TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
Cosa
si scopre leggendo il ritorno in libreria di Lucio Magri radiato nel ‘69
Confronto e analisi politica
sulla morte prematura del Pci
di Franco Astengo Molto
banalmente si può indicare nel "Sarto di Ulm: una possibile storia
del PCI" (edizione "Il Saggiatore), il testo attraverso
il quale Lucio Magri torna dopo qualche tempo a far sentire la
sua voce rivolgendosi ai militanti della sinistra italiana, un lavoro di
ricostruzione storica condotto sul piano dell'analisi politica: si può
facilmente intuire, affermando ciò, come si tratti di una operazione del
tutto controcorrente, rispetto ai canoni ormai imperanti oggi. La
"politica" (questa "brutta bestia") è tratta infatti, ormai, soltanto in
funzione strumentale cercando di semplificare al massimo i ragionamenti
al puro e semplice scopo di avvalorare una tesi piuttosto che un'altra,
usando il linguaggio massimamente semplificatorio dei mezzi di
comunicazione di massa ed adeguandosi, quindi, ad un livellamento
analitico che, molte volte, fa pensare alla semplice propaganda, quando
non all'improvvisazione pura e semplice. Non
parliamo, poi, della memorialistica, usata quasi sempre ai fini del
filtrare "l'io" dei protagonisti in confronto ai fatti accaduti e quasi
mai interpretata come strumento per verificare, attraverso la memoria, i
momenti di intervento collettivo, di soggettività condivisa, di
costruzione dei grandi dibattiti e di assunzione di responsabilità
rispetto alle scelte. L'eretico
Lucio Magri (radiato con il "Manifesto" nel 1969,
poi segretario del PdUP fino alla metà degli anni'80, alla fine
organizzatore, tra gli altri, del fronte del "no" che si oppose,
all'inizio dell'ultimo decennio del XX secolo, alla liquidazione del
partito) si misura, quindi, ancora una volta controcorrente proprio sul
piano più delicato, quello del metodo analitico, ed affronta tutti i
passaggi di questa lunga e complessa storia seguendo l'antico schema che
partiva, ogni volta, dall'esame del quadro internazionale, dai suoi
risvolti sulla situazione interna, fino al ruolo del partito, alla sue
proposte da declinare, attraverso l'intervento attivo dei militanti,
giù, giù, fino alla politica locale, se non addirittura di quartiere;
uno schema che era usato a tutti i livelli, dal Comitato Centrale
alla sezione e che costituiva, nel suo procedere, l'essenza stessa della
vita di un grande partito ad integrazione di massa, ne formava il
riscontro concreto del suo essere "comunità militante".
Naturalmente il testo di Magri è ricco di una articolata "pars
destruens", laddove (con "il senno di poi" come ammette l'autore, con
largo spazio ad accenni autocritici sollevati anche, a propositi, di
alcuni passaggi che furono dirimenti nello svilupparsi delle diverse
fasi della prospettiva politica) non mancano gli accenti fortemente
critici sulle scelte compiute (fin dal ruolo assunto dal PCI nei
governi di solidarietà nazionale dell'immediato dopoguerra, fino al
giudizio e all'atteggiamento tenuto verso il primo centrosinistra, e
alla valutazione del compromesso storico) ed una analisi molto raffinata
sulle origini del PCI negli anni'20, dal rapporto con
l'Ottobre sovietico, alla particolarità del lascito gramsciano.
L'economia del discorso di oggi non mi permette di entrare al meglio nel
merito di questa parte, preferendo invece soffermarsi su quella che può
essere definita come "pars costruens": prima di tutto, davvero sotto
l'aspetto della realtà del partito così come questa si è modificata con
il passaggio da "partito di massa" a partito, prima "professionale
elettorale" e poi a "partito leggero" (pensiamo
all'adozione delle primarie nel PD e alla formula specifica,
adottata in questa direzione, dell'intreccio tra voto degli iscritti e
voto dei potenziali elettorali per determinare gli equilibri interni al
partito). Una
trasformazione tanto più negativa perché avvenuta sull'onda di un
mutamento profondo nello stato delle relazioni complessive tra società
civile e sistema politico, comune in tutto l'Occidente, ma
particolarmente acuto nel "caso italiano", che ha aperto -
sostanzialmente - la strada al populismo imperante. Nel testo
elaborato da Magri l'esposizione dell'itinerario attraverso il
quale si è realizzata, in breve tempo, questa trasformazione e la
dispersione di forze, intelligenze, capacità di militanza che ne è
derivata sono sottolineate con grande forza (si parla, al momento dello
scioglimento del PCI, di tre scissioni: quella relativa al PDS,
quella relativa a Rifondazione Comunista e quella, la più
importante, relativa all'abbandono della vita di politica di centinaia
di migliaia di militanti: una defezione che riguardò, principalmente, la
gran parte della realtà di quei quadri intermedi che rappresentavano
l'asse portante dello sviluppo del dibattito e dell'azione del partito). Ebbene:
scrivere di questo fenomeno (del tutto decisivo, nei futuri sviluppi
della vicenda politica della sinistra italiana) significa già avanzare
una richiesta ed una proposta di nuova riflessione su questo terreno,
ponendosi - appunto - come interlocutore diretto sul piano della stretta
attualità politica, verso chi davvero sta ripensando alla necessità di
una nuova presenza nella soggettività della sinistra italiana. In eguale
modo, forse anche in una dimensione maggiormente pregnante, vanno lette
le pagine che Magri dedica alla "svolta" di Berlinguer,
all'inizio degli anni'80, quelli della proposta di "alternativa
democratica". Forse, in
questo caso, non è superato del tutto il rischio di una certa
enfatizzazione: ma vale la pena di ricordare come i tre pilastri sui
quali, sul piano teorico, quella svolta si realizzò sono individuati
come il recupero del conflitto di classe (dalla vicenda Fiat
dell'80, alla emblematica battaglia sulla scala mobile); la questione
morale, l'autonomia dallo schema dominante di relazioni internazionali
sulla linea della pace e di una originalità nella costruzione europea
(pensiamo alla battaglia contro i missili a Comiso). Ebbene,
senza dilungarci ulteriormente, una domanda conclusiva: soltanto
rievocazioni finalizzate a sostenere la tesi di un PCI fatto
morire prematuramente e al di fuori da un contesto di possibile
modificazione e innovazione positiva del suo portato politico, oppure
indicazioni, sommarie ma preziose, per una prospettiva futura? Il
dibattito, se qualcuno ha interesse, è aperto. Savona, 1
Ottobre 2009
Franco Astengo
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