“Lo tradiva con tutti” …

“Lo tradiva con tutti”
 racconto noir di Massimo Bianco tratto da:
“Autoesorcismi per pitture nere” e-book antologico di AA.VV.

Stavolta vorrei segnalarvi un’iniziativa editoriale a cui ho l’onore di partecipare e che a quanto mi risulta è una novità assoluta per l’Italia.
Sedici autori del web, che propongono abitualmente i propri scritti su Neteditor, il noto sito specalizzanto in letteratura, hanno provato per la prima volta a spezzare il tradizionale isolamento creativo di internet, unendo le proprie forze allo scopo di pubblicare un e-book autoprodotto (e relativo volume in cartaceo, ancora in via di definizione), intitolato “Autoesorcismi per pitture nere” per un totale di 22 racconti narrativi ispirati ciascuno a uno dei famosi quattordici dipinti realizzati da Francisco Goya, per esorcizzare i propri incubi e deliri, sulle pareti della sua abitazione, la cosidetta “Quinta del Sordo”.
 Si tratta de “Las pinturas negras”, le pitture nere, per l’appunto, oggi conservate al museo del Prado di Madrid. Al modico prezzo di euro 3,75 potete trovare il volumetto elettronico cliccando sul seguente link:

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Il sottoscritto partecipa all’iniziativa con due racconti noir, “Qualcuno mi attende”, ispirato al dipinto intotolato “Leocadia” e “Lo tradiva con tutti”, ispirato invece all’opera “Uomini che leggono.” Ed è quest’ultimo brano che vi presento in anteprima, con la speranza che vi invogli ad acquistare l’e-book. Buona lettura.

 

Lo tradiva con tutti

un racconto noir di Massimo Bianco

In un nuvoloso pomeriggio di luglio Giovanni De Rossi terminò di lavorare più presto del solito e arrivò a casa in anticipo. Appena entrato nel portone sentì una tv accesa a tutto volume su un qualche programma di cartoni animati e si rese conto con irritazione che era quella del suo appartamento. Infatti, i suoi due maschietti di dieci e undici anni parlavano così ad alta voce da coprire i suoni provenienti dallo schermo, apparentemente sull’orlo di un litigio. Giovanni si affrettò a salire le scale.

Un inviperito “Non capisci proprio niente” gli giunse forte e chiaro mentre infilava la chiave nella porta d’ingresso. Riconobbe la vocina stridula del figlio minore Alessio. Di sicuro sua moglie non c’era, altrimenti non avrebbe permesso un tale bailamme.

“Ma cos’è ‘sto casino, finitela.” esclamò mentre dava la caccia al telecomando per tutto l’elegante salotto, splendidamente arredato con autentici mobili e suppellettili art nouveau. 

“Papà, è stato Alessio a cominciare.”

“Ma papà, Simone dice che…”

“No, non voglio sentire niente. Lo sapete che non mi va di vedervi litigare, ok? Non m’interessa chi ha cominciato e qualunque cosa Simone ti abbia detto, lascia perdere e non stare in piedi sul divano Ducrot, che è delicato, si rovina e mi è costato pure un patrimonio.” 

Nella cameretta all’estremo opposto dell’appartamento trovò Chiara, la figlia quindicenne, intenta a svolgere i compiti per l’estate con le cuffie infilate nelle orecchie. In assenza della mamma avrebbe dovuto essere lei a tener d’occhio i fratellini, ma aveva ben altro di cui preoccuparsi. La madre diventava sempre più trascurata in tutto, eppure un tempo era una donna dolcissima e una genitrice perfetta, amorevole e attenta. La ragazzina si accorse del suo ingresso e gli rivolse un allegro saluto. Il padre non capiva come potesse la musica non disturbarne gli studi, ma sapeva che farne a meno per lei sarebbe stato peggio, con quei due teppistelli in casa e i compiti da non trascurare.

“La mamma non c’è?” chiese conoscendo già la risposta.

“No, è fuori, voleva starsene in pace, Ale e Simo sono più agitati del solito, oggi.”

“Da quant’è che è uscita?”

