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SENZA BUSSOLA

  Marco Giacinto Pellifroni


Marco Giacinto Pellifroni

Stiamo assistendo a un fenomeno che in inglese si definisce, specie in ambito scientifico, entanglement, ossia l’impossibilità di delimitare le competenze specifiche di un settore, in quanto l’uno influenza ed è influenzato da tutti gli altri. Il termine italiano più appropriato è forse “groviglio”.

Mi riferisco qui alle dichiarazioni fatte da uomini di governo e opposizione circa le vie per tentare di uscire dalla presente situazione economica col minor numero di ferite possibile; ma ogni soluzione inciampa nelle soluzioni altrui.

La terapia principe che viene suggerita è quella di diminuire il carico fiscale sui redditi fissi onde consentire una maggior capacità di spesa dei soggetti interessati e quindi una crescita dei consumi e un progressivo smaltimento delle scorte che stanno accumulandosi nei magazzini delle imprese a causa delle vendite in calo.

 Lo Stato, però, è già alle prese con un gettito fiscale calante proprio a causa della decrescente capacità di spesa di dipendenti e pensionati, nonché del crescente numero di disoccupati, sottoccupati, cassintegrati e precari, che concorrono sempre meno alle entrate dell’erario, sia per tasse dirette che indirette, di pari passo col continuo calo della domanda. In altro campo, la contrazione sia del numero che del valore delle compra-vendite immobiliari porta sempre  meno tributi nelle casse statali.

Lo Stato, di fronte alle pressanti richieste di detassazione che salgono da tutti i comparti produttivi, piccole e micro aziende in testa, e incapace di tagliare in forma sostanziosa la spesa pubblica (a cominciare dalla classe politica e para-politica piazzata ai vertici di aziende pubbliche e semi-pubbliche), non trova di meglio che non intervenire sul prezzo della benzina alla pompa, nonostante il dimezzamento del prezzo del greggio nel giro di soli 3 mesi; a ciò stimolato da un’accisa di ben 2/3 del prezzo finale. In pratica, fa il tifo per i petrolieri, in virtù del suo esorbitante guadagno su un bene soggetto solo a minime variazioni di consumo, quale che sia il suo prezzo. Un non intervento che risucchia risorse altrimenti disponibili per ridare fiato a consumi in altri campi e che non riguarda solo la benzina, ma tutti i prodotti energetici, pur calati drasticamente.

Peraltro, gli unici interventi del nuovo governo sono stati pannicelli caldi di fronte a un malato con la febbre a 40: la detassazione degli straordinari in un periodo di recessione in cui si fatica a mantenere l’orario di lavoro esistente; l’abbattimento totale dell’Ici sulla prima casa, a prescindere dal reddito dei beneficiari.

Tralasciando, vista l’assoluta esiguità del suo impatto sulla realtà economica, il primo provvedimento, il secondo è una semplice partita di giro, in quanto i soldi mancanti dell’Ici dovranno essere coperti da un equipollente volume finanziario che lo Stato dovrà comunque prelevare dall’erario per trasferirlo ai Comuni. Si tratta quindi soltanto di una misura di facciata, collocabile, per dirla con Veltroni, sul piano dei proclami, più che su quello dei fatti concreti: il rimborso dei soldi che alcuni risparmieranno sull’Ici sarà spalmato su tutti i contribuenti, al pari delle montagne di euro che la BCE ha devoluto nell’ultimo anno alle banche.

E a proposito di banche, salvandole sia all’americana (scambiando titoli tossici contro titoli del Tesoro) che all’europea (acquistandone azioni), si salvano anche i risparmiatori, che altrimenti vedrebbero andare in fumo i propri depositi; ma la riluttanza delle banche a mettere in circolo i soldi in arrivo finisce col congelarli e sottrarli all’economia reale, condannata ad uno stato di protratta deflazione.

