ROULETTE RUSSA [Parte 1]

Stiamo assistendo ad una sfida temeraria ed epocale da parte della Russia di Putin di rovesciare il tavolo degli equilibri finanziari, sin qui consolidati a tutto vantaggio degli USA, mediante il ricorso ad una guerra senza esclusione di colpi.
La storia insegna che talvolta decisioni che non si sono osate prendere trovano attuazione a causa di qualche evento imprevisto e ad esse non direttamente collegato. Nel caso in esame la guerra, scatenata per arginare le ambizioni Nato di ampliarsi verso Est, ha fornito a Putin lo stimolo per prendere decisioni finanziarie sino allora accarezzate, ma inibite dal timore delle enormi implicazioni che ne sarebbero discese.

Le avversità possono portare allo scoramento e alla resa, ovvero all’instaurarsi di un coraggio sino allora insospettato. Le sanzioni occidentali hanno stimolato Putin a mettere in atto una sfida temeraria allo strapotere finanziario degli USA e dei loro satelliti (leggi: dollaro ed euro)

Il caso vuole che, grazie al mio pluriennale rapporto culturale con Ellen Brown, fondatrice e presidente del movimento per l’istituzione di banche e moneta pubbliche e autrice di libri e pubblicazioni su un argomento che mi ha coinvolto sin dal 2005, ho avuto modo di leggere il suo ultimo articolo [VEDI], che è di estremo interesse per meglio capire le mosse della partita a scacchi che si svolge dietro le quinte di questa sanguinosa guerra che sta monopolizzando la nostra attenzione. Detto alla francese: suivez l’argent.
Come suggerisce il titolo dell’articolo, la Russia sta seguendo i metodi sin qui messi in atto dagli americani per proteggere la propria valuta e quindi il proprio status di grande potenza, che un tempo connotava anche l’URSS, crollando dopo la sua dissoluzione.

Nonostante la confisca di centinaia di miliardi di dollari, varata da USA, UE e Gran Bretagna, il rublo ha dimostrato grande resistenza, riemergendo dopo il primo tuffo. L’Occidente ha tentato un’operazione a tenaglia: congelamento dei dollari russi depositati in sue banche e insieme richiesta di pagare i debiti in dollari; come togliere l’aria e pretendere che uno respiri. In sostanza, si spinge la Russia verso l’autarchia, come fecero le sanzioni a Italia e Germania negli anni ‘30

Per capire meglio gli avvenimenti di oggi, è utile una sommaria rassegna storica, che ripercorra le vicende all’origine dell’esorbitante privilegio del dollaro, cardine della potenza americana nel mondo e della corrispondente avversione di molta sua parte verso la nazione che si è eretta a suo giudice e beneficiario.
Nel 1944, con la Seconda Guerra Mondiale ancora in corso, i futuri vincitori si riunirono a Bretton Woods, piccola località del New Hampshire, USA, per stabilire alcuni punti fermi monetari, attuati subito dopo la fine del conflitto.

Dal 1944 al 1971 oro e dollaro erano considerati equivalenti. La graduale perdita di fiducia nel dollaro, per le esorbitanti spese militari in Vietnam, spinsero alcune nazioni, Francia in testa, a chiederne la conversione in oro, depauperando le riserve auree USA; tanto da spingere Nixon a por fine al gold standard, imponendo, armi in pugno, il dollaro su esclusiva base fiduciaria

Gli accordi decretarono la centralità del dollaro, ossia la sua funzione di valuta di riferimento di tutte le altre, erigendolo a divisa di riserva alla pari dell’oro (gold standard), con un rapporto fisso di $ 35/oncia. In sostanza, oro e dollaro avevano valore equivalente e chiunque poteva chiedere la conversione del dollaro in oro secondo quel rapporto.
Forti di questo privilegio, gli USA si sentirono padroni indiscussi del mondo e, dopo l’assassinio di JF Kennedy nel 1963, il suo vice e successore Lyndon Johnson, intensificò la guerra in Vietnam intrapresa da Kennedy (dalla quale però intendeva ritirarsi), impennando enormemente le spese militari e minando nel contempo la fiducia nel dollaro, che venne stampato ben oltre le corrispondenti riserve auree.
La Francia di Charles De Gaulle fu la nazione che si dimostrò più scettica sull’effettiva corrispondenza dell’oro di Fort Knox alla valanga di dollari immessi sui mercati, ed iniziò a chiederne la conversione in oro; mentre altre nazioni cominciarono a fare altrettanto o a minacciare di farlo.

