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Nuovi scenari, vecchi copioni

Mi hanno colpito le recenti dichiarazioni degli industriali, mi ha colpito l’inaugurazione degli uffici Maersk a Vado.
Ma davvero credono in quello che dicono, sul serio, o sono obbligati, appunto, a recitare una parte (magari per impegni già presi “che non si possono rifiutare”)?

di Milena De Benedetti 

Milena De Benedetti

…e ancor più vecchi attori. Somigliano davvero a tromboni da palcoscenico che continuano a recitare, con enfasi e voce nasale, la parte su cui sono ben preparati, mentre intorno gli attrezzisti hanno già smontato i fondali e predisposto quelli del nuovo spettacolo.

 La scena internazionale sta rapidamente e vertiginosamente cambiando, sia dal punto di vista politico sia economico sia strategico, è impossibile non rendersene conto, a meno di essere totalmente ottusi o fare finta. In altri paesi, gli “attori” che non si sentono più adeguati almeno manifestano ripensamento, imbarazzo, riflessione. Tacciono, in attesa di sapere cosa dire.

Qui, no. Siamo ben fermi sui binari già predisposti, continuiamo a marciare imperterriti. E non ci preoccupiamo di pronunciare cose a caso.

Tante vocine sommesse, di varia ed eterogenea natura, cominciano a sussurrare che il re è nudo. Si suppone che basti imbrigliarle, magari soffocando la rete, i blog, internet, per poter continuare come se nulla fosse.

 Temo che non sia così semplice. Anche se fosse materialmente possibile, se fosse attuato in pratica, verrà il momento in cui tante dichiarazioni e proclami pubblicati sulla stampa e annunciati in tv, pur senza insinuare il minimo dubbio o contraddittorio, senza domande scomode da parte dei giornalisti, come è sempre più di moda  oggi, si smentiranno da soli, con i semplici fatti.

Facciamo un rapido elenco di facili smentite. Questa crisi non è passeggera, un semplice momento di debolezza dei mercati, ma strutturale. Non si potrà superare se non cambiando qualche regola del sistema, alla radice. Difficilmente tornerà tutto come prima, difficilmente si potrà ripartire con gli stessi criteri. Difficilmente tornerà il consumismo sfrenato.

Non è vero che gli italiani stanno tutti bene perché hanno tanti telefonini. Non è vero che i media fomentano il disfattismo.

Le fabbriche iniziano a chiudere. Inizia la crisi delle case. I disastri della scuola (accumulo dell’operato di tanti governi) iniziano a emergere. Le ferrovie, oggetto di totale indifferenza a meno che non si parli di alta velocità, rischiano di essere la prossima Alitalia.

Come scrive Peter Gomez, si può continuare a trovare i capri espiatori atti all’uopo, pescando fra le categorie poco amate: dopo i rom e gli immigrati, i dipendenti pubblici fannulloni, i piloti privilegiati.

Si possono fomentare guerre fra poveri. Si possono dividere i sindacati, si possono attuare provocazioni. Ma questo non fermerà le civili proteste, il disagio di chi sta male. Questo non distrarrà a lungo dalle molte malefatte e dagli assurdi privilegi delle caste, sempre più evidenti e gonfiati, sempre più beffardi. Questo non distruggerà per magia il troppo sporco accumulato sotto il tappeto.

 Veniamo alla sfera locale, alla situazione che abbiamo intorno.  Mi hanno colpito le recenti dichiarazioni degli industriali, mi ha colpito l’inaugurazione degli uffici Maersk a Vado.

 Ma davvero credono in quello che dicono, sul serio, o sono obbligati, appunto, a recitare una parte (magari per impegni già presi “che non si possono rifiutare”) ? Al punto da insistere con enfasi proprio su ciò che è meno sostenibile?

A me pare che le strade di sviluppo indicate per il savonese, già molto discutibili prima, appaiano ora addirittura suicide, in controtendenza rispetto agli andamenti dell’economia, ai progetti altrui, alle più ovvie ricette per la crisi.