Questo però apre la strada all’obiezione, fatta propria dalla CGIL, che sarebbe meglio invece detassare i redditi fissi, se si vuole mettere soldi in tasca ai cittadini, al pari delle piccole imprese, oberate da imposte e contributi che sono sempre meno in grado di fronteggiare. Infatti, sostiene la CGIL, perché continuare con quella stessa economia del debito che ci ha portati sull’orlo, o forse già dentro, il burrone delle insolvenze? Perché i soldi extra a cittadini e imprese devono sempre transitare per le banche, coll’aggravio di interessi e spese di varia natura, come la famigerata e ingiustificata commissione di massimo scoperto, che solo una legge indurrebbe le banche a togliere, e solo dopo varie resistenze, come abbiamo imparato con la portabilità dei mutui?

 Quindi, vista la prontezza con cui gli Stati europei, italiano incluso, hanno dichiarato la loro disponibilità a garantire i depositi bancari, e visto che le banche italiane affermano di non aver bisogno di ricapitalizzazioni, perché lo Stato italiano non tramuta in detassazione la quota che avrebbe garantito alle banche in difficoltà, appurato che tutte dichiarano di essere in buona salute?

Lo Stato, certo, rinuncerebbe a parte delle sue entrate nell’immediato, ma, si sostiene, l’aumentata capacità di spesa dei cittadini ridarebbe vigore a industria e commercio e le tasse tornerebbero presto a rimpinguare le sue casse.

Quanto sin qui detto è stato desunto dagli argomenti cui le varie parti in causa, perlopiù “istituzionali” (forze politiche di maggioranza e opposizione, sindacati, associazioni di categoria),  sono ricorse nelle loro polemiche.

Tuttavia, mi preme porre l’accento, più che su quanto è stato detto, su ciò che non è stato detto, evidentemente perché rientra tra le osservazioni e proposte che i massimi poteri vietano alle suddette forze istituzionali anche soltanto di ventilare. Poiché non vorrei ripetermi troppo, rimando passim a miei precedenti articoli su Trucioli, in particolare a quello uscito il 12 ottobre scorso, il cui messaggio centrale sta tutto racchiuso nel titolo “Moneta di Stato”, decretando la fine del denaro privato (euro o lira che sia) e il varo di una moneta pubblica emessa e garantita direttamente dagli stessi Stati dell’attuale eurozona. Questa singola misura spazzerebbe via ben oltre la metà delle attuali gabelle.  

L’altro provvedimento, l’eliminazione della riserva frazionaria delle banche, ossia la leva che consente loro di creare moneta dal nulla, ne sarebbe la logica e diretta conseguenza, facendo piazza pulita di tutta una serie di prestiti che, non onorati, non fanno che ingrossare i dossier di pignoramenti e vendite all’asta. (*)

La mancata applicazione di questi due provvedimenti, che incontrano comprensibilmente la forte opposizione del sistema dominante, ossia bancario, ci ha portato nella situazione che oggi tutti dolorosamente subiamo; e, per una volta, senza troppa distinzione tra ricchi e poveri. Le recenti statistiche dell’OCSE sul crescente divario tra ricchi e poveri, nel giro di un solo paio di mesi, è forse già obsoleto: sono proprio i grandi patrimoni a subire, non solo in assoluto, le perdite più rilevanti, con imprese sino a ieri considerate inossidabili, quotate la metà, un terzo, persino un quarto del loro valore di solo 6 mesi fa. Di pari passo va la consistenza dei portafogli e delle gestioni degli asset dei nababbi di ogni parte del mondo, a cominciare dagli sceicchi e dai loro fondi sovrani, col prezzo del greggio più che dimezzato da luglio, sino agli oligarchi russi che vedono decimate le loro ricchezze di oltre 250 miliardi di dollari; e potrei continuare. Mentre coloro che hanno frodato mezzo mondo, uscendo dai vertici delle Investment Bank di Wall Street con centinaia di milioni di dollari, hanno la probabile aspettativa di trascorrere in carcere quelli che avrebbero dovuto essere gli anni di una dorata vecchiaia, tra caviale, champagne e conigliette.