“Sarà un’oretta, papi.”

Un’ora. Giovanni sapeva fin troppo bene dove era andata. Diede un’occhiata all’orologio. Segnava le 17,00 in punto e a conferma quasi nello stesso istante udì la pendola del salotto battere i colpi. Quel poco di buon umore rimastogli evaporò del tutto. E pensare che durante il viaggio di ritorno, mentre era incastrato nel traffico, l’illusione di trascorrere qualche ora insieme a lei prima di cena gli aveva quasi fatto dimenticare quanto fosse stata stressante la giornata. Stupido che era, avrebbe dovuto aspettarselo, invece. Nell’appartamento, lì al primo piano, Tiziana ormai ci restava sempre meno. Sospirò. Fino alle otto non sarebbe rientrata, questo era certo.

Passeggiò nervosamente avanti e indietro per un po’, poi andò ad accendere l’altra televisione, ma non trovò nulla di interessante. Più tardi si affacciò sul minuscolo poggiolo ma c’era poco da osservare: un palazzone di otto piani davanti a occludere buona parte della visuale, altri massicci edifici ai lati, auto che scorrevano incessantemente lungo la strada sottostante fino a infilarsi nel corso principale e anonimi negozietti alternati a passi carrai. Giovanni si sporse in fuori, torse il busto e volse lo sguardo verso l’alto, tuttavia non vide altro che una sottile striscia di cielo e i sette piani sopra al suo, a stento visibili. Nulla si muoveva. Poi alcuni gabbiani passarono in volo. Eppure sapeva che doveva trovarsi lassù, con Lui. Aveva i nervi a fior di pelle, preda di un’irrefrenabile gelosia.

 

Tiziana lo tradiva. Lo tradiva con tutti da quattro anni. Aveva mille storie con altrettanti uomini. Per lei c’era sempre qualche dannato, losco personaggio con cui perdersi e dimenticarsi del coniuge. E proprio in quel momento era lassù, col compagno di turno. Ne era più che semplicemente convinto, ne aveva la certezza assoluta: Conosceva la sua identità. Del resto lei non faceva nulla per nascondergli le innumerevoli avventure. Lo cornificava apertamente, giungendo perfino all’impudenza di raccontargli della loro dolcezza o della loro energia, della loro sfrontatezza o della loro timidezza, effettuando raffronti e gettandogli in faccia tutta la sua presunta inadeguatezza. 

Rientrato nel salotto, lo sguardo gli cadde su una foto scattata sei anni prima, alla comunione di Chiara e una lacrima gli scivolò lungo la guancia. Quel giorno insieme facevano un figurone. D’altronde erano una bella coppia piacente, mediamente alto e slanciato lui, il volto precocemente invecchiato dalle preoccupazioni e tuttavia attraente, un po’ più piccina lei ma ben proporzionata e graziosa come una bambola, con quella bianchissima e delicata pelle di porcellana, i lunghi capelli neri e il bel viso acqua e sapone. E poi Tiziana aveva sempre dimostrato molti anni meno dell’età anagrafica. Il suo fisico aveva superato le tre gravidanze come se nulla fosse e ancora ora, a quarantatré anni, aveva un aspetto da giovincella e una silhouette da fare invidia alla maggior parte delle donne.

Questa volta però ne aveva abbastanza. La sua Tiziana aveva davvero passato il limite. Sua? Magari lo fosse stata, ormai apparteneva a tutti tranne che a lui. Tra loro non c’era più comunicazione e non ne capiva il perché. Dio come li aborriva. Ma stavolta si sarebbe vendicato. Avrebbe eliminato tutti i suoi amanti, presenti e passati. Aveva già in mente il piano nei minimi dettagli. Si trattava solo di trovare il momento propizio. E poi forse, chissà, sarebbe finalmente tornata a essere sul serio interamente sua. 

Quando infine la consorte rientrò, le 20,00 erano già trascorse.

“Alla buon’ora.” esclamò Giovanni, visibilmente irritato.

“Ciao caro, come è andata al lavoro? Immagino che come al solito non avrai nulla di interessante da raccontare.”

