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DOVE STA LA CRITICA AL PD

(Sinistra autonoma, dopo la crisi del bipolarismo, o “suggeritore del principe”?)

 di Franco Astengo

Sfidando la modestia dei mezzi intellettuali a disposizione da parte di chi redige queste note, appare il caso, proprio nella settimana in cui il PD gioca la grande carta delle “primarie” aperte urbi et orbi, di far pervenire ai suoi esponenti un cenno di dissenso circa la pretesa di far valere questa consultazione quasi fosse una prova di compattezza e solidità dell'opposizione, invitando quindi il maggior numero di cittadini, indipendentemente dalla loro collocazione politica e/o di voto a partecipare.

Deve essere chiaro, invece, che questa storia delle primarie è una questione strettamente “di partito” e come tale, correttamente, andrebbe trattata.

Così non è purtroppo, ma sul piano politico si tratta di un atteggiamento sbagliato ed ingiusto, perché i dirigenti del PD pensano, a questo modo, di esercitare una pretesa egemonica, senza averne al proposito, alcun titolo.

Il nocciolo di questa vicenda risiede nella forma – partito e nella collocazione che il PD ha voluto darsi all'interno del sistema politico italiano: elementi che vanno sottoposti, appunto, ad una particolare attenzione critica, almeno su 3 punti:

1)    In primo luogo non si è fatto un “nuovo partito”, perché si è realizzata semplicemente la consueta sovrapposizione degli apparati di weberiana memoria sui militanti e sugli elettori. Non aver affidato ai singoli la “scelta pubblica” di far nascere  un partito  attraverso l'intervento dal basso, senza riserve per alcuno, al di fuori dalle istituzioni, è risultato, in questo senso, esiziale (lo stesso problema, guardando a sinistra si pone per Sinistra e Libertà). Andava realizzata una proposta di partito da parte dei soggetti fondatori che, a quel punto, avrebbero dovuto immediatamente sciogliersi e restituire – appunto – a quanti nella società avrebbero raccolto il messaggio, il potere di scelta per quel che riguardava contenuti, forma organizzativa, gruppi dirigenti. Invece si è proceduto per “primarie” (sul cui significato ritorneremo) per incoronare un leader durato più o meno 100 giorni e, adesso, si ritorna alle “primarie” in un clima di scontro riservato, appunto, agli apparati (in Campania, in realtà, a quanto pare anche ai PM) che chiedono, di nuovo, un suffragio “a perdere”.

2)    Il secondo tema riguarda l'abusata “vocazione maggioritaria”, davvero un punto dolente. Una presunta “vocazione maggioritaria” che si è tentato di esercitare proprio nel momento in cui, riunificati i due apparati (che poi hanno preso a dividersi trasversalmente per altre ragioni, non certo per un processo di contaminazione con la base militante e l'elettorato) appariva sempre più incerta la posizione di questo partito nello scacchiere politico italiano con un tentativo di ancor più presunta copertura al “centro” che ha creato un vero e proprio “vuoto”a sinistra, riempito non da nuovi soggetti, ma dalla sfiducia e dalla rassegnazione di tanti militanti provenienti dalla tradizione socialista e comunista che hanno infoltito la già larga schiera degli astenuti.

3)    Il terzo punto è relativo proprio all'adozione delle “primarie”: non ci riferiamo semplicemente a questa bizzarria dell'andata – ritorno -eventuale andata cui stiamo assistendo in questi giorni. In realtà, questione del partito “sovrapposizione di apparati” e “vocazione maggioritaria” si intrecciano in una forma assolutamente impropria che è quella della confusione tra ruoli istituzionali e ruoli di partito. Sorprendente sotto questo aspetto il fatto che, dismessa la struttura ad “integrazione di massa”, si scelga questa strada che esalta il massimo del distacco dalla realtà della “vera” partecipazione politica, per esaltare un “potere di nomina” diventato quasi assoluto.

Il tema centrale però, nella complessiva prospettiva del sistema politico italiano, rimane quello della “vocazione maggioritaria”: il numero dei partecipanti alle primarie sarà, sotto questo aspetto, importante, ricordando però come per ben due volte le aspettative del “popolo” recatosi alle urne siano state frustrate e deluse in un brevissimo lasso di tempo.

In realtà il quadro politico italiano non corrisponde, da tempo, alle sensibilità sociali, culturali, politiche presenti nel paese: il tentativo di forzatura bipartitica è fallito, ed in crisi anche il bipolarismo, sia sul versante del centrosinistra ( la sinistra non è presente in Parlamento e non riesce ad organizzarsi in una adeguata forma autonoma: oscillando tra l'arroccamento e la subalternità), sia sul versante del centrodestra, mentre l'emergere di una evidente “trasversalità” nei contenuti pare proprio reclamare, nel tempo medio, un riallineamento dell'intero sistema.

E' prevedibile, per la fine della legislatura, l'apertura di una inedita fase di transizione? Questo è l'elemento di dibattito più interessante, all'interno del quale, a sinistra si dovrebbe intervenire con una proposta “forte” di adeguamento di soggettività: l'autonomia della sinistra appare fattore fondamentale per l'apertura di una nuova stagione.

Con le caratteristiche che questo PD presenta non è possibile pensare, a sinistra, ad una ricostituzione del centrosinistra (che presenterebbe gli stessi problemi di una “grossekoalition”) e neppure ad un rifiuto del “ruolo di governo”: a sinistra serve un progetto di costruzione di una alternativa, fondata sul ritorno di una centralità di contenuti tradizionalmente appartenenti a questa parte politica.

Ripetiamo: occorre una sinistra autonoma, che non ricopra il ruolo di “suggeritore del principe” (perché il PD non può essere , per le ragioni fin qui esposte di sua evidente “parzialità”,il “principe” del sistema italiano) e neppure quello del “cespuglio” in un Ulivo rivisitato.

Una proposta di adeguamento della legge elettorale rappresenterà un passaggio importante, sotto questo aspetto: il modello tedesco potrebbe essere il preferito, a condizione che si ritorni alle coalizioni costruite “dopo” il voto e non sottoposte “ante” a defatiganti trattative spartitorie e al presunto vincolo di una “unità contro”.

Una volta tanto serve essere “per”: per stare con i ceti sociali che si intende rappresentare; per costituire il punto di riferimento della trasformazione della società.

Savona, 20 Ottobre 2009                                                                    Franco Astengo