TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
PROCESSI BREVI (FORSE) PARCELLE PESANTI (SEMPRE) Si continua a discettare sui pro e i contro del
processo breve, approvato a spron battente dal Senato e di imminente
dibattito alla Camera. Sarebbe ora che si parlasse anche di come il
cittadino comune vive il calvario dei processi. Se è costretto a
ricorrervi per aver subito un torto, egli si ritrova alla mercè di un
giudice e di un avvocato. Il secondo ha tutto l’interesse a far durare
il processo il più a lungo possibile, per giustificare le voci
legalmente quanto assurdamente alte della sua parcella. Il primo è
indifferente ai tempi lunghi, tanto il suo orario lavorativo è, a quanto
apprendo, di 4 fino a 6 ore al giorno (una brevità superata solo
dall’orario settimanale dei parlamentari: 8,6 ore, pagate a circa € 600
l’ora, superando persino gli avvocati!). In mezzo a tutti questi privilegiati, il
cittadino, con uno stipendio medio di € 1200 al mese, magari pure
precario, è il classico vaso di coccio tra vasi di ferro, e in genere si
ritira terrorizzato. L’obiettivo del processo breve viene così
raggiunto: non lo si fa proprio, si auto-prescrive! Cito il caso di un normale cittadino che,
scontento delle prestazioni del suo avvocato in un contenzioso
stragiudiziale, decide di passare ad altro legale. Non l’avesse mai
fatto: l’avvocato ripudiato lo sommerge di parcelle, per qualunque
parola gli era sfuggita di bocca in passato, facendola passare per un
“parere”, e dando per buona ogni sua prestazione, anche se gravemente
carente o addirittura sbagliata, sfociando in un pignoramento;
infiocchetta le sue pretese con le ampollose voci della tariffa forense
e grava il finale di un 10% di “rimborso forfetario” (concesso per legge
agli avvocati, “a prescindere”), ci applica il 2% CPA (cassa previdenza
avvocati) e su questo nuovo sub-totale calcola infine l’Iva del 20%.
L’onorario, già abnorme, viene quindi appesantito da questi balzelli
finali, per cui da 100 passa a 134,64, a beneficio dell’avvocato e dello
Stato.* Roba da far impallidire chiunque non abbia le tasche
foderate di bigliettoni. “Le spese legali –mi confidava candidamente un
avvocato- pesano non tanto per gli addebiti del tribunale, quanto per
quelli dell’avvocato”. Avvocato che, al pari del giudice, e nonostante
esista un codice deontologico di comportamento che stigmatizza le sue
cattive prestazioni, non risponde in realtà della qualità del suo
servizio né dell’esito della causa: va pagato comunque. L’unica deroga è
a suo vantaggio, in quanto può pattuire un supplemento di compenso
in caso di vittoria, quindi non in sostituzione, ma in aggiunta a quanto
previsto dalla tabella forense (cosiddetto “patto di quota lite”,
sconosciuto nei paesi anglosassoni, dove addirittura vigono i
contingent fees, per i quali ad una quota dei risarcimenti spettanti
all’avvocato fa da contrappeso il suo accollo di rischio e spese di
processo). ** Per chi avesse avuto la fortuna, o
l’accortezza, di schivare le aule di giustizia, faccio un elenco
esemplificativo delle voci di cui sono infarcite in piena legalità le
parcelle di un avvocato per una causa tipo. Nel capitolo DIRITTI si legge: “posizione e
archivio”, “esame e studio pratica”, “delega e autentica”, “comparsa di
costituzione”, “copie documenti”, “fascicolo”, “accesso uffici”,
“deposito”, “esame ordinanza”, “esame missive”, “consultazioni avv. X”,
“consultazioni ing. Y”, “conferenze di trattazione”, “vacazione fuori
sede”, “domiciliazione”, “nota spese”, “corrispondenza”, “collazione e
scritture”, ecc., con alcune voci ripetute più volte. Nel capitolo ONORARI si trova: “studio
controversia”, “indennità trasferta”, “consultazioni”, “comparsa
costituzione e risposta”. In tutta questa ridda di voci, spesso
rappresentanti pomposamente mansioni di routine ma comunque estremamente
salate, possono celarsene anche alcune di pura fantasia, ad es. quella
relativa alla trasferta, non necessariamente accompagnata da pezze
giustificative. L’onere della prova, infatti, non spetta all’avvocato,
che dimostri documentalmente di averla effettuata, ma al cliente, che
deve dimostrarne l’eventuale non veridicità. Quando si parla di caste, della politica e
della magistratura, sarebbe il caso di estendere il discorso a quella
degli avvocati, che tra l’altro se ti intentano una causa a proprio
beneficio, come nel succitato esempio, godono dell’esenzione da ogni
onorario, in quanto si fanno difendere da un avvocato amico, spesso del
suo stesso studio legale, e la battaglia parte già ad armi fortemente
impari, a tutto danno del cittadino inerme, che deve rivolgersi ad un
nuovo avvocato per difendersi dal primo, con la prospettiva di ulteriori
parcelle e, in caso di soccombenza, di un loro raddoppio. Vedremo se, nel ribollire di proposte per
accelerare o evitare i processi, tra cui la procedura conciliativa
obbligatoria, preliminare all’eventuale ricorso in giudizio, si
addiverrà anche ad una minore sperequazione tra la figura dell’avvocato
(e di altri professionisti) e quella del cittadino comune, a cominciare
dal numero delle voci di addebito e dalla loro irrealistica entità. A
giudicare dal numero di avvocati presenti in parlamento, ho
l’impressione che si parta già sbilanciati… * Analoga cascata di
gravami del 10% forfetario + 2% (contributi Inarcassa) + 20% Iva vige
per le parcelle di altri ordini professionali, ad es. quello di
ingegneri e architetti. ** V. Luca Frumento su Il
Sole-24 Ore del 3/06/2006, “Dividere il risarcimento con l’avvocato? È
vietato”. La vignetta è ripresa dallo stesso articolo.
Marco Giacinto Pellifroni
15 novembre 2009 |