JF Kennedy fu vittima del suo tentativo di sganciare l’oro dal dollaro della Fed, consorzio di banchieri privati, collegandolo invece al dollaro pubblico, che fece stampare dal Ministero del Tesoro (v. sopra un biglietto da $ 100), ritirandosi anche dalla salassante guerra in Vietnam. Indirizzi che il suo successore Lyndon Johnson annullò non appena ne prese il posto, nel 1963, dopo il suo assassinio, a pochi mesi di distanza dall’emissione di dollari pubblici

Sgomento al vedere assottigliarsi le proprie riserve auree a ritmi insostenibili, il presidente Nixon nel 1971 prese la storica decisione di sganciare il dollaro dall’oro. A quel punto, dietro l’accettazione del dollaro come valuta di riserva e di riferimento non c’era più un bene fisico, ma solo la fiducia nella nazione che lo stampava. Una fiducia che però lo esponeva alla volatilità e alle turbolenze geopolitiche cui gli USA si esponevano con la loro prepotenza nei confronti degli altri popoli, nella convinzione della propria superiorità, non più della razza, in stile nazista, ma su base finanziaria, essendo di fatto i padroni del denaro, i “signori dei soldi”.

In blu e in rosso sono evidenziate le 16 nazioni formalmente ex colonie francesi. Forse il prefisso ex è alquanto ipotetico, visto l’iugulatorio legame monetario con Parigi tramite il franco coloniale africano (CFA). Grazie ad esso La Francia sfrutta quanto prima della formale indipendenza queste nazioni, grazie alla connivenza dei loro premier corrotti. Quanti hanno osato ribellarsi sono stati uccisi o defenestrati

Tuttavia, la decisione di Nixon causò un, pur prevedibile, deprezzamento del dollaro. Per contrastarlo, Nixon e il suo segretario di Stato, Henry Kissinger, architettarono un astuto piano: convinsero l’Arabia Saudita e gli altri produttori di petrolio, riuniti sotto il cartello OPEC, ad accettare per il petrolio solo pagamenti in dollari, da depositare nelle banche americane (e inglesi), acquistando Buoni del Tesoro americani (treasuries).

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Come contropartita, le nazioni OPEC avrebbero goduto della protezione militare americana. Di più, visto che il basso prezzo del petrolio affliggeva le economie dei Paesi OPEC, ci fu la promessa americana, ovviamente tenuta segreta, di una quadruplicazione del suo prezzo. [VEDI] Come in effetti avvenne, dopo una breve guerra nel Kippur, dando peraltro ad intendere che le scorte di petrolio fossero in vistoso calo e quindi contingentando le vendite.
In tal modo, a partire dal 1973, al cessato aggancio all’oro si era sostituito l’aggancio al petrolio; da cui il nome di petrodollari.
Il mondo intero dovette sottomettersi a questo assetto senza riuscire a scalfirlo per oltre un quarto di secolo.
A cavallo del secolo, però, si era venuta costituendo un’inedita alleanza tra Iraq, Libia ed Egitto (Saddam Hussein, Gheddafi, Mubarak), tesa a sostituire il dollaro e il franco francese, con una valuta pan-africana, legata all’oro e indipendente dall’accoppiata FMI/Banca Mondiale, istituita negli accordi di Bretton Woods e tesa ad interferire a livello mondiale in tema di prestiti ed aiuti (condizionati) ai Paesi in via di sviluppo, numerosi anche in Africa, come le ex colonie. Se il programma fosse stato attuato, l’Africa avrebbe potuto decidere autonomamente il proprio destino, anziché subire i dettami dell’affaristica cricca anglo-americana e francese, con la Francia che, concessa formalmente l’indipendenza ai suoi 16 stati coloniali nell’Africa centro-occidentale, vi aveva imposto l’uso del franco coloniale (CFA), stampato a discrezione della Banca Centrale di Parigi, manipolandone il valore ad esclusivo interesse della Francia.  Per un video reportage molto accurato sulle vicende del CFA e sui tentativi di superarlo [VEDI].

Saddam nel tribunale che lo condannò all’impiccagione. 11 anni di sanzioni economiche all’Iraq [VEDI] causarono la morte di oltre 500.000 bambini sotto i 5 anni. Secondo l’allora segretario di Stato americano, Madeleine Albright (morta di recente): “Fu una scelta difficile, ma quanto al prezzo, pensiamo che ne valesse la pena”. Il premio della strage era l’instaurazione della democrazia in Iraq. I cinici di allora sono diventati oggi molto compassionevoli, se crimini simili vengono commessi da Paesi a loro ostili. [VEDI]

