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IL BELLO DELLA DEMOCRAZIA

  Marco Giacinto Pellifroni

 

Marco Giacinto Pellifroni

Su Trucioli di due domeniche fa indicavo pubblicamente a Confesercenti e Confcommercio la causa prima dei guai nei quali si dibattono i loro iscritti, esortandole ad organizzare un pubblico dibattito per approfondire il tema, chiamando in causa, se mai ne avessero la tempra, anche dirigenti bancari della nostra provincia.

Ho peccato di ingenuità, lo confesso. Non avevo messo in conto che siamo in democrazia; e che quindi l’importanza che il potere o i gruppi ad esso ancillari danno alle istanze provenienti dai piani bassi è proporzionale al numero di chi le propugna, non già alla loro qualità. Per ottenere ascolto bisogna avere la forza del numero, dei voti.

Gli organi di stampa, e così tutte le associazioni di categoria, siano esse di commercianti, artigiani, industriali etc., danno immediato riscontro a qualsiasi idea, magari strampalata, che improvvisi un parlamentare mentre sta per salire in auto davanti a torme di cronisti; registrano qualsiasi minchiata, purché provenga dai vertici, disdegnando critiche e/o proposte provenienti da piccoli gruppi, a prescindere dalla loro sensatezza. Non si abbassano a tanto. La qualità di un’idea è apprezzata quante più bocche la espongono.

Peccato che decisioni fondamentali per la vita dell’intera nazione siano state prese senza nessuna consultazione quando i numeri facevano paura. Meglio scansarli. Dove la Costituzione europea è stata soggetta a plebiscito (Francia, Olanda) ne è seguita la bocciatura. La consegna anti-costituzionale della sovranità monetaria (di cui oggi fa timidi accenni il nostro miglior governante: Tremonti) ad un potere soprannazionale e schermato da ogni ingerenza statale, è stata sancita a Maastricht da governanti provenienti dal circuito bancario, evitando di tastare il polso dei numeri. La democrazia si eclissa, quando incute timore, inchinandosi al genio di pochi, perché assisi in trono.

Ha detto bene Bossi che la gente di economia capisce poco o nulla. Anche perché così si preferisce che sia, onde evitare che scopra a quale truffa siamo soggetti da secoli. Dunque, se la massa è “allergica” ad un’economia resa astratta per evitarne la comprensione, perché dovrebbe richiedersene il consenso? Ci si sforza già dalla scuola, dall’Università, di proiettare dell’economia una visione che non arrechi disturbo al manovratore, ossia al sistema bancario. E a complicarla affinché rimanga una dotta materia, come il latino di don Abbondio, riservata a pochi chierici; quando invece i suoi fondamenti sarebbero accessibili ai più, come constato quando ne parlo in pubblici incontri, l’ultimo (“Come creare denaro dal nulla”) tenuto nel Comune di Loano giovedì 12 u. s. davanti ad un attento uditorio.

Del resto, avevo già avuto modo di vedere come l’argomento banche terrorizzi chiunque sia di contorno al Palazzo, con ciò dimostrando una piaggeria senza limiti. Vista l’estrema gravità dell’attuale crisi, tuttavia, pensavo che, se qualcuno ne avesse additato le principali cause, sarebbe stato degnato di un minimo di attenzione. Mi sbagliavo. Evidentemente, sono tutti legati alla consegna del silenzio, ben aggettivato da Di Pietro in un controverso e recente discorso a difesa delle vittime di mafia.

E allora non posso far altro che ripetere che, se non si arriva alla radice del male, e cioè al meccanismo di generazione di denaro privato a debito e ad interesse, non si uscirà mai dal giogo che i banchieri hanno messo sul collo di tutti, con velocità accelerata dal 1992, anno del summenzionato Trattato di Maastricht.

Certo, questa è una piccola tribuna. Ma il messaggio che da qui si invia alle suddette confederazioni, al CNA, ai vari sindacati, alla Confindustria e a tutti quanti pretendono di difendere i propri paganti associati (incluse le associazioni dei consumatori), è che, se non si metterà mano ad una riforma che strappi di forza la sovranità monetaria alle banche private e la consegni allo Stato, come del resto prevede la Costituzione, il debito nel quale tutti ci dibattiamo non avrà mai fine, anzi continuerà ad accrescersi, gettando chi si approssima al baratro del fallimento tra le braccia degli usurai o al suicidio.

Tremonti Bond.jpg

Il nostro discorso non è così lontano da quello del Ministro dell’Economia.* Perché non lo si vuole affrontare? Perché si è più realisti del re? 

Ritenete che la diagnosi sia errata? Allora perché non accettate un pubblico confronto? Solo perché parte da un piccolo sito Internet e non volete dargli importanza; o perché temete di passare da grazia a disgrazia presso i potenti?

Continuate pure a non rispondere, a tacere, come si fa con chi si commisera. Forse siete in buona fede e ritenete che queste siano le parole di un singolo pervaso da sindrome bancaria.  Ma forse verranno riesumate quando ciò che denunciano si sarà fatta strada, non grazie ai media taciturni, ma a causa dei progressivi dissesti che la creazione fasulla ed esentasse di moneta a interesse composto provocherà nella società, ben più di quanto avvenuto sinora. Se non voi, sarà l’inesorabile forza delle cose a parlare, ma fuori tempo massimo, in vostra vece.  

 Succede sempre così, quando lo stress di un sistema ne determina il repentino passaggio a un regime di caos, secondo leggi vigenti non solo in economia, ma anche in fisica. I crolli economico-finanziari, così come quelli ambientali, si sono succeduti nei secoli, proprio per l’accumulo di stress generato nell’umano inseguimento di quella fata morgana che è la “stabilità”, ossia la lotta per il mantenimento di ciò che si è conseguito: un impero, un trono, una posizione di monopolio. La storia insegna che non c’è espediente cui chi ha raggiunto il potere non ricorra pur di conservarlo, con la connivenza di coloro che ne condividono le briciole.

 

* Apprendo oggi delle invettive del PD, per bocca di Franceschini, contro Tremonti, che, visti i precedenti, non si fida di Draghi e Bankitalia, e vuole affidare ai prefetti il controllo sull’uso dei Tremonti-bonds. Franceschini, spalleggiato da Dalema, invoca addirittura il ripristino delle limitazioni ai pagamenti in contanti; nonché l’intensificazione della lotta all’evasione, dimenticando quanto evadano “legalmente” le banche, apponendo a passivo i mutui erogati, proprio per non pagarci le tasse. Con ciò, il PD conferma di esser rimasto quello che era il governo Prodi: più che un partito, una giunta bancaria. E Franceschini continua sulla stessa linea suicida, intimando di “lasciar stare Bankitalia”! Berlusconi non poteva immaginare alleati migliori per restare al timone altri 10 anni.

 

 

Marco Giacinto Pellifroni                                                                              14 marzo 2009