IL MOTORE DEL MONDO

Così viene definita l’odierna Cina, con una vaga eco del Motore Immobile aristotelico, “l’amor che move il Sole e l’altre stelle”: il Dio biblico. Se quest’ultimo è fuori del tempo e non conosce movimento, comunicandolo però al cosmo, il motore cinese necessita di immense quantità di combustibili per muovere un mondo che s’è da un paio di decenni affidato a lui per i suoi frenetici, energivori movimenti.
Il caso ha voluto che, dopo l’uscita del mio ultimo articolo, “Regressione”, la carenza di materie prime, a partire da quelle energetiche, e i loro prezzi in crescita abnorme, abbiano prodotto quello che appare come il primo stadio di un ridimensionamento al ribasso di quel processo di crescita infinita che il progressismo dava come un dogma indiscutibile.

Nel suo discorso preregistrato all’Assemblea ONU, il premier cinese ha confermato la mezza volontà di contribuire alla lotta contro l’effetto serra: non costruirà più centrali a carbone all’estero, ma continuerà a farlo in patria, rimanendo così il maggior inquinatore del mondo. Un piede sfiora appena il freno, l’altro pigia sull’acceleratore

Il governo cinese, le cui decisioni nessuno osa criticare o avversare, ha dato disposizioni ferree per limitare i consumi interni, costringendo gran parte delle sue industrie, specie pesanti, a ridurre i giorni lavorativi a 2 o 3 la settimana. Questa disposizione, che graficamente paragonerei ad un motore a 4 cilindri costretto a funzionale con 2 o al massimo 3, ha dell’inaudito nella nazione più produttiva del mondo, per conto proprio e per il resto del mondo, che ormai da lei dipende per gran parte delle sue necessità o capricci.
Nel suo piccolo, ogni singola famiglia sta già sperimentando aumenti choc dei prezzi di gas, luce e benzina; mentre salari, stipendi e pensioni rimangono al palo. Traduzione: abbassamento della capacità di spesa e quindi dei consumi [VEDI].  Tutto ciò mentre il nostro premier parla con compiacimento di ripresa robusta, senza specificare chi beneficerà di questo bengodi, con lo spettro dell’inflazione sempre più in agguato.

Settimana di manifestazioni a Milano per piegare le cariatidi della crescita a spese della Terra

Noi siamo in democrazia e quindi disposizioni così drastiche come quelle emanate dal dispotico governo centrale cinese incontrerebbero una rabbiosa opposizione, sia del comparto produttivo che delle forze politiche, che vivono di voti e quindi di consensi. Ciò non esclude che a farne le veci sia la stessa forza delle cose. Abbiamo visto durante la pandemia succedere cose che mai avremmo immaginato, come la disinvolta abitudine ad abusare di DPCM: una forma in tono smorzato di totalitarismo, riducendo a zero la funzione del parlamento e costringendo l’intera popolazione a vistose perdite della propria libertà. Ma in quel caso si trattava di pericolo diretto della salute dei cittadini, che di buon grado si sono rassegnati a chinare il capo ed obbedire. In quel periodo mi veniva da pensare, da ecologista, che disposizioni simili, fatte per la salute del pianeta (e quindi in ultima analisi anche dei cittadini stessi) avrebbero incontrato le barricate.
Ci troviamo in una situazione contraddittoria, nel senso che questa limitazione delle attività produttive è dovuta proprio all’energica ripresa dei consumi, dettati dalla voglia generale di dimenticare la pandemia, come un increscioso incidente di percorso, e tornare alla normalità. Insomma, la voglia di ripresa sta soffocando la ripresa stessa. Va aggiunto che una motivazione, che si stenta a credere provenga dalla Cina (ossia dalla nazione che con cinica determinazione decise al volgere del millennio di diventare la fabbrica del mondo, infischiandosene di salari da fame e tutela dell’ambiente), sia proprio quella di ridurre le emissioni, per conformarsi al Trattato di Parigi, sino a ieri praticamente ignorato.
Se persino la Cina e gli stessi USA, altra nazione inquinatrice di peso globale, decidono di ridurre la loro febbre produttiva, col Pil non più stella polare di ogni loro decisione, significa che siamo davvero ad una svolta epocale. Ad una regressione pianificata. Con buona pace delle ambizioni italiane, che il proprio territorio l’ha puntigliosamente martoriato dalla fine dell’ultima guerra, dapprima in nome della ricostruzione e poi del profitto privato, incentrato soprattutto sull’edilizia e la motorizzazione.

Draghi e Greta. Stretta di mano tra due poli opposti. Sarà la forza degli eventi a far cambiare atteggiamento a chi fino a ieri guardava gli ambientalisti con sussiego. L’ambiguità del governo regna sovrana, con dichiarazioni contrapposte a seconda delle platee d’ascolto

Ha quasi valore simbolico il fatto che il primo materiale che ha sofferto pesanti ridimensionamenti nelle sue forniture sia stato il microchip, ossia proprio l’asse portante del nuovo mondo elettronico, fatto di computer e telefoni cellulari, pronti a sostituire l’uomo in ogni sua mansione, meccanica e cerebrale.
I governi si trovano ormai nella stretta tra esigenze di reale cambiamento (leggi minori consumi) e cambiamento fasullo (tecnologia a gogò), nel tentativo di conciliare i due corni del dilemma: decrescita tardiva e disperata o decrescita programmata per renderla il meno traumatica possibile.
Prima di chiudere, voglio far cenno ad un articolo apparso su Liberoquotidiano.it a firma Renato Farina [VEDI], teso a demolire il movimento verde, di cui Greta Thunberg sarebbe l’utile idiota, in quanto sarebbe il partito delle élite finanziarie, che puntano a sempre maggiori guadagni dal mondo ipertecnologico delegato a salvare il mondo. Non sono dietro questi meccanismi di “dietrologia”, ma mi dissocio da questa interpretazione del movimento verde. Farina paventa un’Europa in ginocchio per i suoi prossimi milioni di disoccupati in nome della transizione ecologica, che toglierà loro il lavoro. Ma costui vaneggia? La disoccupazione è semmai la figlia dell’ipertecnologia, della robotizzazione, della digitalizzazione. E sono proprio queste ultime la maggiori divoratrici di energia, sottratta alle braccia e ai cervelli umani, a scapito dell’ambiente.

Alzi la mano chi sentiva l’esigenza dell’auto senza guidatore. Tutte le ricerche della tecnologia puntano a considerare l’uomo come superfluo, quando non addirittura di ostacolo sulla via della sua progressiva emancipazione/emarginazione

La mia posizione è sempre stata, e qui la confermo, che non c’è modo di uscire dai rovesci della civiltà dei consumi fini a se stessi se non limitando i consumi, le esigenze, i capricci, le follie dell’ultimo mezzo secolo. Ogni altra strada (Farina concorda con Cingolani sull’ultima generazione di piccoli reattori nucleari, magari sotterranei, per alimentare, immagino, lo stesso apparato tecnologico-consumista), che punti a mantenere l’attuale stile di vita con gli artifici più esotici, è destinata al fallimento[VEDI]. Certo sarà una vita meno “scoppiettante”, ma anche meno ansiogena, come lo è ogni modello di vita che non punti alla velocità in ogni ambito, ma sappia apprezzare anche la lentezza. Nella mia scala di valori la ricchezza di una persona è proporzionale al suo tempo libero dai gravami che la frenetica vita attuale gli carica sulle spalle. Purché il tempo libero non riproponga gli stessi ritmi, sotto l’insegna del divertimento.

Marco Giacinto Pellifroni                    3 ottobre 2021

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