Saddam Hussein fu il primo a disarcionare il giogo del dollaro e iniziò a vendere petrolio contro euro. Ne seguì l’esempio il colonnello Gheddafi. Una sfida simile al predominio del petrodollaro turbò i sonni delle potenze occidentali, in particolare USA e Francia, che quindi, come da reiterato copione, cominciarono ad influenzare la loro opinione pubblica attribuendo, prima a Saddam e poi a Gheddafi, oltre all’innegabile status di dittatori, i crimini più efferati, dal possesso di armi di distruzione di massa a bombardamenti e massacri di civili (false flag), per poi ottenere il consenso popolare al loro abbattimento, all’invasione dei loro territori ed alla pretestuosa instaurazione di democrazie in stile occidentale. In realtà gli obiettivi variavano dal mantenimento dello status quo monetario all’accaparramento delle materie prime energetiche e minerarie. L’Italia fece la solita parte dell’autolesionista, finendo per approvare gli attacchi ad Iraq e Libia, in questo secondo scenario perdendo il privilegio che l’Eni era riuscita a guadagnare dai buoni rapporti del governo Berlusconi con quello libico; a tutto vantaggio della Francia.
Quanto all’Egitto, vennero assecondati i movimenti musulmani fino a far cadere Mubarak, confinandolo in carcere. Sorte peggiore toccò, come sappiamo, a Saddam, giustiziato per impiccagione, nonché a Gheddafi, catturato, stuprato e ucciso con un colpo alla nuca.

Qui sopra: Milano, Galleria V.E. II e piazza Fontana, 1943. Invito il presidente Joe Biden, che, in totale amnesia, tuona contro i bombardamenti di città ucraine, a sfogliare un album di foto d’epoca che illustrano come i bombardieri USA ridussero le città italiane (e tedesche: Dresda e Berlino in primis) durante l’ultima guerra; col finale pirotecnico di 2 bombe atomiche su altrettante città giapponesi. Se è giusto –come è giusto- condannare i bombardamenti delle città, lui non ha titolo per farlo, dopo ciò che la sua nazione fece in Europa e in Giappone nel biennio 1943-45: se bolla come macellaio Putin non può esimersi dall’usare lo stesso appellativo per il suo predecessore F. D. Roosevelt

Le stesse nazioni autrici di simili nefandezze sono quelle che oggi si indignano come colombelle bianche di fronte a quanto sta accadendo in Ucraina, quando il loro passato (e presente) è macchiato da numerosi crimini simili, se non peggiori, ai danni di popolazioni inermi e schiacciate sotto il tallone militare ed economico. Per tacere dei torbidi appoggi a governi fantocci installati grazie a colpi di Stato contro gli interessi popolari, come denunciato nel libro di cui riporto qui sotto la copertina.

Questo libro di un insider della CIA è ormai un classico di denuncia dei sistemi cui gli USA regolarmente ricorrono, dietro le quinte, per far prevalere i propri interessi a scapito delle altre nazioni, in particolare quelle dell’America Latina

Nel prossimo capitolo vedremo come la mossa di Putin col rublo al posto di dollaro ed euro negli acquisti di gas e petrolio costituisca, per la prima volta da parte di una potenza di prima grandezza, la messa in atto del progetto abortito di Saddam, Gheddafi e Mubarak.
La regola, sinora senza eccezioni, è che chi tocca l’assetto monetario esistente, muore; o, nel migliore dei casi, sparisce dalla scena politica.

Ascoltare quanto Sergio Romano (tra gli altri prestigiosi incarichi, ambasciatore alla NATO e nell’URSS) argutamente diceva all’ISPI (Ist. Studi di Politica Internazionale) già prima dello scoppio della guerra circa la reale natura della NATO, vale più di tutto lo starnazzare di idiozie autolesionistiche che si sentono sparare dal nostro governo, Draghi in testa. [VEDI]

La maggior veridicità di quanto riportato dal teatro ucraino rispetto ai crimini attribuiti a Saddam e Gheddafi permette di replicare più agevolmente l’ondata di sdegno e la preparazione psicologica delle masse al crescendo delle sanzioni e della fornitura di armi sofisticate all’Ucraina, fino allo stadio ultimo dell’intervento militare tout court, col rischio concreto di una escalation verso la follia nucleare.
Se la Russia non avesse un arsenale nucleare che incute la massima soggezione, è probabile che le truppe Nato ne avrebbero già varcato i confini: dopotutto, le riserve di materie prime presenti nel sottosuolo russo sono un bottino estremamente appetibile. Ma già adesso, le grandi corporation americane produttrici di armi stanno brindando in Borsa per gli affari d’oro che stanno facendo con la pacchia ucraina. E Joe Biden si sta dimostrando un petulante venditore di gas liquido ad un’Europa in totale confusione mentale, regalando altri guadagni stellari ai suoi produttori. [VEDI] Senza tener conto che il gas USA, ottenuto mediante fracking è molto più caro e inquinante, sia per la violenta tecnica estrattiva, ottenuta ad alte temperature e pressioni, sia per le sostanze chimiche introdotte nel sottosuolo, sia infine per l’abbondante rilascio di metano in atmosfera, con l’aggravante che il metano acuisce l’effetto serra di un fattore 25 rispetto alla CO2. [VEDI] Se aggiungiamo tutto questo alla reintroduzione di carbone e nucleare, finiamo col recitare il de profundis alle velleità del green deal.
[SEGUE]

Marco Giacinto Pellifroni      10 aprile 2022

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