A SAVONA COME AL PARCO GIOCHI

A SAVONA COME AL PARCO GIOCHI

A SAVONA COME AL PARCO GIOCHI

 

Premetto che quella che propongo non ha velleità di essere un’analisi di tipo sociologico, ma soltanto un’impressione personale; una mera congettura fatta alla luce di soli dati di tipo esperienziale.

Sono papà di un bimbo di un anno e mezzo, così da 6 mesi a questa parte sono diventato frequentatore assiduo di giardini pubblici e parchi gioco; passo ormai molto del mio tempo libero ad osservare mio figlio mentre interagisce con gli altri bambini, mi sono così reso conto che il più frequente argomento di disputa tra bambini molto piccoli, età asilo nido per intenderci, è rappresentato dalla proprietà di un oggetto, quindi dal diritto di uso esclusivo dello stesso.

Usando altre parole, i bambini di quell’età spesso litigano perché non vogliono che altri bambini tocchino i loro giochi; questo è assolutamente normale e sano, i bambini intuiscono il costrutto di proprietà osservando noi adulti, lo interpretano a loro modo e cercano di metterlo in uso così come lo hanno compreso.

La mia compagna ed io tuttavia riteniamo sia nostro dovere educare il bambino ad avere un senso di proprietà improntato sulla condivisione piuttosto che sull’esclusione. Mi spiego meglio: a nostro avviso l’uso che si fa di un oggetto è di gran lunga più importante del fatto di possederlo, quindi un giocattolo per noi rappresenta non tanto un oggetto da possedere quanto una potenziale occasione per giocare con gli altri bambini; per questo motivo cerchiamo di educare nostro figlio a condividere i giochi con gli altri, per il semplice motivo che giocare in compagnia di solito è molto più divertente.

 

Per questo motivo quando notiamo che nostro figlio litiga con un altro bambino per un giocattolo, prima osserviamo se la cosa si aggiusta da sola, i bambini sono bravissimi a gestire le loro controversie basta lasciar loro il tempo di spiegarsi, nel caso questo non accada interveniamo noi cercando di creare le condizioni perché i due bambini giochino insieme usando i loro giocattoli.

La cosa più complessa è riuscire a trovare altri genitori che collaborino a questa operazione, di rado gli altri genitori ci aiutano nel coinvolgere i bambini, il più delle volte intervengono sancendo la proprietà di un certo giocattolo e raccomandando poi ai due bambini di giocare insieme; ma sono ben poco propensi a far vedere a quei bambini come poter divertirsi insieme con lo stesso gioco.

Il messaggio che si passa ai propri figli attraverso un comportamento di questo tipo, a nostro avviso, è che l’importante sia essere proprietari di un oggetto, perché in ciò sta il proprio inalienabile piacere, mentre saper usare e condividere il suddetto oggetto per trovare magari ancor più piacere giocando insieme a qualcun altro rappresenti un aspetto di cornice, assolutamente facoltativo, quasi una frivolezza.

Per spiegare meglio cosa intendo vorrei raccontare una scena a cui mi è capitato di assistere un paio di giorni fa: mio figlio stava giocando con le sue macchinine ai giardini del Prolungamento, quando si è avvicinato un altro bambino che voleva giocare anche lui con le stesse macchinine, si è sviluppata così una piccola disputa tra i due pupi, come detto noi cerchiamo di non intervenire subito ma di lasciare un poco di tempo ai piccoli per spiegarsi, la nonna dell’altro bambino invece si è immediatamente messa in mezzo strappando al nipotino le macchine, dicendo che dato che quelle non erano le sue non avrebbe dovuto giocarci; a quel punto per gestire la cosa in modo diverso, la mia compagna ed io coinvolgiamo i due bambini in un gioco comune: far correre le due macchinine giù per una rampetta e vederle poi saltare e rotolare nella ghiaia. Immediatamente la lite si è placata e i due bambini  hanno cominciato a giocare insieme; mentre facevamo correre le macchinine con la coda dell’occhio osservavo la signora nonna, rimasta in disparte, la quale mal celava una grande apprensione e un certo disagio. 

