TRUCIOLI SAVONESI spazio di riflessione per Savona e dintorni
(traduzione di Marco G. Pellifroni)
Ritengo possa interessare conoscere le opinioni che la tempesta perfetta,
attiva su scala mondiale dall’agosto 2007, ingenera nell’Occidente estremo:
gli USA.
A questo scopo, riporto alcuni brani significativi, colti qua e là in
diversi siti web americani.
1) Ellen Brown: “Come gli Stati
possono creare il proprio credito”, 8 marzo 2009.
Chi scrive, avvocato di Los Angeles e autrice anche del libro “Web of Debt”
[La ragnatela del debito], ha fatto una scoperta che parla da sé.
< Il 19 febbraio 2009
Uno dei quattro stati che non sono insolventi è un improbabile candidato per
questo tipo di riconoscimento:
il North Dakota. Il North Dakota è
uno stato scarsamente popolato con meno di 700.000 abitanti, conosciuto per
il suo clima freddo, i suoi agricoltori isolati e un film di successo:
Fargo. Eppure, per qualche ragione, resiste al clichè del mercato
finanziario e immobiliare.
Dal 2000, il PIL dello Stato è aumentato del 56%, i redditi personali sono
cresciuti del 43% e i salari del 34%. Quest’anno lo Stato ha un avanzo di
bilancio di 1,2 miliardi di dollari!
Per confronto, lo stato del Michigan paga ogni anno per interessi su
prestiti a lungo termine più di 1 miliardo di dollari. È interessante notare
che il disavanzo previsto per il 2009 è anch’esso di 1 miliardo di dollari.
Se il Michigan non dovesse restituire questo stesso importo a Wall Street,
il suo bilancio sarebbe in pareggio. >
Su scala ben più grande, ci sono state due nazioni che negli anni ’30,
mentre il mondo languiva nella morsa della Grande Depressione, hanno goduto
di una ritrovata prosperità:
2) David Galland: “Obama has no
clothes”,
Articolo particolarmente interessante alla luce di quanto il nostro governo
si accinge a fare con il varo di maxi-investimenti pubblici, tra cui il
ponte sullo Stretto di Messina.
< Sia Obama che il Ministro del Tesoro Timothy Geithner ritengono che
l’esperimento giapponese di “quantitative
easing” [profusione di fondi pubblici in grandi opere] non ha
funzionato; così come non funzionò il New Deal di F.D. Roosevelt (FDR) negli
anni ’30. In entrambi i casi essi correttamente dicono che le massicce dosi
di stimoli governativi non produssero effetti duraturi. […] Poi però
aggiungono che le cause del fallimento sono da imputarsi alla mancata
rapidità d’azione e allo scarso “vigore monetario”.
“Ma questa volta sarà diverso”, essi garantiscono, in quanto essi intendono
agire con decisione e rapidità, nonché con una quantità sbalorditiva di
soldi pompati nel sistema, provocandone uno shock tale da riportarlo in
vita. Tuttavia, i precedenti smentiscono che uno shock di questo genere
riporti l’economia a favorevoli livelli di produttività:
-
Quando FDR salì al potere nel 1933, la disoccupazione negli USA aveva
raggiunto il picco del 25%. Nonostante la triplicazione della spesa pubblica
del tanto osannato New Deal, il miglior livello di disoccupazione raggiunto
fu del 14% nel 1937. Nel 1939, però, tale valore era risalito al 19%. Tra
l’altro queste cifre vanno prese con le molle, in quanto includono posti di
lavoro fini a se stessi, in quanto creati ad hoc nel programma del New Deal.
Posti che sarebbero svaniti non appena le spese del New Deal fossero
cessate.
-
Nel tonfo giapponese il governo spese centinaia di miliardi per fornire
supporto alle banche e all’industria, si dette ad acquistare Buoni del
Tesoro americani nel tentativo di tenere basso lo yen e far così lavorare il
suo settore manifatturiero, orientato in misura massiccia all’esportazione.
Visto il perdurare della palude recessiva, il governo tagliò i tassi di
interesse a zero, infine accelerò la spesa pubblica con un ambizioso
programma quinquennale di “quantitative
easing”, finanziando ogni sorta di progetti di lavori pubblici e
riversando fondi mirati in vari settori dell’economia.
Usando gli indici di Borsa come specchio in senso lato dell’economia, si
rileva che l’indice Nikkei precipitò da ca. 38.000, all’apice della bolla
nei tardi anni ’80, sino a 7.000. Durante il quinquennio di “quantitative
easing”, dal 2001 al 2006, il Nikkei rimbalzò di ca. il 100%, salendo a
14.000. Tuttavia, non appena la spesa cessò, l’indice riaffondò verso quota
7.500, dove più o meno si trova tuttora. Da notare che non si riavvicinò mai
più, in questi 20 anni, al valore massimo di 38.000.
Insomma, è evidente che non ci sono benefici permanenti dall’infusione
massiccia di fondi pubblici nell’economia, mentre risulta chiaro un punto
negativo: una decisa ripresa del debito pubblico. E, visto che il governo
ovviamente non produce nulla, questo si traduce in una decisa sterzata
all’insù dei vostri debiti, e di quelli dei vostri figli e nipoti. >
2) Da: “Pole position” * di Bill
Bonner, del 9 marzo 2009.
Qui vediamo l’Europa, specie dell’Est, con gli occhi di un americano. Un
punto di vista che ci riguarda, vista la forte esposizione di nostre banche
nei paesi dell’Est europeo, principalmente attraverso banche austriache.
