Ad Alassio inaugurata una fontana dedicata…

Ad Alassio inaugurata una fontana dedicata

a Padre Massimiliano Kolbe e Salvo D’Acquisto

Ad Alassio inaugurata una fontana dedicata
a Padre Massimiliano Kolbe e Salvo D’Acquisto

 “Questa fontana fa parte di un lotto di due fontane presenti nei magazzini comunali e recuperate da mio padre con l’autorizzazione dell’ex sindaco Testa”, ha dichiarato l’ex consigliere regionale Marco Melgrati durante l’inaugurazione di una fontana dedicata a Padre Massimiliano Kolbe e Salvo D’Acquisto, “con il vincolo di farne un uso pubblico. La prima è stata intitolata a San Francesco, patrono d’Italia, mentre questa è stata dedicata a Padre Massimiliano Kolbe, deportato nel lager di Auschwitz e ucciso al posto di un padre di famiglia, e Salvo D’Acquisto, carabiniere martire durante la Seconda Guerra Mondiale sacrificatosi al posto di 10 civili che dovevano essere fucilati per rappresaglia dichiarandosi colpevole di un attentato dinamitardo”.


Maksymilian Maria Kolbe (Zduńska Wola8 gennaio 1894 – Auschwitz14 agosto 1941) è stato un presbitero e francescano polacco che si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia, destinato al bunker della fame nel campo di concentramento di Auschwitz. È stato beatificato nel 1971 da papa Paolo VI, che lo chiamò “martire dell’amore”, e quindi proclamato santo nel 1982 da papa Giovanni Paolo II.

Il 28 maggio 1941 Kolbe giunse nel campo di concentramento di Auschwitz, dove venne immatricolato con il numero 16670 e addetto a lavori umilianti come il trasporto dei cadaveri. Venne più volte bastonato, ma non rinunciò a dimostrarsi solidale nei confronti dei compagni di prigionia. Nonostante fosse vietato, Kolbe in segreto celebrò due volte una messa e continuò il suo impegno come presbitero. Alla fine del mese di luglio dello stesso anno venne trasferito al Blocco 14 e impiegato nei lavori di mietitura. La fuga di uno dei prigionieri causò una rappresaglia da parte dei nazisti, che selezionarono dieci persone della stessa baracca per farle morire nel cosiddetto bunker della fame. Quando uno dei dieci condannati, Franciszek Gajowniczek, scoppiò in lacrime dicendo di avere una famiglia a casa che lo aspettava, Kolbe uscì dalle file dei prigionieri e si offrì di morire al suo posto. In modo del tutto inaspettato, lo scambio venne concesso: i campi di concentramento erano infatti concepiti per spezzare ogni legame affettivo e i gesti di solidarietà non erano accolti con favore. Kolbe venne quindi rinchiuso nel bunker del Blocco 11. Dopo due settimane di agonia senza acqua né cibo la maggioranza dei condannati era morta di stenti, ma quattro di loro, tra cui Kolbe, erano ancora vivi e continuavano a pregare e cantare inni a Maria. La calma professata dal sacerdote impressionò le SS addette alla guardia, per le quali assistere a questa agonia si rivelò scioccante. Kolbe e i suoi compagni vennero quindi uccisi il 14 agosto 1941, vigilia della Festa dell’Assunzione di Maria, con una iniezione di acido fenico. I loro corpi vennero cremati il giorno seguente, e le ceneri disperse. Secondo la testimonianza di Franciszek Gajowniczek, Padre Kolbe disse ad Hans Bock, il delinquente comune nominato capoblocco dell’infermeria dei detenuti, incaricato di effettuare l’iniezione mortale nel braccio: «Lei non ha capito nulla della vita…» e mentre questi lo guardava con fare interrogativo, soggiunse: «…l’odio non serve a niente… Solo l’amore crea!». Le sue ultime parole, porgendo il braccio, furono: «Ave Maria». Fu lo stesso tenente medico nazista che raccontò dopo alcuni anni questo fatto, che fu messo agli atti del processo canonico. L’espressione “Solo l’amore crea” fu ricordata più volte da Paolo VI nel 1971 in occasione della beatificazione di Kolbe. Franciszek Gajowniczek riuscì a sopravvivere ad Auschwitz. Tornato a casa, trovò sua moglie viva, ma i suoi due figli erano rimasti uccisi durante un bombardamento russo. Morì nel 1995.