“Solo i problemi abituali, non vado fuori a divertirmi, dopotutto, io.”

“Io invece ho trascorso una splendida giornata con Roberto. È un brav’uomo, sai, pur con tutti i suoi problemi.” rispose Tiziana, sorridendo imperturbabile prima di abbracciarlo e posargli delicatamente le labbra sul volto.

L’uomo abbozzò ed esibì un risolino forzato, ma in quel momento le sue mani si sarebbero strette volentieri intorno a quel latteo collo di cigno. Eppure l’amava ancora con tutte le sue forze e non sarebbe mai riuscito a torcerle un capello. In compenso sapeva su cosa riversare la propria rabbia. E allora si sarebbe pentita d’averlo trattato con tale sufficienza. 

Tiziana intanto era andata a salutare i figli per poi recarsi tranquilla a spignattare in cucina, del tutto inconscia dell’uragano di sentimenti appena scatenatosi. Quando i cinque si sedettero a tavola mancava un quarto alle nove. In apparenza chiacchierarono amabilmente per l’intero pasto, però Giovanni sentiva i familiari con un orecchio solo e rispondeva in automatico. In effetti la sua mente era già rivolta in avanti, al giorno in cui si sarebbe finalmente presentata l’occasione tanto attesa. Poi all’improvviso udì ancora quel nome, Roberto, e l’attenzione gli si ridestò.

“Sai caro, Roberto ha attraversato una terribile crisi, è stato sul punto di suicidarsi, tempo fa. Ora è in cura da uno psichiatra e ieri notte ha trovato finalmente la forza di rivelargli i più intimi particolari della sua vita e ne ha tratto giovamento. Ma la sua salvezza non è stata mettersi in cura, ne sono convinta. Alla fine non c’è nulla di meglio che incontrare la donna giusta, per ritrovare la serenità e superare i momenti difficili, non credi?”

A quest’ultimo commento Giovanni sospirò platealmente.

“Oh sì, almeno finché lei non ti pugnala al cuore come fai con me.” gli scappò quindi detto.

“Non essere sciocco, caro, lo sai che ti amo, ma sai anche che ogni tanto mi occorre un po’ di distrazione dal solito tran tran quotidiano. Non ho mai capito questo tuo egoistico bisogno di accentrare tutta l’attenzione su di te.”

“Ah, io sarei egoista, adesso. Guarda che è assurdo pretendere che ti divida con mille altri uomini.” 

“Beh, certo, se la metti in questo modo. Tu però non tieni proprio conto della mia sensibilità.”

“E la mia sensibilità invece non conta nulla? Se almeno evitassi di parlarmene!”

Stavolta fu Tiziana a sospirare per l’atteggiamento del marito. Davvero non lo capiva. Perché reagiva sempre con quei ridicoli attacchi di gelosia, invece di essere felice di sentirla condividere con lui le proprie emozioni? 

“Dai” – disse infine – “non togliermi la soddisfazione di discorrerne, sai bene che l’unico vero uomo della mia vita sei tu e che il resto è solo una parentesi fantastica che passa e va. Allora ascoltami per favore, ti dicevo che Roberto…”

Giovanni non poté far altro che ascoltarla e guardarla, impotente. D’altronde perfino imbronciato il suo viso restava incantevole. No, teneva troppo a lei per condividerla con altri. Roberto, Roberto, Roberto… Tiziana parlava ed egli intanto non faceva che ripetersi quel nome, come un mantra. Roberto, Roberto, Roberto… Dio come lo odiava, lui e tutti i suoi fottuti problemi psicologici. E quanto lo faceva star male dentro. Sarebbe stato il primo a morire, giurò a sé stesso. Dai tempo al tempo cara mia e poi vedrai la fine che farà il tuo adorato Roberto.

