TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
DOVE
STA LA CRITICA AL PD
(Sinistra autonoma, dopo la crisi del bipolarismo, o “suggeritore del
principe”?)
Sfidando la modestia dei mezzi intellettuali a disposizione da parte di
chi redige queste note, appare il caso, proprio nella settimana in cui
il PD gioca la grande carta delle “primarie” aperte
urbi et orbi, di far pervenire ai suoi esponenti un cenno di dissenso
circa la pretesa di far valere questa consultazione quasi fosse una
prova di compattezza e solidità dell'opposizione, invitando quindi il
maggior numero di cittadini, indipendentemente dalla loro collocazione
politica e/o di voto a partecipare. Deve
essere chiaro, invece, che questa storia delle primarie è una questione
strettamente “di partito” e come tale, correttamente,
andrebbe trattata. Così
non è purtroppo, ma sul piano politico si tratta di un atteggiamento
sbagliato ed ingiusto, perché i dirigenti del PD pensano, a
questo modo, di esercitare una pretesa egemonica, senza averne al
proposito, alcun titolo. Il
nocciolo di questa vicenda risiede nella forma – partito e nella
collocazione che il PD ha voluto darsi all'interno del sistema
politico italiano: elementi che vanno sottoposti, appunto, ad una
particolare attenzione critica, almeno su 3 punti:
1)
In primo luogo non
si è fatto un “nuovo partito”, perché si è realizzata
semplicemente la consueta sovrapposizione degli apparati di weberiana
memoria sui militanti e sugli elettori. Non aver affidato ai singoli la
“scelta pubblica” di far nascere un partito attraverso
l'intervento dal basso, senza riserve per alcuno, al di fuori dalle
istituzioni, è risultato, in questo senso, esiziale (lo stesso problema,
guardando a sinistra si pone per Sinistra e Libertà). Andava
realizzata una proposta di partito da parte dei soggetti fondatori che,
a quel punto, avrebbero dovuto immediatamente sciogliersi e restituire –
appunto – a quanti nella società avrebbero raccolto il messaggio, il
potere di scelta per quel che riguardava contenuti, forma organizzativa,
gruppi dirigenti. Invece si è proceduto per “primarie”
(sul cui significato ritorneremo) per incoronare un leader durato più o
meno 100 giorni e, adesso, si ritorna alle “primarie” in un clima di
scontro riservato, appunto, agli apparati (in Campania, in
realtà, a quanto pare anche ai PM) che chiedono, di nuovo, un
suffragio “a perdere”.
2)
Il secondo tema
riguarda l'abusata “vocazione maggioritaria”, davvero un
punto dolente. Una presunta “vocazione maggioritaria” che si è tentato
di esercitare proprio nel momento in cui, riunificati i due apparati
(che poi hanno preso a dividersi trasversalmente per altre ragioni, non
certo per un processo di contaminazione con la base militante e
l'elettorato) appariva sempre più incerta la posizione di questo partito
nello scacchiere politico italiano con un tentativo di ancor più
presunta copertura al “centro” che ha creato un vero e proprio “vuoto”a
sinistra, riempito non da nuovi soggetti, ma dalla sfiducia e
dalla rassegnazione di tanti militanti provenienti dalla tradizione
socialista e comunista che hanno infoltito la già larga schiera degli
astenuti.
3)
Il terzo punto è
relativo proprio all'adozione delle “primarie”: non ci riferiamo
semplicemente a questa bizzarria dell'andata – ritorno -eventuale andata
cui stiamo assistendo in questi giorni. In realtà, questione del partito
“sovrapposizione di apparati” e “vocazione maggioritaria”
si intrecciano in una forma assolutamente impropria che è quella della
confusione tra ruoli istituzionali e ruoli di partito. Sorprendente
sotto questo aspetto il fatto che, dismessa la struttura ad “integrazione
di massa”, si scelga questa strada che esalta il massimo del
distacco dalla realtà della “vera” partecipazione politica, per esaltare
un “potere di nomina” diventato quasi assoluto. Il tema
centrale però, nella complessiva prospettiva del sistema politico
italiano, rimane quello della “vocazione maggioritaria”:
il numero dei partecipanti alle primarie sarà, sotto questo aspetto,
importante, ricordando però come per ben due volte le aspettative del
“popolo” recatosi alle urne siano state frustrate e deluse in un
brevissimo lasso di tempo. In
realtà il quadro politico italiano non corrisponde, da tempo, alle
sensibilità sociali, culturali, politiche presenti nel paese: il
tentativo di forzatura bipartitica è fallito, ed in crisi anche il
bipolarismo, sia sul versante del centrosinistra ( la sinistra non è
presente in Parlamento e non riesce ad organizzarsi in una adeguata
forma autonoma: oscillando tra l'arroccamento e la subalternità), sia
sul versante del centrodestra, mentre l'emergere di una evidente
“trasversalità” nei contenuti pare proprio reclamare, nel tempo medio,
un riallineamento dell'intero sistema. E'
prevedibile, per la fine della legislatura, l'apertura di una inedita
fase di transizione? Questo è l'elemento di dibattito più interessante,
all'interno del quale, a sinistra si dovrebbe intervenire con una
proposta “forte” di adeguamento di soggettività: l'autonomia della
sinistra appare fattore fondamentale per l'apertura di una nuova
stagione. Con le
caratteristiche che questo PD presenta non è possibile pensare, a
sinistra, ad una ricostituzione del centrosinistra (che presenterebbe
gli stessi problemi di una “grossekoalition”) e neppure ad
un rifiuto del “ruolo di governo”: a sinistra serve un progetto di
costruzione di una alternativa, fondata sul ritorno di una centralità di
contenuti tradizionalmente appartenenti a questa parte politica.
Ripetiamo: occorre una sinistra autonoma, che non ricopra il ruolo di
“suggeritore del principe” (perché il PD non può
essere , per le ragioni fin qui esposte di sua evidente “parzialità”,il
“principe” del sistema italiano) e neppure quello del “cespuglio”
in un Ulivo rivisitato. Una
proposta di adeguamento della legge elettorale rappresenterà un
passaggio importante, sotto questo aspetto: il modello tedesco potrebbe
essere il preferito, a condizione che si ritorni alle coalizioni
costruite “dopo” il voto e non sottoposte “ante” a defatiganti
trattative spartitorie e al presunto vincolo di una “unità contro”. Una
volta tanto serve essere “per”: per stare con i ceti sociali che si
intende rappresentare; per costituire il punto di riferimento della
trasformazione della società. Savona,
20 Ottobre 2009
Franco Astengo
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