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LA CRISI VISTA DA OLTREATLANTICO

(traduzione di Marco G. Pellifroni)

 Ritengo possa interessare conoscere le opinioni che la tempesta perfetta, attiva su scala mondiale dall’agosto 2007, ingenera nell’Occidente estremo: gli USA.

A questo scopo, riporto alcuni brani significativi, colti qua e là in diversi siti web americani.




Ellen Brown

1) Ellen Brown: “Come gli Stati possono creare il proprio credito”, 8 marzo 2009.

Chi scrive, avvocato di Los Angeles e autrice anche del libro “Web of Debt” [La ragnatela del debito], ha fatto una scoperta che parla da sé.

< Il 19 febbraio 2009 la California si è salvata per un pelo dal fallimento quando il Governatore Arnold Schwarzenegger ha indossato il suo vestito da Terminator e ha messo in isolamento il Senato dello Stato finché non si è arrivati alla firma di un bilancio molto controverso.

Se il voto non fosse andato a buon fine, lo Stato si sarebbe ridotto a pagare i propri dipendenti con delle cambiali. La California, per il momento, ha evitato la bancarotta ma 46 dei 50 Stati americani sono insolventi e nei prossimi due anni potrebbero richiedere l’avvio della procedura fallimentare.

Uno dei quattro stati che non sono insolventi è un improbabile candidato per questo tipo di riconoscimento:  il North Dakota. Il North Dakota è uno stato scarsamente popolato con meno di 700.000 abitanti, conosciuto per il suo clima freddo, i suoi agricoltori isolati e un film di successo: Fargo. Eppure, per qualche ragione, resiste al clichè del mercato finanziario e immobiliare.

Dal 2000, il PIL dello Stato è aumentato del 56%, i redditi personali sono cresciuti del 43% e i salari del 34%. Quest’anno lo Stato ha un avanzo di bilancio di 1,2 miliardi di dollari!
Che cos’ha lo Stato del North Dakota che gli altri Stati non hanno? Lo risposta sembra essere: una banca propria. In effetti, il North Dakota possiede l’unica banca USA di proprietà statale. La legislatura dello Stato ha istituito la Banca del North Dakota nel 1919 per liberare gli agricoltori e i piccoli imprenditori dalle grinfie dei banchieri degli altri stati e dai magnati delle ferrovie. La banca opera come una banca dei banchieri, associandosi alle banche private per prestare denaro agli agricoltori, agli operatori del mercato immobiliare, alle scuole e alle piccole imprese. Eroga prestiti agli studenti (più di 184.000 prestiti in circolazione) ed acquista le obbligazioni degli enti locali dalle istituzioni pubbliche. Nel 2007 la Banca del North Dakota ha avuto un utile netto per 51 milioni di dollari su un volume di prestiti di 2 miliardi di dollari.

Per confronto, lo stato del Michigan paga ogni anno per interessi su prestiti a lungo termine più di 1 miliardo di dollari. È interessante notare che il disavanzo previsto per il 2009 è anch’esso di 1 miliardo di dollari. Se il Michigan non dovesse restituire questo stesso importo a Wall Street, il suo bilancio sarebbe in pareggio. >

Su scala ben più grande, ci sono state due nazioni che negli anni ’30, mentre il mondo languiva nella morsa della Grande Depressione, hanno goduto di una ritrovata prosperità: la Germania e il Giappone. Anche allora, grazie all’avere moneta e banca centrale di Stato: la formula che permette all’economia di una nazione di non dipendere totalmente dalle esportazioni, come imposto invece da FMI e Banca Mondiale ai popoli tradizionali, bollati come Terzo Mondo, per far loro produrre ciò che serve a noi, anziché a loro, e portarli sulla strada della miseria indotta dal debito infinito.


David Galland

2) David Galland: “Obama has no clothes”, del 23 febbraio 2009.

Articolo particolarmente interessante alla luce di quanto il nostro governo si accinge a fare con il varo di maxi-investimenti pubblici, tra cui il ponte sullo Stretto di Messina.

< Sia Obama che il Ministro del Tesoro Timothy Geithner ritengono che l’esperimento giapponese di “quantitative easing” [profusione di fondi pubblici in grandi opere] non ha funzionato; così come non funzionò il New Deal di F.D. Roosevelt (FDR) negli anni ’30. In entrambi i casi essi correttamente dicono che le massicce dosi di stimoli governativi non produssero effetti duraturi. […] Poi però aggiungono che le cause del fallimento sono da imputarsi alla mancata rapidità d’azione e allo scarso “vigore monetario”.

