Nella morsa dell’usura
Girando per le strade vedo crescere una situazione ormai sfuggita dalle mani della gente e finita in quelle di una gendarmeria, statale e locale, che si aggira per le strade.
Ne soffro psicologicamente -e l’età non aiuta- come penso milioni di altre persone. Per mia fortuna ho una pensione, modesta, ma sufficiente a vivere dignitosamente; e quindi non posso lamentare di essere stato abbandonato. Tuttavia, spesso la pensione dei vecchi serve per sopperire al mancato intervento dello Stato verso i più giovani, lasciati senza lavoro, se dipendenti, o senza un reddito, se autonomi.
Già, lo Stato. Sappiamo che esiste perché i media ci informano della sua esistenza: c’è un governo, che spesso ci mostra le facce del suo premier e di una schiera di ministri; c’è un Parlamento, di cui vediamo soltanto un’esigua frazione dei componenti, e ci viene spontaneo chiederci che rapporto ci sia tra il lavoro svolto e gli emolumenti percepiti; c’è un gigantesco apparato burocratico di Stato e satelliti, con lauti stipendi. Insomma, da quella parte del vallo c’è un sacco di gente che non conosce, e tanto meno vive il dramma dell’oltre vallo e non fa altro, per testimoniare la sua esistenza, che sfornare editti su come i cittadini “comuni” si devono comportare. Sul versante doveri (nostri), invece, il governo è presente, eccome. Su quello dei doveri (suoi) latita. Se non paghi una multa o un’imposta entro i termini rigidamente stabiliti dall’ente impositore, l’importo schizza verso l’alto, in puro stile usurario. Se lo stesso ente paga -quando paga- in mostruoso ritardo, l’importo non cambia. Se tu per non incorrere nell’usura degli enti pubblici, Stato in testa, ricorri ad uno strozzino, l’usura è ancora più alta. Come lasciar scegliere al condannato se morire impiccato o decapitato. Questo meccanismo è responsabile di migliaia di fallimenti e vendite all’asta.
In questa atmosfera dove una metà del Paese vegeta nell’angoscia se riuscirà a mangiare anche domani, aleggiano i proclami, le promesse fatte da chi non ha di questi problemi, Mattarella in primis: fatevi forza, tenete duro, in attesa dei ristori. Ristori? Mandiamoli a “Chi li ha visti?”.
Qua e là, come a Finale e Savona, ci sono proteste di commercianti, che lamentano di dover tenere aperti i negozi per onor di firma, incassando però poco niente. Eh, in un clima simile la gente ha paura, non spende. No ristori, no incassi; e il commercio va a fondo.
La scadenza del 15 novembre, solennemente auto-impostasi dal ministro Gualtieri, è stata tanto abbondantemente superata, quanto disattesa.
Ci sono però delle scadenze che non possono essere eluse: bollette, affitti, viveri. Ed altre che invece dovrebbero venire cancellate, ma vengono ostinatamente mantenute: sanzioni di varia natura sono in agguato, pronte a saltarci addosso non appena l’emergenza finirà. E c’è persino chi gioisce che, sotto questo punto di vista, l’emergenza sia un periodo di inatteso respiro. Il respiro precario che sempre accompagna l’imminenza di scadenze onerose. Ah, no, sbagliavo: vari Comuni, Savona compreso, si fanno avanti, in un contesto così luttuoso, per appioppare multe inevase o per comminarne di nuove: doveva pur bilanciare il mancato incasso del suolo pubblico. A Savona, allora, hanno misurato al centimetro la metratura di bar e negozi; e 60 esercizi son stati multati da 1000 a 9000 mila euro. Si fa presto a scrivere queste cifre; pagarle, invece, richiede tutt’altro sforzo, anche se a rate, come benevolmente il Comune si è detto disposto a transare.
Finita l’emergenza (?), si saranno accumulati, per i sopravvissuti, tali e tanti debiti verso la pubblica amministrazione da mangiarsi una bella fetta di Pil. Come poi la macilenta armata Brancaleone riuscirà a sfangarsela con i magri redditi spolpati anche dalle multe in arrivo a ritmo incalzante, è un enigma che non si risolverà in forma bonaria. Del resto, è una pratica ben collaudata dai Comuni: se non arrivano i fondi statali, riempiamo le strade di autovelox. E anche qualche cittadino sta cercando una via d’uscita alle grinfie pubbliche, eliminando i conti in banca o lasciandoli sempre sguarniti. Ognuno si attrezza come può. Se con i fornitori privati puoi sempre trattare sul prezzo, cosa fai quando ti arriva un balzello intoccabile?
In sostanza, prevale un clima di velata tristezza, un misto di rabbia e rassegnazione, in tutti noi, che ci sentiamo impotenti, non solo verso il mostro che insidia i polmoni, ma anche verso tutti i debiti accumulati e accumulandi che l’apparato aggiunge a quelli pregressi.