< Negli ultimi 20 mesi le azioni della Borsa americana sono scese della
metà; ma guardate un po’ cosa è successo lontano da noi: l’Islanda, una
sorta di hedge fund nel
nord-Atlantico, è in bancarotta,
I nudi fatti: l’Europa orientale ha preso in prestito $ 1,7 trilioni,
soprattutto da banche dell’Europa occidentale. Soltanto quest’anno sono in
scadenza pagamenti per $ 400 miliardi. Se rinnovare un debito era cosa
facile un paio d’anni fa, oggi è come una scalata dell’Everest. Il 60% dei
mutui polacchi sono in franchi svizzeri. I polacchi contrassero prestiti in
franchi svizzeri ed euro a causa dei tassi accessibili. Ora, dovendo
ripagare in franchi e guadagnando zloty, non resta loro che piangere.
Con l’arrivo della recessione il saldo passivo dei conti correnti polacchi è
circa il triplo di quelli americani, se rapportati ai rispettivi PIL. Lo
zloty s’è circa dimezzato rispetto al franco; il che equivale, per chi ha
contratto un mutuo immobiliare, a dover pagare ratei doppi. Un’angoscia che
si ripropone in tutta la zona baltica e nell’Est europeo.
I banchieri austriaci sono di nuovo sull’orlo di un burrone, come già
accadde col crollo del Credit Anstalt nel maggio 1931, prodromo della Grande
Depressione. Questa volta le banche austriache hanno prestato il 70% del PIL
austriaco all’Europa orientale. Se soltanto il 10% non verrà ripagato,
l’intero sistema finanziario austriaco collasserà, trascinando con sé
l’intera Europa. Nel 1931 le economie di Francia, Gran Bretagna e USA si
contrassero al ritmo del 6% annuo. Nell’ultimo trimestre del 2008,
l’economia americana s’è contratta del 7%, e il corrispettivo del Credit
Anstalt ancora non s’è verificato.
Tuttavia, con un semplice tratto di penna, l’America può nazionalizzare le
proprie banche e salvare l’economia. In Europa, ciò non è possibile. Grandi
banche, piccole nazioni. In proporzione, un simile salvataggio costerebbe $
14 trilioni negli Stati Uniti. Perciò, quando nove nazioni dell’Est europeo
si unirono nel chiedere aiuto, Angela Merkel dette loro la stessa risposta
di Gerard Ford a New York City quando gli chiese il salvataggio: crepa pure!
Che peccato, povero polacco. S’è trascinato dietro le catene dei bolscevichi
per quasi mezzo secolo. Poi, dopo essersene liberato, è stato abbindolato
dai capitalisti. Se lo meritava? No di certo, la sua sfortuna è stata quella
di aver debiti in una valuta che non può contraffare.
“La crisi rafforza la posizione relativa degli USA “ scrive Spengler su Asia
Times”, e porta alla luce le più profonde debolezze di tutti i loro
possibili concorrenti. Così rende il debito del Governo americano come l’asset
più desiderabile del mondo!”
I punk devono sentirsi fortunati.
Negli anni della bolla, il resto del mondo li dileggiava come grassi
spendaccioni; eppure offriva loro persino il dessert, a credito. E più gli
Americani spendevano, più i dollari si accumulavano oltremare; e più gli
stranieri ritornavano quei dollari in prestito agli Stati Uniti, più gli
Americani avevano dollari da spendere. Oggi che gli Americani hanno smesso
di spendere, le fabbriche straniere sono diventate silenziose, le loro
banche barcollano e le loro azioni crollano. Ora essi comprano titoli del
Tesoro USA persino a rendimenti infimi! Nella scorsa quindicina l’indice di
riferimento del dollaro è salito ai massimi degli ultimi 3 anni, e i buoni
del Tesoro USA a 3 anni sono scesi sotto il 3%, nonostante Obama abbia
annunciato un deficit di $ 1,7 trilioni.
L’opzione più affidabile per tutta la liquidità mondiale risulta essere
quella di prestarla al governo più duraturo e che dirige la più grande
economia del pianeta: gli USA. Spengler ricorda che negli anni ’80 prestare
agli USA era un buon investimento. Allora, il governo americano tagliò il
tetto massimo tassabile dal 70% al 40% e generò crescita sufficiente a
pagare gli interessi e a gonfiare il valore degli
asset.
Ora invece, il valore degli asset
è chiaramente sceso, mentre il tetto dei tassi fiscali sta risalendo.
Prestare negli anni ’80 significava avere ottimi ritorni prestando
all’inizio di una poderosa espansione del Paese con il più grande bilancio
mondiale. Oggi la situazione s’è invertita: chi presta ottiene gli interessi
più bassi della storia dal più grande debitore mondiale, per giunta
all’inizio di una depressione.
La bolla del debito pubblico USA finirà [?] come è finita quella del debito
privato. Ma intanto, peggio vanno le cose per gli altri e meglio vanno per
il popolo che le ha fatte andar male. Non solo gli americani salvano il
proprio sistema bancario, essi riescono persino a salvare i loro debiti
familiari impennati dall’effetto leva e a cancellare anche i loro debiti.
Gli USA hanno finanziato la loro orgia consumistica coi soldi degli altri.
Ora finanziano la propria riabilitazione allo stesso modo: coi soldi degli
altri.
Chi ha prestato può star sicuro al 100% che riavrà quanto ha prestato, con
gli interessi, alla scadenza pattuita. Ma quel denaro avrà il valore che il
debitore determinerà a proprio arbitrio.
Magari il povero polacco potesse fare lo stesso… >
Ossia, a pagare non sono mai i colpevoli, sono sempre i gabbati.
*
Gioco di parole, in quanto “Pole”, oltre ad avere lo stesso significato di
“polo” che ha in italiano quando è in coppia con “position”, significa anche
“polacco”. Qui dunque l’autore esamina compassionevolmente la posizione del
popolo polacco di fronte alla crisi generata dal sistema bancario americano.
15 marzo 2009
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