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(traduzione di Marco G. Pellifroni) A questo scopo, riporto alcuni brani
significativi, colti qua e là in diversi siti web americani. ![]() |
![]() Ellen Brown |
1) Ellen Brown: “Come
gli Stati possono creare il proprio credito”, 8 marzo 2009. Chi scrive, avvocato di Los Angeles e autrice
anche del libro “Web of Debt” [La ragnatela del debito], ha fatto una
scoperta che parla da sé. |
Se il voto non fosse andato a buon fine, lo Stato si
sarebbe ridotto a pagare i propri dipendenti con delle cambiali. Uno dei quattro stati che non sono insolventi è un
improbabile candidato per questo tipo di riconoscimento:
il North Dakota. Il
North Dakota è uno stato scarsamente popolato con meno di 700.000
abitanti, conosciuto per il suo clima freddo, i suoi agricoltori isolati
e un film di successo: Fargo. Eppure, per qualche ragione,
resiste al clichè del mercato finanziario e immobiliare.
Dal 2000, il PIL dello Stato è aumentato del 56%, i redditi personali
sono cresciuti del 43% e i salari del 34%. Quest’anno lo Stato ha un
avanzo di bilancio di 1,2 miliardi di dollari! Per confronto, lo stato del Michigan paga ogni anno
per interessi su prestiti a lungo termine più di 1 miliardo di dollari.
È interessante notare che il disavanzo previsto per il 2009 è anch’esso
di 1 miliardo di dollari. Se il Michigan non dovesse restituire questo
stesso importo a Wall Street, il suo bilancio sarebbe in pareggio. > Su scala ben più grande, ci
sono state due nazioni che negli anni ’30, mentre il mondo languiva
nella morsa della Grande Depressione, hanno goduto di una ritrovata
prosperità: |
![]() David Galland |
2)
David Galland: “Obama has no
clothes”, Articolo particolarmente interessante alla luce di
quanto il nostro governo si accinge a fare con il varo di
maxi-investimenti pubblici, tra cui il ponte sullo Stretto di Messina. < Sia Obama che il Ministro del Tesoro Timothy
Geithner ritengono che l’esperimento giapponese di “quantitative
easing” [profusione di fondi pubblici in grandi opere] non ha
funzionato; così come non funzionò il New Deal di F.D. Roosevelt (FDR)
negli anni ’30. In entrambi i casi essi correttamente dicono che le
massicce dosi di stimoli governativi non produssero effetti duraturi.
[…] Poi però aggiungono che le cause del fallimento sono da imputarsi
alla mancata rapidità d’azione e allo scarso “vigore monetario”. |
“Ma questa volta sarà diverso”, essi garantiscono, in quanto
intendono agire con decisione e rapidità, nonché con una quantità sbalorditiva
di soldi pompati nel sistema, provocandone uno shock tale da riportarlo in vita.
Tuttavia, i precedenti smentiscono che uno shock di questo genere riporti
l’economia a favorevoli livelli di produttività:
-
Quando FDR salì al potere
nel 1933, la disoccupazione negli USA aveva raggiunto il picco del 25%.
Nonostante la triplicazione della spesa pubblica del tanto osannato New Deal, il
miglior livello di disoccupazione raggiunto fu del 14% nel 1937. Nel 1939, però,
tale valore era risalito al 19%. Tra l’altro queste cifre vanno prese con le
molle, in quanto includono posti di lavoro fini a se stessi, creati ad hoc nel
programma del New Deal. Posti che svanirono non appena le spese del New Deal
terminarono.
-
Nel tonfo giapponese il
governo spese centinaia di miliardi per fornire supporto alle banche e
all’industria, si dette ad acquistare Buoni del Tesoro americani nel tentativo
di tenere basso lo yen e far così lavorare il suo settore manifatturiero,
orientato in misura massiccia all’esportazione. Visto il perdurare della palude
recessiva, il governo tagliò i tassi di interesse a zero, infine accelerò la
spesa pubblica con un ambizioso programma quinquennale di “quantitative
easing”, finanziando ogni sorta di progetti di lavori pubblici e riversando
fondi mirati in vari settori dell’economia.
Usando gli indici di Borsa come specchio in senso lato
dell’economia, si rileva che l’indice Nikkei precipitò da ca. 38.000, all’apice
della bolla nei tardi anni ’80, sino a 7.000. Durante il quinquennio di
“quantitative easing”, dal 2001 al 2006, il Nikkei rimbalzò di ca. il 100%,
salendo a 14.000. Tuttavia, non appena la spesa cessò, l’indice riaffondò verso
quota 7.500, dove più o meno si trova tuttora. Da notare che non si riavvicinò
mai più, in questi 20 anni, al valore massimo di 38.000.
Insomma, è evidente che non ci sono benefici permanenti
dall’infusione massiccia di fondi pubblici nell’economia, mentre risulta chiaro
un punto negativo: una decisa ripresa del debito pubblico. E, visto che il
governo ovviamente non produce nulla, questo si traduce in una decisa sterzata
all’insù dei vostri debiti, e di quelli dei vostri figli e nipoti. >
2) Da: “Pole position” * di Bill Bonner, del 9 marzo 2009.
Qui vediamo l’Europa, specie dell’Est, con gli
occhi di un americano. Un punto di vista che ci riguarda, vista la forte
esposizione di nostre banche nei paesi dell’Est europeo, principalmente
attraverso banche austriache.
