![]() versione stampabile COME SI DISTRUGGE IL COMMERCIO
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![]() M. G. Pellifroni |
L’Italia è oggi spaccata in due,
ma non in parti uguali. Contro una minoritaria
frazione di grandi aziende e di amministrazioni pubbliche che
non devono temere i rigori della legge, c’è la stragrande
maggioranza di imprese, da piccole a micro, che devono vivere da
clandestine in patria. E mi riferisco a imprese, se così si
possono chiamare anche quando si tratta di botteghe o piccole
partite Iva. |
Secondo
Infatti, se passiamo su
quest’altra sponda, che è anche la più fragile,
grazie ad una concorrenza ingrossata dalla
liberalizzazione e dalle schiere di senza lavoro
che devono inventarsi un’attività senza alcuna
specializzazione, gli “autonomi” sono costretti
ad assumere il personale secondo le norme un
tempo valide per tutti: quindi con minimi
contrattuali, tredicesime e
addirittura
quattordicesime,
pieni contributi INPS, ferie, ecc.; il tutto
gravato da una miriade di adempimenti spesso
senza alcuna utilità pratica (ad es. sulla
sicurezza), se non quella di appesantire i
bilanci e le sanzioni in caso di violazioni,
spesso suggerite dal semplice buon senso.
Sulla quattordicesima
sarebbe il caso di aprire un’indagine
parlamentare, per
verificare se ne persistano le condizioni, che
oggi appaiono come una ingiustificata
discriminazione nei confronti del settore
industria e concorrono a rendere le assunzioni
“in regola” nel commercio al dettaglio un
anacronismo, dopo l’avvento massiccio della
grande distribuzione. Tanto più che le grandi
imprese, too big
to fail, godono di
salvataggi governativi, fatti naturalmente coi
soldi e il sudore dei soliti autonomi, peraltro
costantemente additati come evasori, per
aggiungere al danno la beffa.
Con queste premesse, mentre
le grandi aziende assumono pletore di precari a
prezzi di saldo e in piena legalità,
distruggendo sia l’oggi che il domani di almeno
una generazione di giovani, i “piccoli”,
oppressi da tasse e contributi sproporzionati al
volume d’affari, per sopravvivere e insieme
riuscire a pagare i propri addetti, sono
costretti ad operare almeno in parte nel
“sommerso”, che è tale solo per le autorità,
mentre è una realtà di dominio pubblico. Devono
cioè sconfinare nell’illegalità, assumendo il
personale almeno in parte “in nero”. Incorrendo
così in due rischi: incappare negli implacabili
controlli (cui sfuggono i “grossi”, che trattano
ben peggio, ma in piena regola, i loro precari);
e subire i ricatti dei dipendenti, che li
tengono in pugno con la minaccia di denunce. Per
evitare queste ultime, converrebbe
paradossalmente assumere immigrati clandestini,
in quanto a loro volta ricattabili con lo
spettro del rimpatrio forzato. E infatti è
quello che fa la criminalità organizzata, come i
fatti di Rosarno di questi giorni non fanno che
confermare. Per inciso: ma ai solerti
controllori, troppo intenti a verificare
l’emissione degli scontrini, erano del tutto
sfuggiti gli eserciti di africani sparsi nelle
campagne a raccogliere agrumi? |
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È dunque questo il modo di
lavorare in un paese civile? Essere costretti a
lavorare come fuorilegge, anche con la miglior
volontà di rispettarla? E quindi assistere ad
un’Italia sotto doppio ricatto: quello dei
grandi imprenditori verso i propri dipendenti,
sempre più precari, con la minaccia del non
rinnovo del contratto; e quello dei dipendenti
verso i propri piccoli datori di lavoro,
costretti a dichiarare solo una parte di ore in
regola per non dover chiudere e vivere col
patema di assillanti controlli? Circa le
associazioni di categoria dei commercianti, non
mi risulta abbiano mai fatto pressioni sulle
istituzioni per modificare le storture qui
denunciate, assimilando così il loro ruolo a
quello, ormai in forte regresso, dei sindacati. |
In fondo, bene fa
Berlusconi a sottolineare l’anima
vetero-comunista che tuttora alberga in
Napolitano, che lo porta a vedere, tra i
problemi dell’imprenditore e quelli del
dipendente, soltanto questi ultimi, anche
perché, coalizzandosi, possono dare maggior
visibilità alle loro proteste; mentre nessuno
parla dei milioni di piccoli autonomi, ciascuno
col suo problema, enorme a livello personale, ma
polverizzato su scala nazionale. È questo
esercito di minuscoli e oscuri lavoratori che ha
dato il proprio voto ad una coalizione di
destra, nella ragionevole aspettativa di un
benevolo atteggiamento del governo verso le loro
tribolazioni. Stupisce che: il governo non abbia
mosso un dito per sostenerli nella loro lotta
per la sopravvivenza, il che significa
sopravvivenza dell’Italia, visto che ne sono la
grande maggioranza; e che, a dispetto della
solenne ingratitudine di un governo perennemente
distratto dai problemi personali del suo leader,
il consenso si ostini a rimanere così alto
(sempre che i sondaggi riportino il vero). Mi chiedo chi, e in così
gran numero, ancora mantenga fiducia
nell’operato del governo: i precari, i
disoccupati, i pensionati (che quest’anno,
nonché vedere adeguati i loro magri introiti al
costo della vita, se li sono visti limare, causa
l’allungamento della vita media!), i lavoratori
dipendenti, gli autonomi? Nessuna di queste
categorie mi pare ne abbia motivo. E allora chi?
I privilegiati della politica, i grandi
imprenditori, i banchieri? Certo; ma quanti
sono, alla fine? Un manipolo di beneficiati. Il
mistero permane; come all’epoca della DC, che
nessuno diceva di votare, ma usciva vincente
dalle urne. Ma là almeno si intuiva chi fosse a
sostenerla: chi godeva di trattamenti di favore,
dal pubblico impiego ai piccoli proprietari, dai
contadini ai falsi invalidi, dai baby-pensionati
al clero. Di più, la disoccupazione era a
livelli accettabili, c’era ancora speranza nel
futuro da parte dei giovani, chi aveva un
impiego non doveva subire verifiche ogni due o
tre mesi per averne conferma. Ma oggi? Credo che
chi appoggia ancora il governo sia, in gran
parte, chi non vede una credibile alternativa
nell’attuale opposizione, che di opposizione
vera non ne ha mai fatta, preferendo rincorrere
la destra sui suoi stessi temi, dalle
privatizzazioni alle liberalizzazioni alla
globalizzazione. Perché, dunque, abbandonare un
governo dichiaratamente di destra per uno che di
sinistra ha soltanto il vessillo? Forse lì sta la chiave del
problema. E l’IdV sta a dimostrarlo: solo
un’opposizione dura può sperare di crescere,
certo non quella beneducata di un Bersani e del
PD che l’ha eletto a suo segretario, secondo
criteri di un tempo che fu. Marco Giacinto
Pellifroni
10 gennaio 2010
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