“Ma questa volta sarà diverso”, essi garantiscono, in quanto intendono agire con decisione e rapidità, nonché con una quantità sbalorditiva di soldi pompati nel sistema, provocandone uno shock tale da riportarlo in vita. Tuttavia, i precedenti smentiscono che uno shock di questo genere riporti l’economia a favorevoli livelli di produttività:

-          Quando FDR salì al potere nel 1933, la disoccupazione negli USA aveva raggiunto il picco del 25%. Nonostante la triplicazione della spesa pubblica del tanto osannato New Deal, il miglior livello di disoccupazione raggiunto fu del 14% nel 1937. Nel 1939, però, tale valore era risalito al 19%. Tra l’altro queste cifre vanno prese con le molle, in quanto includono posti di lavoro fini a se stessi, creati ad hoc nel programma del New Deal. Posti che svanirono non appena le spese del New Deal  terminarono.

-          Nel tonfo giapponese il governo spese centinaia di miliardi per fornire supporto alle banche e all’industria, si dette ad acquistare Buoni del Tesoro americani nel tentativo di tenere basso lo yen e far così lavorare il suo settore manifatturiero, orientato in misura massiccia all’esportazione. Visto il perdurare della palude recessiva, il governo tagliò i tassi di interesse a zero, infine accelerò la spesa pubblica con un ambizioso programma quinquennale di “quantitative easing”, finanziando ogni sorta di progetti di lavori pubblici e riversando fondi mirati in vari settori dell’economia.

Usando gli indici di Borsa come specchio in senso lato dell’economia, si rileva che l’indice Nikkei precipitò da ca. 38.000, all’apice della bolla nei tardi anni ’80, sino a 7.000. Durante il quinquennio di “quantitative easing”, dal 2001 al 2006, il Nikkei rimbalzò di ca. il 100%, salendo a 14.000. Tuttavia, non appena la spesa cessò, l’indice riaffondò verso quota 7.500, dove più o meno si trova tuttora. Da notare che non si riavvicinò mai più, in questi 20 anni, al valore massimo di 38.000.

Insomma, è evidente che non ci sono benefici permanenti dall’infusione massiccia di fondi pubblici nell’economia, mentre risulta chiaro un punto negativo: una decisa ripresa del debito pubblico. E, visto che il governo ovviamente non produce nulla, questo si traduce in una decisa sterzata all’insù dei vostri debiti, e di quelli dei vostri figli e nipoti. >

 

2) Da: “Pole position” * di Bill Bonner, del 9 marzo 2009.

Qui vediamo l’Europa, specie dell’Est, con gli occhi di un americano. Un punto di vista che ci riguarda, vista la forte esposizione di nostre banche nei paesi dell’Est europeo, principalmente attraverso banche austriache.

< Negli ultimi 20 mesi le azioni della Borsa americana sono scese della metà; ma guardate un po’ cosa è successo lontano da noi: l’Islanda, una sorta di hedge fund nel nord-Atlantico, è in bancarotta, la Cina deve vedersela con una fila di cento milioni di disoccupati, la Gran Bretagna ha un debito maggiore degli USA e dipende in misura maggiore dall’industria finanziaria. La domanda cruciale allora è: chi tra noi ha gli occhi più pesti in questa rissa globale?

I nudi fatti: l’Europa orientale ha preso in prestito $ 1,7 trilioni, soprattutto da banche dell’Europa occidentale. Soltanto quest’anno sono in scadenza pagamenti per $ 400 miliardi. Se rinnovare un debito era cosa facile un paio d’anni fa, oggi è come una scalata dell’Everest. Il 60% dei mutui polacchi sono in franchi svizzeri. I polacchi contrassero prestiti in franchi svizzeri ed euro a causa dei tassi accessibili. Ora, dovendo ripagare in franchi e guadagnando zloty, non resta loro che piangere.

Con l’arrivo della recessione il saldo passivo dei conti correnti polacchi è circa il triplo di quelli americani, se rapportati ai rispettivi PIL. Lo zloty s’è circa dimezzato rispetto al franco; il che equivale, per chi ha contratto un mutuo immobiliare, a dover pagare ratei doppi. Un’angoscia che si ripropone in tutta la zona baltica e nell’Est europeo.