 


 La signora si limitava ad osservare il suo nipotino giocare, rimproverandolo di tanto in tanto quando, secondo lei, si lasciava troppo andare e giocava con troppa veemenza rischiando, sempre a suo parere, di rovinare le macchinine di mio figlio. Lo rimprovera ribadendo continuamente, come un mantra, che le macchinine non erano di sua proprietà e quindi doveva stare attento a non rovinarle.

 

Una raccomandazione a dir poco paradossale, dato che si trattava di macchine da “rapina” ereditate da un cuginetto più grande, provate ed ammaccate da centinaia di voli e che qualche nuova caduta non avrebbe di certo potuto rovinare più di quanto già non fossero mal conce all’inizio.

Come dicevo in precedenza, il dato saliente non è rappresentato dal saper usare un oggetto per interagire con chi sta intorno, ma è sancire chi possiede quel dato oggetto.

Lo dico con una certa tristezza, ma ho visto la nonna molto più distesa quando i due bambini hanno deciso di interrompere il gioco in comune per dedicarsi ad attività differenti e solitarie.

Credo che la scarsa disponibilità che spesso incontriamo negli altri adulti a mettere in campo comportamenti che vadano a minare il valore assoluto ed esclusivo della proprietà che i bambini praticano, per favorire una visione più collettiva e interattiva dell’avere e del vivere, sia dovuta al fatto che gli stessi adulti spesso conservano una visione puerile ed edonistica della proprietà.

Una visione che tra le altre cose li depotenzia come membri di una comunità umana evoluta e interattiva, rendendo difficile per loro pensare ed agire in termini cooperativi con altri individui al fine di raggiungere un obiettivo comune.

Negli ultimi tempi mi è capitato di parlare con vari rappresentanti della Savona che pensa ed agisce: assessori, consiglieri comunali, partecipanti a comitati\associazioni\movimenti, singoli cittadini volenterosi; in ben pochi casi ho trovato in loro un’apertura alla possibilità di unire le forze con un altro soggetto al fine di raggiungere un obiettivo comune, elaborando insieme una strategia nuova e condivisa. In linea di massima le due, o più, parti che potrebbero collaborare tendono a trovare un accordo di massima sullo scopo da raggiungere, ma difficilmente riescono a discutere una strategia comune, in quanto ognuno ha una propria idea di come fare per raggiungere un certo obiettivo, idea che ognuno reputa la migliore possibile, per il semplice fatto di averla ideata personalmente quindi, in qualche modo, di possederla.

Ecco che quel modo puerile di intendere la proprietà torna a manifestarsi, davanti alla possibilità di giocare insieme a un altro e raggiungere così risultati migliori e più soddisfacenti, si tende invece a rinunciare all’occasione in quanto questo comporterebbe mettere in comune con altri il proprio giocattolo, ridiscutere il proprio punto di vista alla luce di considerazioni diverse elaborate da terzi; in altre parole perderne l’esclusiva proprietà.

 


 

Pensiamo a tutti i cittadini, e sono molti, che hanno una buona idea per trasformare la nostra città in un luogo migliore dove vivere (da un punto di vista sociale, economico, urbanistico etc), in linea di massima agiscono da soli, come liberi battitori; condividono senza dubbio la valutazione che occorra far qualcosa per migliorare Savona, ma ciò nonostante non riescono a  mettere a frutto le loro energie giocando di squadra, accontentandosi così di briciole di gloria personale che sono nulla rispetto a quello che potrebbero portare a casa lavorando in sinergia.

Se cominciassimo a vedere i nostri figli come membri, giovanissimi, della nostra comunità, e da subito, noi genitori per primi, li educassimo per ricoprire tale ruolo in futuro, probabilmente riusciremmo a diffondere un maggior senso di responsabilità e di predisposizione alla collaborazione e all’ascolto.

Ma questo costa fatica, così molti genitori preferiscono rimandare la cosa, delegando alla scuola dell’obbligo questo onere; alcune mamme di figli particolarmente mal disposti mi dicono talvolta, per giustificare la pessima educazione del loro figliolo quindi la loro pigrizia, “Quando andrà all’asilo spero che impari a condividere di più le sue cose”, in quei casi mi mordo la lingua e rispondo “Certo che si signora, son fasi che passano” ma dentro di me penso “Cara signora ne dubito, visto che comunque, anche quando andrà all’asilo. il pupo passerà la maggior parte del tempo in compagnia sua”.

dottor.andrea.guido@gmail.com

 

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