Due sere dopo Tiziana De Rossi sedeva tranquilla in poltrona a leggere. Aveva un’aria rilassata, serena. Sia il giorno precedente sia quello in corso era stata oberata da impegni e non aveva avuto un attimo di respiro. Perciò dopo cena si era ritirata nel suo cantuccio prediletto, dove nessuno doveva permettersi di disturbarla, e si era talmente immersa nella lettura da non accorgersi dello scorrere del tempo. E poi il libro la prendeva così tanto da non riuscire a interrompersi. In quel momento tutte le sue insoddisfazioni erano dimenticate. Quando infine si riscosse, si rese conto di quanto si fosse fatto tardi: erano già le due passate! Incredibile come volava il tempo nei momenti piacevoli. Posò il libro sul tavolino firmato August Endell, a fianco di un prezioso vaso Tiffany in vetro “febbrile” a coda di pavone, spense il lume liberty a stelo Gallè, lavorato in bronzo a motivi d’edera e con sei tulipes in pasta di vetro a motivi floreali, e si affrettò ad andarsene a letto. Quando entrò in camera Giovanni dormiva. Cercò di infilarsi adagio sotto le lenzuola, per non disturbarlo. 

Intorno alle quattro il marito si alzò, silenzioso. Tiziana era profondamente addormentata. Sapeva che si era infilata sotto le lenzuola alle due e trenta, l’aveva sentita, anche se fingeva di dormire. Non si sarebbe quindi svegliata per un pezzo. Pure i figli dovevano trovarsi nel bel mezzo del sonno. Era il momento giusto per agire indisturbato. Si vestì al buio, attento a non far rumore e uscì.

Chiamò l’ascensore e mentre l’attendeva fece una rapida telefonata. Entrò quindi nel vano e salì all’ultimo piano. 

“Basta coi tradimenti” – sussurrava nel frattempo – “a mali estremi, estremi rimedi”. 

Poco dopo giunse davanti a una porta. Aveva una copia delle chiavi. La infilò nella serratura e aprì.

Si era portato dietro tutto l’occorrente. Non ci volle molto. Ben presto il fuoco iniziò a crepitare nella mansarda e lui restò a guardarlo soddisfatto. Era lì, nel  loro grazioso abbaino posto al di sopra dell’ottavo e ultimo piano del palazzo, che sua moglie aveva installato la libreria, un prezioso, antico mobile tedesco in stile liberty. Era lì che si rifugiava per dimenticare le proprie frustrazioni. 

Giovanni detestava la sua abitudine di leggere con tanta passione, dimentica di tutto. Non sopportava più di saperla immersa in un mondo meraviglioso in cui per lui non c’era posto. Da circa quattro anni la consorte aveva accentuato l’abitudine alla lettura e da altrettanto lui esecrava in tronco tutti i suoi libri. Li odiava perché quando lei li leggeva sembrava felice, assai più di quanto lo fosse stando insieme al marito, perfino rispetto a quando facevano l’amore. E li odiava tanto più perché era incapace di penetrare il mondo della narrativa, genere letterario di cui neppure capiva il senso, solo un’assurda fuga dalla realtà, dal suo punto di vista.

Vide bruciare i volumi di Gianrico Carofiglio, l’autore preferito di Tiziana, e gli parve di vedere morire l’avvocato Guido Guerrieri in persona, protagonista di tanti suoi scritti e personaggio che lei venerava, tanto da giungere a sostenere che le sarebbe piaciuto consolarlo delle sue delusioni sentimentali. In quei giorni Tiziana stava proprio leggendo l’ennesimo romanzo di Carofiglio, “Il silenzio dell’Onda”. Ed eccolo, abbandonato sul tavolino tedesco, prender fuoco come tutti gli altri tomi. Giovanni allora sorrise, provando la piacevole sensazione che insieme ad esso stesse bruciando anche il protagonista Roberto Marias, il carabiniere in crisi esistenziale di cui ultimamente si ostinava a parlargli. 

Inoltre c’erano i romanzi di Jean Claude Izzo e che rabbia quando, persa nel dramma Shakespeariano d’amore e morte di “Marinai perduti”, neppure s’accorgeva che lui le stava rivolgendo la parola. E poi ancora Nicholas Sparks con le sue stramaledette romanticherie; Nicholas Evans dalle opere colme di intense emozioni; Fabio Volo, il più insopportabile di tutti con quei suoi insignificanti libercoli di cui tuttavia lei pareva in costante ammirazione; l’introspettivo Paulo Coelho e tutti quegli altri autori a lui ormai ben noti e con i cui principali personaggi maschili non poteva fare a meno di ritenere che la moglie lo tradisse. 

