25 aprile 2025: fra pólemos, caos e memoria, una Liberazione sotto il segno della coerenza e del lutto
In un’Italia attraversata da lutti solenni e tensioni latenti, l’ottantesimo anniversario della Liberazione si presenta come un terreno minato, dove si scontrano visioni, retoriche e memorie. Il pólemos – lo scontro – si manifesta esplicitamente nelle parole di Maurizio Landini, che ha scelto di marcare la ricorrenza non con toni commemorativi, ma con una chiamata alla lotta: «. Una frase che scavalca la commemorazione per farsi dichiarazione politica, denuncia sociale, monito sindacale.
La risposta del centrodestra non si è fatta attendere: accuse di strumentalizzazione, inviti alla moderazione, tentativi di svuotare di significato una celebrazione che per sua natura è già polarizzante. Ma è proprio qui che affiora il secondo elemento dell’analisi: il caos.

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Un caos semantico e simbolico, in cui sobrietà viene intesa da una parte come rispetto per il lutto nazionale (la morte di Papa Francesco), dall’altra come forma implicita di rimozione o minimizzazione storica. «Sobrietà è una parola ambigua», ha detto Elly Schlein, denunciando un presunto tentativo di depotenziare l’anima antifascista del 25 aprile.
Eppure, proprio in questo conflitto tra la paideia della memoria e l’agone dell’attualità, si misura l’ortodossia della nostra democrazia. Coerenza significa oggi interrogarsi su come celebrare una data fondante senza trasformarla in un’arma politica, né in un rito svuotato. È coerente parlare di resistenza se ci si astiene dal difendere i diritti civili e sociali nel presente? È coerente evocare unità nazionale se si nega la legittimità della critica o la voce dei lavoratori?
Nel giorno in cui l’Italia osserva il lutto per la scomparsa di un pontefice che ha incarnato la cifra della riconciliazione – Bergoglio, pastore delle periferie, costruttore di ponti e non di muri – il Paese sembra invece incapace di trovare un terreno comune. Eppure, proprio in questa tensione si apre uno spiraglio: quello della riconciliazione. Ma non una pacificazione formale, imposta, bensì un riconoscimento reciproco delle ferite e dei percorsi storici. Riconciliazione non significa parificare torti e ragioni, ma accettare che nella dialettica democratica coesistano memorie differenti, purché sincere.
Infine, resta la questione della sobrietà, evocata dal governo come cifra del rispetto istituzionale e dalla sinistra come tentativo di oscuramento. In un tempo di lutto nazionale, la sobrietà potrebbe rappresentare un’opportunità: non per tacere, ma per dire con più forza e meno clamore. Per difendere la libertà senza invettive, per ricordare il sacrificio dei partigiani senza ridurlo a slogan, per fare memoria come esercizio civile e non come comizio.
Il 25 aprile 2025, dunque, sarà un giorno sospeso tra la fragilità della coesione e l’urgenza della testimonianza. Un giorno in cui pólemos e caos convivranno, ma in cui potremmo ancora scegliere la via della coerenza e della riconciliazione. Purché lo si faccia con quella sobrietà che non spegne la memoria, ma la rende più limpida, più esigente, più umana.