Il nuovo libro di Alessandro Marenco

Un libro nuovo per parlare del destino
delle donne, tra boschi e fabbrica

Un libro nuovo per parlare del destino delle donne, tra boschi e fabbrica.

 Ho lavorato per un certo periodo in un archivio comunale. Essendo appassionato di Storia e in specie di Storia Locale, e ancora di più in quella che si chiama “contemporanea”, mi ci trovavo splendidamente bene.

Il lavoro mi consentiva di aprire e cercare tra i faldoni più riposti, nelle filze e sugli scaffali più impolverati dell’archivio. Mentre il lavoro di ricerca e di riordino, per così dire, istituzionale, quello per cui ero là comandato, c’era sempre modo e tempo di seguire alcune piccole suggestioni, di incontrare per diverse volte lo stesso nome, in diversi documenti, di affezionarsi, quasi, ad una persona morta ormai da cinquant’anni, ma che aveva lasciato il suo segno ben chiaro tra i documenti ingialliti.

Fra le altre, mi aveva colpito un ragazzo, arruolato giovanissimo nella Decima Flottiglia Mas, quella sorta di esercito privato (ma ben schierato con la repubblica sociale) alle dipendenze del principe Junio Valerio Borghese. Non solo la data della morte colpiva (dieci giorni prima della fine della guerra) ma anche l’annotazione a margine, circa la nascita: era nato con un cognome, e morto con un altro. Indagando, si scopriva che il ragazzo era nato illecitamente e subito abbandonato all’orfanotrofio di Savona. Un paio di anni dopo, la giovane madre fino ad allora residente in campagna, si sposta verso il fondovalle e comincia a lavorare in fabbrica, presso la FILM Ferrania. A tre anni dalla nascita e dall’abbandono, la madre, dipendente salariata regolarmente, predispone i documenti da un notaio per il riconoscimento e va a Savona, dove si fa consegnare suo figlio, accogliendolo nella casa che finalmente abita da sola, a Ferrania, a due passi dallo stabilimento.

Questa storia mi è sembrata profondamente significativa, ed ho iniziato a indagare tiepidamente sulle persone che l’hanno vissuta. Molti ricordano ancora la protagonista, alcuni anche lo sfortunato figlio. In ogni caso ce n’era abbastanza perché io non potessi fare a meno di pensarci, e di prefigurarmi un ambiente, una catena di avvenimenti, un certo modo di pensare.

Una storia (stavolta minuscolo) mi stava crescendo in testa: una vicenda rappresentativa della mia Val Bormida, strana chimera, per metà boschi (quasi) selvaggi e per metà industrie fotografiche, esplosive, del vetro e del carbone. E in mezzo gli uomini e le donne, loro malgrado attori di una sceneggiata tragica e irrisolta.

La storia che volevo raccontare doveva cominciare da un “prima”, quando l’industria era solo nei racconti dei viandanti, era solo annusata, idealizzata. Il Secolo Breve si sarebbe presentato con tre eventi fondamentali: una esplosione, una fotografia, una guerra. E poi il fascismo, pervasivo e onnipresente, che si abbina in una danza viziosa con la nuova era industriale, razionale e produttiva, a scapito di una civiltà rurale che tutti vogliono proteggere e promuovere (nelle parole) ma che tutti contribuiscono a stritolare, nei fatti.

Gli uomini viaggiano, lavorano altrove, emigrano, vanno in guerra: non ci sono mai, non sono mai responsabili. Le donne rimangono, dure e sole, a tenere assieme il sole, la terra e il cielo.

Ma l’industria e il fascismo vogliono il progresso: basta campagna. Città, palazzi, lavoro ad orario preciso, stipendio fisso, rapporti stechiometrici tra lo speso e il guadagnato. Treni in orario, guerra in orario, donne al loro posto, che neanche loro, a questo punto, sanno più quale sia.

Mi è venuto da chiedermi quale sia l’importanza della volontà, del libero arbitrio, quale scelta potevano avere quelle persone, come e quanto potevano fare scelte fondamentali sul proprio destino. Mi sono risposto che no, non avrebbero potuto cambiare nulla. Non gli uomini, trascinati in trincea o su un vapore per l’America; non le donne, lasciate alla casa, al pollaio, al campo, ai figli.

L’Era nuova stabiliva finalmente delle responsabilità individuali: se ti comporti bene, se ti muovi in orario, se stai allineato alla vita di tutti, non potrai che goderne i benefici. I quali saranno tanto migliori quanto tu ti sarai impegnato in questi. Da qui discende la nevrosi attuale, quella che attanaglia tutti, che ci fa responsabili e individui (indivisibili) continuamente in confronto con la performance… Che il treno arrivasse o meno in orario, al contadino di cent’anni fa, non importava nulla. Lui era andato in America con un fazzoletto annodato e quattro cose. Che importanza ha partire al mattino, al pomeriggio o addirittura il giorno dopo? E in questo sta anche il sollievo dalla responsabilità che oggi pesa su tutti noi, maschi e femmine.

Ho dunque raccontato questa storia di trasformazioni, e credo di aver reso un buon servizio alla mia terra, ai miei boschi, alla gente che qui abita.

Il libro si può comprare on-line al seguente link: 

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