I banchieri austriaci sono di nuovo sull’orlo di un burrone, come già accadde col crollo del Credit Anstalt nel maggio 1931, prodromo della Grande Depressione. Questa volta le banche austriache hanno prestato il 70% del PIL austriaco all’Europa orientale. Se soltanto il 10% non verrà ripagato, l’intero sistema finanziario austriaco collasserà, trascinando con sé l’intera Europa. Nel 1931 le economie di Francia, Gran Bretagna e USA si contrassero al ritmo del 6% annuo. Nell’ultimo trimestre del 2008, l’economia americana s’è contratta del 7%, e il corrispettivo del Credit Anstalt ancora non s’è verificato.

Tuttavia, con un semplice tratto di penna, l’America può nazionalizzare le proprie banche e salvare l’economia. In Europa, ciò non è possibile. Grandi banche, piccole nazioni. In proporzione, un simile salvataggio costerebbe $ 14 trilioni negli Stati Uniti. Perciò, quando nove nazioni dell’Est europeo si unirono nel chiedere aiuto, Angela Merkel dette loro la stessa risposta di Gerard Ford a New York City quando gli chiese il salvataggio: crepa pure!

Che peccato, povero polacco. S’è trascinato dietro le catene dei bolscevichi per quasi mezzo secolo. Poi, dopo essersene liberato, è stato abbindolato dai capitalisti. Se lo meritava? No di certo, la sua sfortuna è stata quella di aver debiti in una valuta che non può contraffare.

“La crisi rafforza la posizione relativa degli USA “ scrive Spengler su Asia Times”, e porta alla luce le più profonde debolezze di tutti i loro possibili concorrenti. Così rende il debito del Governo americano come l’asset più desiderabile del mondo!”

I punk devono sentirsi fortunati. Negli anni della bolla, il resto del mondo li dileggiava come grassi spendaccioni; eppure offriva loro persino il dessert, a credito. E più gli Americani spendevano, più i dollari si accumulavano oltremare; e più gli stranieri ritornavano quei dollari in prestito agli Stati Uniti, più gli Americani avevano dollari da spendere. Oggi che gli Americani hanno smesso di spendere, le fabbriche straniere sono diventate silenziose, le loro banche barcollano e le loro azioni crollano. Ora essi comprano titoli del Tesoro USA persino a rendimenti infimi! Nella scorsa quindicina l’indice di riferimento del dollaro è salito ai massimi degli ultimi 3 anni, e i buoni del Tesoro USA a 3 anni sono scesi sotto il 3%, nonostante Obama abbia annunciato un deficit di $ 1,7 trilioni.

L’opzione più affidabile per tutta la liquidità mondiale risulta essere quella di prestarla al governo più duraturo e che dirige la più grande economia del pianeta: gli USA. Spengler ricorda che negli anni ’80 prestare agli USA era un buon investimento. Allora, il governo americano tagliò il tetto massimo tassabile dal 70% al 40% e generò crescita sufficiente a pagare gli interessi e a gonfiare il valore degli asset.

Ora invece, il valore degli asset è chiaramente sceso, mentre il tetto dei tassi fiscali sta risalendo. Prestare negli anni ’80 significava avere ottimi ritorni prestando all’inizio di una poderosa espansione del Paese con il più grande bilancio mondiale. Oggi la situazione s’è invertita: chi presta ottiene gli interessi più bassi della storia dal più grande debitore mondiale, per giunta all’inizio di una depressione.

La bolla del debito pubblico USA finirà [?] come è finita quella del debito privato. Ma intanto, peggio vanno le cose per gli altri e meglio vanno per il popolo che le ha fatte andar male. Non solo gli americani salvano il proprio sistema bancario, essi riescono persino a salvare i loro debiti familiari impennati dall’effetto leva e a cancellare anche i loro debiti. Gli USA hanno finanziato la loro orgia consumistica coi soldi degli altri. Ora finanziano la propria riabilitazione allo stesso modo: coi soldi degli altri.

Chi ha prestato può star sicuro al 100% che riavrà quanto ha prestato, con gli interessi, alla scadenza pattuita. Ma quel denaro avrà il valore che il debitore determinerà a proprio arbitrio.

Magari il povero polacco potesse fare lo stesso… >

Ossia, a pagare non sono mai i colpevoli, sono sempre i gabbati.

 

* Gioco di parole, in quanto “Pole”, oltre ad avere lo stesso significato di “polo” che ha in italiano quando è in coppia con “position”, significa anche “polacco”. Qui dunque l’autore esamina compassionevolmente la posizione del popolo polacco di fronte alla crisi generata dal sistema bancario americano.

 

 

                                                                                                                               15 marzo 2009