E mentre già si udivano le sirene dei pompieri da lui stesso avvisati, guardava le pagine annerirsi e accartocciarsi, le fiamme sollevarsi e spargere calore e gli si riscaldava il cuore, come non gli accadeva ormai da mesi, forse perfino da anni.

 

Sperando che il mio racconto vi sia piaciuto e vi abbia stuzzicato, vorrei concludere riportando anche l’ottima postfazione scritta da Bruno Corino, filosofo e autore di uno dei racconti presenti nel e-book, che in poche righe ha espresso l’importanza dell’iniziativa assai meglio di quanto avrei saputo fare io.

Dov’è il “centro” e dove la “periferia”? Ma sì, sappiamo bene dov’è il centro: il centro si trova nel mondo dell’editoria, con i suoi rituali, le sue conventicole, le sue alleanze, i suoi premi, le sue riviste, i suoi anchorman, i suoi spin doctor. Il centro è là, perché è là che si fanno affari, vendite, marketing; è là che si compra, si vende, s’acquista. Ed è là che si trovano i professionisti della scrittura, ossia gli “scrittori” di mestiere. Ma questi scrittori della carta stampata, abbarbagliati ormai sulla luna, che vivono su un altro pianeta, protesi soltanto a vendere qualche copia in più del loro ultimo romanzo, fanno ancora “letteratura” o hanno smesso ormai da tempo? Coccolati da una editoria in crisi, scrivono per mestiere, per inerzia, sotto la spinta del mercato. Qui la “letteratura” è un cimitero di copertine lasciate come lapide a ricordare quel che fu! Sulla carta stampata non si fa letteratura, ma si fanno affari, profitti. Di tutto, insomma, tranne che letteratura.

La vera letteratura dei nostri tempi sta altrove. Nei blog, nei litblog. Qui si dibatte, si discute, ci si accapiglia. Qui si crea, s’inventa, si sperimenta. Accantoniamo per un attimo tutta l’accozzaglia che troviamo scritta. Accantoniamo anche il fatto che ci siano autori che scrivono con i piedi. Poniamo invece per un attimo attenzione alla piena libertà espressiva di questi autori, alla loro pluralità stilistica che possono adottare senza restarne prigionieri.

Qui non ci sono “scrittori”, ma soltanto “autori”, autori che creano con il loro ingegno, secondo l’etimologia del termine, che vivono la scrittura con passione, che vivono questa passione per esorcizzare i mali o i malesseri dei nostri tempi, consapevoli del fatto di trovarsi in mezzo a una svolta epocale, a un cambiamento radicale, che sta trasformando il modo di scrivere e di leggere. Ma sono autori “marginali”, o, se osservati dal “centro”, “periferici”, che non contano niente. Eppure, quantunque non contino niente, saranno gli autori del domani, perché la vita letteraria sta spostando il suo asse e il suo pubblico.

Sempre più, e in maniera esponenziale, i lettori/autori si dirigono verso la periferia, perché sempre più intuiscono che là c’è vita, c’è vitalità, c’è anima, c’è animosità, e che al centro c’è solo liturgia, ipocrisia, c’è stanchezza, c’è artificiosità.

Facile profezia? Può darsi. Ma il fatto che degli autori che si sono conosciuti in rete si mettono insieme per realizzare un’antologia di per sé non costituisce una novità? Ognuno di loro porta avanti una propria poetica, esprime una propria visione del mondo, ha una propria idea del fare letteratura. Quindi non si fanno portavoce di un’estetica comune, di una visione condivisa della vita e dell’arte. Non si propongono neanche di creare un movimento, di costruire un’avanguardia. L’unica cosa che li accomuna è di essere tutti autori nati nella rete, di essere dunque autori che vivono ai margini, ma tutti vivono nella convinzione di essere il domani della letteratura.

 

Massimo Bianco

POESIE  E RACCONTI

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