versione stampabile

Uno studioso scrive a Trucioli Savonesi e invita a cambiare strategia, a non ripetere errori

RIQUALIFICAZIONE DEL TERRITORIO:

DENUNCIARE NON BASTA!

<Come è difficile informare quando si è messi al bando dai media>. Ecco cosa propone

 


Giuseppe Ozenda

Sono lieto che la pubblicazione di alcune mie riflessioni dopo un recente convegno abbia suscitato qualche fermento, e, senza perdere tempo in repliche a stizzose farneticazioni o in battaglie di retroguardia, aggiungo solo qualche altra considerazione.

Mi dispiace che il mio intervento abbia indotto il dott. Paolo Franceschi (un amico di cui apprezzo molto il lavoro di documentazione e che ben conosce me ed il mio operato) ed altri ad attribuirmi una sottovalutazione della preziosa opera di informazione sua e dei suoi colleghi.

Basterebbe rileggere i primi paragrafi del testo incriminato per convincersi del contrario, credo.

Spero che criticare un comitato non sia considerato riprovevole come sparare sulla Croce Rossa: se però non sono stato chiaro, preciso nuovamente che non contesto affatto chi si occupa di informare la popolazione su tutto ciò che il sistema ufficiale dei media non consente di divulgare (tra cui anche le drammatiche conseguenze dell’inquinamento da combustione). Ammiro quanti hanno il coraggio e la costanza di proseguire in quest’azione meritoria (si pensi anche a B.Grillo ) ma, come mi pareva di aver spiegato nel mio testo, per me questa è solo una parte dell’opera necessaria. Un’altra consiste nel ricercare soluzioni ai problemi (o, meglio, di come evitarli), per eliminarne le cause dopo un’attenta analisi che permetta di riconoscerle, e la terza è la definizione delle strategie per applicare localmente le soluzioni prescelte. Sono convinto che senza le altre parti anche la prima rischi di essere sprecata. Purtroppo.

Ricorrendo ad un paragone sanitario, la descrizione delle malattie e delle loro cause può avere finalità didattiche o di prevenzione, ma per guarire quando si è in fase acuta è necessario applicare le opportune terapie e rimuovere le cause. O no? Ricordando anche il celebre motto di L.Einaudi “Conoscere per decidere”, se è vero che decidere senza conoscere è impensabile, mi pare altrettanto vero che limitarsi a conoscere e non arrivare a decidere sia inconcludente.

Ribadisco quindi che credo sia sempre necessario proporre qualche traccia di soluzione dei problemi, giustificandone la scelta con la stessa accuratezza con cui si documentano i danni, contemporaneamente all’opera di informazione (o meglio di controinformazione) e non dopo.

Questo ha anche un altro scopo importante: non generare solo rabbia e rassegnazione negli ascoltatori ma suscitare in loro anche la speranza di un futuro migliore. Senza la quale tutti saremmo indotti non alla rivoluzione ma al suicidio di massa, come i lemmings.


Il porto di Vado Ligure
La mia evidente esasperazione attuale deriva dall’aver assistito negli ultimi anni alla proliferazione nella nostra provincia di numerosi comitati dediti prevalentemente alla denuncia di situazioni sgradite (per limitarci alla nostra zona: la cementificazione della costa, l’ipotizzata “piattaforma” vadese, la gestione dei rifiuti, la filiera del carbone, ecc.) o ad isolate azioni di contrasto ma purtroppo senza veder emergere qualche progetto alternativo originale.

Si sono susseguiti numerosi convegni in cui si è analizzata da più punti di vista la situazione locale ma di solito ci si è limitati ad invocare migliorie e solo in pochi casi (tra l’altro anche con miei interventi) sono state presentate proposte concrete che cercano di tradurre in pratica i desideri di molti di eliminare le cause di criticità che affliggono la nostra provincia.

Oggi sono francamente deluso dai risultati di tutto questo impegno. Come altri, mi pare.

Da qui la mia affermazione che denunciare non basta. E la ribadisco.

Senza negare per questo la validità di dati presentati o sminuire l’opera dei divulgatori.

 La mia critica quindi è rivolta non all’impegno o agli obiettivi ma al metodo di lavoro di tutti quelli che definisco sinteticamente “scontenti" (non solo gli anti-inquinanti) che non riescono ad evolvere dalla contestazione (per quanto giustificata e lodevole) alla progettazione di alternative efficaci. La mancanza di competenze specifiche o di risorse non può essere un limite: lo è invece l’incapacità di riunirsi (pur senza tentazioni assemblearistiche) per osservare la situazione con una visione di sistema che, evidenziando le cause comuni di molti problemi, conduca alla individuazione di soluzioni generali ed alla loro sintesi in un piano strategico, di cui poi ciascuno assumerà la propria parte di responsabilità. Purtroppo diffidenza, pregiudizi, inesperienza metodologica, scarsa competenza specifica, autoreferenzialità o mummificazione ideologica hanno finora impedito a molti insoddisfatti sparsi in provincia di aggregarsi per concepire, discutere, condividere e realizzare un progetto comune di evoluzione.

Altrettanto pernicioso è concentrare la propria attenzione su un solo problema, o su un unico aspetto di un problema, ed occuparsene senza coordinare la propria azione con quella di altri.

Procedere in ordine sparso è - secondo me - un modo ottimale per condannarsi all’inutilità.

La mia critica è rivolta anche a ciò che resta dei partiti, le aggregazioni di cittadini a cui la Costituzione assegna un compito importante nell’orientamento delle decisioni che riguardano la collettività. L’attuale spettacolo delle risse intestine, delle operazioni di cosmesi con finalità elettorali, delle riaggregazione di vecchi politicanti in nuove confraternite, ecc. lascia dubitare della loro capacità di elaborazione intellettuale e di dibattito necessarie per concepire strategie innovative e risolvere problemi impellenti. Ridipingere la facciata non basta per essere credibili. 

