Cosa si
scopre leggendo il ritorno in libreria di Lucio Magri radiato nel ‘69 Confronto e
analisi politica sulla morte
prematura del Pci
Molto banalmente si può indicare nel "Sarto
di Ulm: una possibile storia del PCI"
(edizione "Il Saggiatore), il testo
attraverso il quale Lucio Magri torna
dopo qualche tempo a far sentire la sua voce
rivolgendosi ai militanti della sinistra
italiana, un lavoro di ricostruzione storica
condotto sul piano dell'analisi politica: si può
facilmente intuire, affermando ciò, come si
tratti di una operazione del tutto
controcorrente, rispetto ai canoni ormai
imperanti oggi.
Non parliamo, poi, della memorialistica,
usata quasi sempre ai fini del filtrare "l'io"
dei protagonisti in confronto ai fatti accaduti
e quasi mai interpretata come strumento per
verificare, attraverso la memoria, i momenti di
intervento collettivo, di soggettività
condivisa, di costruzione dei grandi dibattiti e
di assunzione di responsabilità rispetto alle
scelte.
L'eretico Lucio Magri (radiato con
il "Manifesto" nel 1969, poi
segretario del PdUP fino alla metà degli
anni'80, alla fine organizzatore, tra gli altri,
del fronte del "no" che si oppose, all'inizio
dell'ultimo decennio del XX secolo, alla
liquidazione del partito) si misura, quindi,
ancora una volta controcorrente proprio sul
piano più delicato, quello del metodo analitico,
ed affronta tutti i passaggi di questa lunga e
complessa storia seguendo l'antico schema che
partiva, ogni volta, dall'esame del quadro
internazionale, dai suoi risvolti sulla
situazione interna, fino al ruolo del partito,
alla sue proposte da declinare, attraverso
l'intervento attivo dei militanti, giù, giù,
fino alla politica locale, se non addirittura di
quartiere; uno schema che era usato a tutti i
livelli, dal Comitato Centrale alla
sezione e che costituiva, nel suo procedere,
l'essenza stessa della vita di un grande partito
ad integrazione di massa, ne formava il
riscontro concreto del suo essere "comunità
militante".
Naturalmente il testo di Magri è
ricco di una articolata "pars destruens",
laddove (con "il senno di poi" come ammette
l'autore, con largo spazio ad accenni
autocritici sollevati anche, a propositi, di
alcuni passaggi che furono dirimenti nello
svilupparsi delle diverse fasi della prospettiva
politica) non mancano gli accenti fortemente
critici sulle scelte compiute (fin dal ruolo
assunto dal PCI nei governi di
solidarietà nazionale dell'immediato dopoguerra,
fino al giudizio e all'atteggiamento tenuto
verso il primo centrosinistra, e alla
valutazione del compromesso storico) ed una
analisi molto raffinata sulle origini del PCI
negli anni'20, dal rapporto con l'Ottobre
sovietico, alla particolarità del lascito
gramsciano.
L'economia del discorso di oggi non mi
permette di entrare al meglio nel merito di
questa parte, preferendo invece soffermarsi su
quella che può essere definita come "pars
costruens": prima di tutto, davvero sotto
l'aspetto della realtà del partito così come
questa si è modificata con il passaggio da "partito
di massa" a partito, prima "professionale
elettorale" e poi a "partito
leggero" (pensiamo all'adozione delle
primarie nel PD e alla formula specifica,
adottata in questa direzione, dell'intreccio tra
voto degli iscritti e voto dei potenziali
elettorali per determinare gli equilibri interni
al partito).
Una trasformazione tanto più negativa
perché avvenuta sull'onda di un mutamento
profondo nello stato delle relazioni complessive
tra società civile e sistema politico, comune in
tutto l'Occidente, ma particolarmente acuto nel
"caso italiano", che ha aperto - sostanzialmente
- la strada al populismo imperante.
Nel testo elaborato da Magri
l'esposizione dell'itinerario attraverso il
quale si è realizzata, in breve tempo, questa
trasformazione e la dispersione di forze,
intelligenze, capacità di militanza che ne è
derivata sono sottolineate con grande forza (si
parla, al momento dello scioglimento del PCI,
di tre scissioni: quella relativa al PDS,
quella relativa a Rifondazione Comunista
e quella, la più importante, relativa
all'abbandono della vita di politica di
centinaia di migliaia di militanti: una
defezione che riguardò, principalmente, la gran
parte della realtà di quei quadri intermedi che
rappresentavano l'asse portante dello sviluppo
del dibattito e dell'azione del partito).
Ebbene: scrivere di questo fenomeno (del
tutto decisivo, nei futuri sviluppi della
vicenda politica della sinistra italiana)
significa già avanzare una richiesta ed una
proposta di nuova riflessione su questo terreno,
ponendosi - appunto - come interlocutore diretto
sul piano della stretta attualità politica,
verso chi davvero sta ripensando alla necessità
di una nuova presenza nella soggettività della
sinistra italiana.
In eguale modo, forse anche in una
dimensione maggiormente pregnante, vanno lette
le pagine che Magri dedica alla "svolta"
di Berlinguer, all'inizio degli anni'80,
quelli della proposta di "alternativa
democratica".
Forse, in questo caso, non è superato del
tutto il rischio di una certa enfatizzazione: ma
vale la pena di ricordare come i tre pilastri
sui quali, sul piano teorico, quella svolta si
realizzò sono individuati come il recupero del
conflitto di classe (dalla vicenda Fiat
dell'80, alla emblematica battaglia sulla scala
mobile); la questione morale, l'autonomia dallo
schema dominante di relazioni internazionali
sulla linea della pace e di una originalità
nella costruzione europea (pensiamo alla
battaglia contro i missili a Comiso).
Ebbene, senza dilungarci ulteriormente,
una domanda conclusiva: soltanto rievocazioni
finalizzate a sostenere la tesi di un PCI
fatto morire prematuramente e al di fuori da un
contesto di possibile modificazione e
innovazione positiva del suo portato politico,
oppure indicazioni, sommarie ma preziose, per
una prospettiva futura?
Il dibattito, se qualcuno ha interesse, è
aperto.
Savona, 1 Ottobre 2009
Franco Astengo |