Sento di negozi che incassano 20 o 30 euro in un giorno, mentre il solo affitto vale magari 50 -100 euro.
Sento di squadre di 4-5 vigili che piombano su un negoziante che solo soletto si fuma una sigaretta all’aria aperta, per la mancata mascherina. Come si fa a vivere sereni con il fiato sul collo della gendarmeria? La vocazione di sceriffo riempie il petto di tanti vigili sinora impiegati nel vile mestiere di compilare verbali di € 28 con lo sconto per divieti di sosta. Adesso si parte dai € 500 in su, e si arriva al penale. Assai più qualificante, perbacco.
Accendo la radio e non fanno che parlare di nuove restrizioni; mai che parlino dei soldi promessi che non arrivano, mentre la gente sta male. Oggi è ammesso soltanto star male di Covid: non esistono altre malattie, anche se gravi come e più del Covid.
Mi chiedo a Natale che giro d’affari ci sarà, tra le limitazioni ai negozi e le tasche della gente lasciate vuote. Sarà questo il Natale sereno con cui Conte giustificava le restrizioni? Un’eco del famoso “Stai sereno” del baldanzoso ex premier Renzi a Enrico Letta. Un aggettivo che porta male, meglio espungerlo dal vocabolario pubblico.
Davvero, una vita così tarpata da ogni palpito di libertà vale molto meno la gioia di viverla. E immagino che, schiacciati tra presente povero e previsioni poverissime, i suicidi siano all’ordine del giorno. Basta non divulgarne notizia: anche lì, fanno notizia solo i morti per Covid, o presunti tali.
Eppure, leggo che il governo ha speso (forse meglio dire sperperato) la bellezza di 100 miliardi in 9 mesi! Come un fiume che finisce nelle secche del deserto: non se ne vede traccia. Li avesse impiegati per opere pubbliche necessarie sarebbero entrati in circolazione promuovendo lavoro. Invece sono finiti come una pioggia estiva sull’asfalto cocente per chiedere alla gente di non lavorare. Evaporati.
Riflessioni
Divieto di sosta: come ce lo raccontano
€ 41. Se paghi entro 5 giorni “sconto” 30%: “solo” € 28,70
Capovolgiamo il racconto
€ 28,70 se paghi entro 5 giorni. Altrimenti penale del 48,85%= € 41
Capito? Quasi il 50% in più se sfori i 5 giorni
Neanche i cravattari osano tanto
Su base annua, senza anatocismo, fanno € 8979
Se non è usura questa, è strozzinaggio
E vale per ogni infrazione al codice della strada
Condono tombale
L’unica via d’uscita sarà quella di ripartire da zero. Azzerare tutti i debiti verso Stato ed enti pubblici. Si chiama condono in linguaggio politico-fiscale; indulgenza, per cancellare i peccati, o giubileo, per estinguere i debiti, in termini religiosi (“rimetti a noi i nostri debiti” ecc., recita il Pater Noster). La remissione dei debiti ha una millenaria tradizione, per evitare il collasso economico. Le sinistre, invece, la vedono come una resa infamante del governo, anche se salvifica per la gente
L’ideologia di sinistra spinge ad aggrapparsi alla gente in procinto di affogare per la zavorra ai piedi, agganciandogli nuova zavorra: sanzioni, tasse, tributi, scegliendo di affondare insieme a loro (“Muoia Sansone”, ecc.). Se invece gli desse un salvagente, tutto riprenderebbe in un clima di rinnovata lena, proprio come dopo la fine di una guerra, col territorio in macerie.
Quanto alla Chiesa, che ha impiegato secoli per cambiare il Pater Noster là dove parla di tentazioni, soggiace all’inveterata tentazione di non rimettere neanche un euro quando si tratta di incassare i canoni del proprio sterminato patrimonio immobiliare, accumulato dietro vergognose indulgenze e promesse del Paradiso.
In sostanza, l’umanità vive sospesa tra uomini di governo che spillano soldi per servire il popolo, lucrandone una cospicua parte per il proprio benessere; e uomini di Chiesa che fanno altrettanto per salvare le anime. Tanto, nessuno torna indietro a dire che son tutte fandonie.
Rebus sic stantibus, non stupisce il rigetto della religione ufficiale (secolarizzazione) e della politica reale (neo-scetticismo, nichilismo) da parte dell’assoluta maggioranza delle persone mentalmente autosufficienti. Della Chiesa si può fare a meno; dello Stato purtroppo no; e questo spiega perché accettiamo obtorto collo anche governi raffazzonati e opportunisti come quello esistente. Tanto, noi siamo su una zattera, loro su una corazzata. Ma c’è sempre un iceberg in agguato.
Marco Giacinto Pellifroni 29 novembre 2020