **
V. Luca Frumento su
Il Sole-24 Ore del 3/06/2006, “Dividere il
risarcimento con l’avvocato? È vietato”. La
vignetta è ripresa dallo stesso articolo. Marco Giacinto
Pellifroni
15 novembre 2009
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