Grazie a questi truffatori, stiamo tutti vivendo senza più una bussola, sia per quanto riguarda gli eventuali risparmi, con ripetute svalutazioni a due cifre persino del buon vecchio oro, sia per quanto riguarda le rivendicazioni da fare come lavoratori, dipendenti o precari, pensionati, disoccupati. Abbiamo visto che la semplice detassazione dei redditi fissi e delle piccole imprese, se non si ricorre all’istituzione della moneta di Stato, lascerebbe quest’ultimo con risorse insufficienti a svolgere i suoi variegati compiti, anche a causa della rigidità con cui risponde al coro di proteste contro gli eccessivi emolumenti di coloro che il potere coopta in Parlamento e nel para-Stato senza neppure l’avallo di scelte condivise dalla cittadinanza, grazie a una legge elettorale di stampo sovietico e all’illusione di un fantomatico 60% di consensi nei sondaggi.

Tutti chiedono a tutti di fare il primo passo indietro; ma nessuno è disposto o in grado di farlo. Non sono disposti i vertici appena nominati; e non ne sono in grado i percettori di reddito, fisso o precario, a causa dei livelli minimi ai quali già si trovano (e che la BCE “raccomanda” di non legare all’inflazione!); e non ne è in grado lo stesso Stato, se non decide, approfittando della sua attuale posizione di forza, di tranciare il cordone ombelicale che lo lega al sistema bancario.

Nessuno fa neppure il minimo accenno all’unico passo che ci toglierebbe da una situazione di generale indigenza che non farà che peggiorare negli anni a venire. Meglio far morire la gente di fame piuttosto che svincolarsi dall’oppressione della moneta privata, così dimostrando una volta di più la sudditanza e la connivenza dei governanti con il gotha finanziario che ci strangola da secoli.

Mi azzardo a prevedere che questa situazione di stallo non durerà e provocherà un crollo generale del livello di vita con conseguenti sommosse, saccheggi e violenze, anche provocate ad arte per giustificare e anzi far invocare l’instaurazione di regimi repressivi e per natura inclini al bellicismo.

Quanto agli USA, ossia alla nazione che ha generato l’attuale disastro, non riusciranno più oltre a sostenere il debito colossale accumulato in decenni vissuti  a spese del resto del mondo; e presto opteranno per la dichiarazione d’insolvenza: insolvenza iniziata il 15 agosto 1971, quando unilateralmente abrogarono gli accordi di Bretton Woods e sganciarono il dollaro dall’oro, dandosi a stampare dollari senza più alcun nesso con la ricchezza nazionale e impegnandosi in costosissime guerre imperialistiche, pagate dalle nazioni creditrici. Durante questo quarantennio gli yankee hanno vissuto ben al di sopra delle loro possibilità; e sarà difficile costringerli ad adattarsi ad un tenore di vita drasticamente inferiore. La prossima guerra USA potrebbe essere civile; non più tra Nord e Sud, ma tra accaparratori e diseredati. Un durissimo mandato attende il nuovo Presidente, presumibilmente democratico, e la sua vita sarà a rischio come quella del suo ispiratore, J.F. Kennedy, a seconda se opterà per la maxi-svalutazione del dollaro o la sua nazionalizzazione. Nel primo caso avrà contro la piazza e le nazioni creditrici, Cina e Russia in testa; nel secondo la lobby di banche e Wall Street, disposta a tutto, anche alla guerra, pur di non perdere la propria presa parassitaria sull’apparato produttivo mondiale.

Marco Giacinto Pellifroni                                                         26 ottobre 2008 

 

(*) Vedi anche l’articolo di Marco Della Luna “Una rivoluzione contro la recessione” su questo stesso numero di Trucioli.