 


Macciò Presidente unione Industriali

Più carbone? Già l’affermazione che lo sviluppo, il rilancio (rimane da capire quale) dell’industria locale richiedeva più energia era opinabile, dal momento che esportiamo già fuori regione una buona parte dell’energia prodotta, senza bisogno di aumentare prendendosi la responsabilità di  ricadute ambientali insostenibili. Adesso, poi, è ulteriormente discutibile, per tutta una serie di ragioni.

Lasciamo stare gli studi di qualità dell’aria ed epidemiologici che ormai si accumulano come macigni. Lasciamo stare che si ignorino bellamente le statistiche sull’aumento di morbilità e mortalità. Prezzi da pagare per il progresso, forse?

  Ma al riscaldamento globale e alla necessità di ridurre la CO2 al più presto per salvare il pianeta, prima del punto di non ritorno, ci credono in tanti. Spiacenti per il nostro premier, per i nostri recalcitranti industriali  amanti dei facili profitti e per i loro tanti cantori ed esegeti del negazionismo.

Invece di sentir parlare di marchingegni per pompare l’anidride carbonica sottoterra o roba del genere, esiste un’altra, più semplice soluzione: tassare fortemente chi inquina, come vorrebbe Kyoto. In questo modo il carbone smette di essere così conveniente. Al tempo stesso, per non essere punitivi, restituire queste “multe” alle aziende che investono davvero in rinnovabili, per innescare un circolo virtuoso.

Pare che Obama voglia fare così. La mia rametta di pessimismo: da noi troverebbero il modo di foraggiare ampiamente le aziende passando per rinnovabile ciò che non lo è. Come hanno fatto con i contributi Cip6.

Oppure, se continua così, finiamo nell’orbita dei paesi dell’est e tanti saluti.

 E che dire della piattaforma? La logistica è in crisi nera, è uno dei settori più colpiti ( e in anticipo). Non dico che portualità e  commerci marittimi smettano di essere strategici, dico che occorrerebbe un ripensamento totale sulla scala, il tipo, la finalità dei progetti, per immobilizzare meno capitali, essere più agili e flessibili e pronti a reagire alle nuove tendenze.

Davvero la piattaforma sembra la risposta? Io, da esterna e incompetente, dico di no.

Non che crisi significhi star fermi e rassegnati e bloccare tutto, strappandosi i capelli. Ma se davvero, nell’ottica positivista, crisi vuol dire opportunità, si tratta dell’opportunità di cambiare strada, di essere innovativi, possibilisti, fantasiosi, versatili, per costruire una rete magari più diffusa, che regga meglio gli impatti, che rimbalzi, per così dire, le bordate peggiori.

 Qui le cannonate ci sfondano, invece, perché offriamo rigidi, ampi e facili bersagli.

 E gli esempi potrebbero continuare. Unica consolazione, la tattica di  tacciare per ambientalisti velleitari coloro che si oppongono a questi progetti devastanti avrà il fiato cortissimo, ora. Ci sono ben altri, inoppugnabili esempi e argomentazioni anche per chi è del tutto insensibile all’ecologia.

 Ma il mio pessimismo si estende alla politica locale. Ogni volta che ascolto dichiarazioni di esponenti, li trovo di una disinformazione e superficialità da pelle d’oca. Sentir dire per esempio che all’estero tutti risolvono il problema dei rifiuti con i modernissimi termovalorizzatori (tre bestialità in una frase sola). Oppure: io sono per la differenziata e gli inceneritori, che è una bella contraddizione in termini. Oppure, che dobbiamo esser pronti con la piattaforma per quando la crisi sarà passata. Eccetera.

 Non c’è di che stare allegri, a meno che dei cittadini di buona volontà riescano a costruire delle alternative politiche valide, a un sistema che ormai mostra la corda, a degli schieramenti dove pochissime sono le voci  e le persone che diano qualche affidamento. Io, al momento, non saprei davvero per chi votare. E lo dico con amarezza, perché credo ancora nella democrazia.

  Nonna Abelarda alias Milena De Benedetti