< Negli ultimi 20 mesi le azioni della Borsa americana sono
scese della metà; ma guardate un po’ cosa è successo lontano da noi: l’Islanda,
una sorta di hedge fund nel
nord-Atlantico, è in bancarotta,
I nudi fatti: l’Europa orientale ha preso in prestito $ 1,7
trilioni, soprattutto da banche dell’Europa occidentale. Soltanto quest’anno
sono in scadenza pagamenti per $ 400 miliardi. Se rinnovare un debito era cosa
facile un paio d’anni fa, oggi è come una scalata dell’Everest. Il 60% dei mutui
polacchi sono in franchi svizzeri. I polacchi contrassero prestiti in franchi
svizzeri ed euro a causa dei tassi accessibili. Ora, dovendo ripagare in franchi
e guadagnando zloty, non resta loro che piangere.
Con l’arrivo della recessione il saldo passivo dei conti
correnti polacchi è circa il triplo di quelli americani, se rapportati ai
rispettivi PIL. Lo zloty s’è circa dimezzato rispetto al franco; il che
equivale, per chi ha contratto un mutuo immobiliare, a dover pagare ratei doppi.
Un’angoscia che si ripropone in tutta la zona baltica e nell’Est europeo.
I banchieri austriaci sono di nuovo sull’orlo di un burrone,
come già accadde col crollo del Credit Anstalt nel maggio 1931, prodromo della
Grande Depressione. Questa volta le banche austriache hanno prestato il 70% del
PIL austriaco all’Europa orientale. Se soltanto il 10% non verrà ripagato,
l’intero sistema finanziario austriaco collasserà, trascinando con sé l’intera
Europa. Nel 1931 le economie di Francia, Gran Bretagna e USA si contrassero al
ritmo del 6% annuo. Nell’ultimo trimestre del 2008, l’economia americana s’è
contratta del 7%, e il corrispettivo del Credit Anstalt ancora non s’è
verificato.
Tuttavia, con un semplice tratto di penna, l’America può
nazionalizzare le proprie banche e salvare l’economia. In Europa, ciò non è
possibile. Grandi banche, piccole nazioni. In proporzione, un simile salvataggio
costerebbe $ 14 trilioni negli Stati Uniti. Perciò, quando nove nazioni dell’Est
europeo si unirono nel chiedere aiuto, Angela Merkel dette loro la stessa
risposta di Gerard Ford a New York City quando gli chiese il salvataggio: crepa
pure!
Che peccato, povero polacco. S’è trascinato dietro le catene
dei bolscevichi per quasi mezzo secolo. Poi, dopo essersene liberato, è stato
abbindolato dai capitalisti. Se lo meritava? No di certo, la sua sfortuna è
stata quella di aver debiti in una valuta che non può contraffare.
“La crisi rafforza la posizione relativa degli USA “ scrive
Spengler su Asia Times”, e porta alla luce le più profonde debolezze di tutti i
loro possibili concorrenti. Così rende il debito del Governo americano come l’asset
più desiderabile del mondo!”
I punk devono sentirsi fortunati. Negli anni della bolla, il resto del
mondo li dileggiava come grassi spendaccioni; eppure offriva loro persino il
dessert, a credito. E più gli Americani spendevano, più i dollari si
accumulavano oltremare; e più gli stranieri ritornavano quei dollari in prestito
agli Stati Uniti, più gli Americani avevano dollari da spendere. Oggi che gli
Americani hanno smesso di spendere, le fabbriche straniere sono diventate
silenziose, le loro banche barcollano e le loro azioni crollano. Ora essi
comprano titoli del Tesoro USA persino a rendimenti infimi! Nella scorsa
quindicina l’indice di riferimento del dollaro è salito ai massimi degli ultimi
3 anni, e i buoni del Tesoro USA a 3 anni sono scesi sotto il 3%, nonostante
Obama abbia annunciato un deficit di $ 1,7 trilioni.
L’opzione più affidabile per tutta la
liquidità mondiale risulta essere quella di prestarla al governo più duraturo e
che dirige la più grande economia del pianeta: gli USA. Spengler ricorda che
negli anni ’80 prestare agli USA era un buon investimento. Allora, il governo
americano tagliò il tetto massimo tassabile dal 70% al 40% e generò crescita
sufficiente a pagare gli interessi e a gonfiare il valore degli
asset.
Ora invece, il valore degli
asset è chiaramente sceso, mentre il
tetto dei tassi fiscali sta risalendo. Prestare negli anni ’80 significava avere
ottimi ritorni prestando all’inizio di una poderosa espansione del Paese con il
più grande bilancio mondiale. Oggi la situazione s’è invertita: chi presta
ottiene gli interessi più bassi della storia dal più grande debitore mondiale,
per giunta all’inizio di una depressione.
La bolla del debito pubblico USA finirà [?] come è finita
quella del debito privato. Ma intanto, peggio vanno le cose per gli altri e
meglio vanno per il popolo che le ha fatte andar male. Non solo gli americani
salvano il proprio sistema bancario, essi riescono persino a salvare i loro
debiti familiari impennati dall’effetto leva e a cancellare anche i loro debiti.
Gli USA hanno finanziato la loro orgia consumistica coi soldi degli altri. Ora
finanziano la propria riabilitazione allo stesso modo: coi soldi degli altri.
Chi ha prestato può star sicuro al 100% che riavrà quanto ha
prestato, con gli interessi, alla scadenza pattuita. Ma quel denaro avrà il
valore che il debitore determinerà a proprio arbitrio.
Magari il povero polacco potesse fare lo stesso… >
Ossia, a pagare non sono mai i colpevoli, sono
sempre i gabbati.
*
Gioco di parole, in
quanto “Pole”, oltre ad avere lo stesso significato di “polo” che ha in italiano
quando è in coppia con “position”, significa anche “polacco”. Qui dunque
l’autore esamina compassionevolmente la posizione del popolo polacco di fronte
alla crisi generata dal sistema bancario americano.
15 marzo 2009