 

 Maksymilian Maria Kolbe e Salvo D’Acquisto

Salvo D’Acquisto (Napoli15 ottobre 1920 – Torre di Palidoro23 settembre 1943) è stato un vice brigadiere dell’Arma dei Carabinieri, insignito di Medaglia d’oro al valor militare alla memoria per essersi sacrificato il 23 settembre 1943 per salvare un gruppo di civili durante un rastrellamento delle truppe tedesche nel corso della seconda guerra mondiale. Dopo il proclama Badoglio, un reparto di paracadutisti tedeschi della 2. Fallschirmjäger-Division si era accasermato presso alcune vecchie postazioni precedentemente in uso alla Guardia di Finanza, nelle vicinanze della località Torre di Palidoro, che rientrava nella giurisdizione territoriale della stazione Carabinieri di Torrimpietra. Qui, il 22 settembre, alcuni paracadutisti tedeschi che ispezionavano casse di munizioni abbandonate furono investiti dall’esplosione di una bomba a mano, probabilmente per imperizia nel maneggio degli ordigni. Due dei soldati morirono e altri due rimasero feriti. Il comandante del reparto tedesco attribuì la responsabilità dell’accaduto ad anonimi attentatori locali e richiese la collaborazione dei Carabinieri della locale stazione, temporaneamente comandata da Salvo D’Acquisto per l’assenza del maresciallo comandante: minacciarono la rappresaglia se entro l’alba non fossero stati trovati i colpevoli. La mattina seguente, D’Acquisto, assunte alcune informazioni, provò a ribattere che l’accaduto era da considerarsi un caso fortuito, un incidente privo di autori, ma i tedeschi insistettero sulla loro versione e richiesero la rappresaglia, ai sensi di un’ordinanza emanata dal feldmaresciallo Kesselring pochi giorni prima. Il 23 settembre furono dunque eseguiti dei rastrellamenti e catturate 22 persone scelte a caso fra gli abitanti della zona. Lo stesso D’Acquisto fu forzatamente prelevato dalla caserma, da parte di una squadra armata, e fu condotto nella piazza principale di Palidoro, dove erano stati radunati gli ostaggi. Fu tenuto un sommario “interrogatorio”, nel corso del quale tutti gli ostaggi si dichiararono ovviamente innocenti. Nella piazza venne anche condotto un altro abitante ritenuto un carabiniere, Angelo Amadio, che sarà l’ultimo testimone del sacrificio del brigadiere. Nuovamente richiesto di indicare i nomi dei responsabili, D’Acquisto ribadì che non ve ne potevano essere, perché l’esplosione era stata accidentale, gli ostaggi e gli altri abitanti della zona erano dunque tutti quanti innocenti. Durante l’interrogatorio dei rastrellati, il sottufficiale fu tenuto separato nella piazza, sotto stretta sorveglianza da parte dai soldati tedeschi e, “quantunque malmenato e a volta anche bastonato dai suoi guardiani, il D’Acquisto serbò un contegno calmo e dignitoso“, come ebbe a riferire in seguito Wanda Baglioni, una testimone oculare. Gli ostaggi e D’Acquisto vennero quindi trasferiti fuori dal paese. Agli ostaggi furono fornite delle vanghe e furono costretti a scavare una grande fossa comune nelle vicinanze della Torre di Palidoro, per la ormai prossima loro fucilazione. Le operazioni di scavo si protrassero per alcune ore; quando furono concluse fu chiaro che i tedeschi avrebbero davvero messo in atto la loro terribile minaccia. Amadio infatti era creduto dai tedeschi un carabiniere e pertanto inizialmente ritennero di trattenerlo per farlo assistere alla esecuzione. Evidentemente, Salvo D’Acquisto si era autoaccusato del presunto attentato, addossandosi la sola responsabilità dell’accaduto e chiese l’immediata liberazione dei rastrellati. Il  22 prigionieri furono lasciati liberi e immediatamente si diedero alla fuga, lasciando il sottufficiale italiano già dentro alla fossa, dinanzi al plotone d’esecuzione. Alla fuga si unì immediatamente dopo Amadio, quando riuscì a dimostrare, presentando i suoi documenti, che in realtà era un operaio delle ferrovie e non un carabiniere. Come raccontò nella sua testimonianza resa nel 1957, fece in tempo però mentre correva, a sentire il grido “Viva l’Italia” lanciato dal carabiniere, seguito subito dopo dalla scarica di un’arma automatica che portava a termine l’esecuzione. Si girò e vide un ulteriore colpo sparato da un graduato tedesco al corpo già riverso per terra. Vide i soldati ricoprire il corpo con il terriccio, spostandolo con i piedi. Il comportamento del militare aveva infatti colpito gli stessi tedeschi, che il giorno dopo, secondo quanto riferito nella testimonianza della Baglioni, le riferirono: “Il vostro Brigadiere è morto da eroe. Impassibile anche di fronte alla morte.


 

     SELENA BORGNA 

 

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