Le mie domande sono quindi sempre le stesse: quando la popolazione accuratamente informata e sensibilizzata decidesse che è arrivato il momento di agire, che cosa dovrebbe succedere? Un nuovo “tumulto dei Ciompi”? Qualcuno non dovrebbe intanto occuparsi di come migliorare? Chi? Sempre imprecisati “altri”? Magari coloro che occupando oggi posizioni di potere (finanzieri, imprenditori, magistrati, politicanti) sono gli stessi responsabili della situazione?

Da loro (che definisco sinteticamente i “cattivi”) si andrebbe a mendicare la condiscendente approvazione alla nuove proposte formulate? Tutto ciò è davvero credibile?

Oppure occorre un completo cambiamento di prospettiva ed un’altra strategia?

Per quanto mi riguarda, mi sono chiesto da tempo (come suggeriva J.F.Kennedy) quale potesse essere il mio contributo per migliorare la situazione della nostra comunità.

Se ognuno ha un proprio compito, io, essendo un consulente di strategie (in particolare per la riqualificazione territoriale), ho deciso di dedicare un po’ del mio tempo all’elaborazione di un piano strategico per l’evoluzione della nostra provincia che consideri tutti i problemi presenti.

Forse ho anticipato troppo i tempi, ma ben sapendo di non essere né il Grande Taumaturgo né il depositario della verità (lascio ad altri soloni queste convinzioni), non mi sono spocchiosamente isolato ma anzi ho invitato fin dall’inizio a partecipare al complesso lavoro di elaborazione (da me iniziato spontaneamente con alcuni amici nel 2002) quanti volessero e se ne sentissero capaci. Mi sono rivolto ovviamente prima di tutto alle varie realtà istituzionali e poi ai membri a me noti di associazioni e comitati di scontenti presenti in provincia. Tranne rare eccezioni, non posso dimenticare che le reazioni alla mia offerta sono state (e continuano ad essere) o di sussiegosa indifferenza o di sospetto o addirittura di avversione, non solo da parte dell’establishment (ci si chieda – per esempio - perché non ho mai trovato spazio sui media locali) ma anche da parte di chi ha voluto interpretare il risultato del mio lavoro come una imposizione (di che cosa non so, dato che sono uno sconosciuto che non ha alcun potere di condizionare chicchessia) o di partitini preoccupati del proprio minuscolo serbatoio elettorale o dei soliti gruppuscoli autoreferenziali o di chi coltiva inconcludenti visioni movimentistiche.

Ho voluto comunque dare un esempio. Il mio può apparire un atto di grande presunzione, ma in realtà deriva dall’affetto per la nostra comunità e dal desiderio di arrivare a risultati concreti.

Attorno a me si è poi raccolto spontaneamente un gruppo informale (ovviamente apartitico, asessuato, atossico, apiretico, …), senza atti costitutivi, senza gerarchie interne, senza necessità di bilanci o atti burocratici, senza pretese di visibilità, senza sponsor occulti ma con un unico obiettivo: fornire alla comunità locale non sequenze di parole ma un piano strategico realizzabile, alternativo sia a quello istituzionale sia a quello effettivo del clan di feudatari locali.

Pochi altri gruppi (ARE Vallebormida, Amici di B.Grillo, WWF) hanno avuto il coraggio di partecipare attivamente al processo di elaborazione creativa, che continua tuttora: così è nato SAVONADOMANI, un progetto-cornice che, partendo dall’analisi delle caratteristiche geomorfologiche e socio-culturali del nostro territorio, cerca di individuarne le potenzialità ancora inespresse.

 Non solo gestione di energia e di rifiuti, ma anche agricoltura e nutrizione corretta, tutela preventiva della salute e valorizzazione dell’identità sono i temi principali, declinati attraverso i settori della ricerca, della produzione sostenibile e del turismo intelligente. Non solo: poiché l’arco temporale previsto per la completa realizzazione - trent’anni - non va confuso con il momento iniziale delle operazioni, qualcuno ha anche già avviato attività ispirate dal progetto con buoni risultati (diversamente da molti pittoreschi parolai locali ). Come si vede si è andati ben oltre la lotta all’inquinamento ed alle sue cause (senza tuttavia dimenticarsene) e spiace constatare come chi critica un lavoro spesso non ne conosca davvero contenuti ed obiettivi.

 Il nostro rappresenta certamente un diverso modo di operare rispetto a chi si dedica ad organizzare convegni, manifestazioni, raccolte di firme in calce all’appello del momento o a chi cavalca il disagio mendicando voti. Non mi stupisco perciò se il mio invito alla collaborazione per arrivare ad un progetto condiviso possa apparire ad incorreggibili dietrologi come un tentativo di indurre tutti i gruppi alla fusione in un super-gruppo di cui io pretenda di essere il leader (il Grande Puffo?), magari con obiettivi elettorali, oppure – ancor peggio - che tutto sia una subdola opera di provocazione ispirata da forze occulte (Gargamella?).

Dovrei esplodere in una sonora risata: chi mi conosce e collabora con me sa che nulla è più lontano dalla verità. Invece sorrido amaramente pensando a quanto sia difficile liberarsi da costrizioni mentali. Chi ha la coda di paglia evidentemente è portato ad attribuirla anche ad altri.

Ma è altrettanto curioso ritenermi il piazzista di qualche prodotto aziendale: quale sarebbe? Da decenni faccio il consulente (ripeto: per strategie di riqualificazione territoriale, non solo per la gestione di energia) ed ormai sono più uno studioso che un professionista: le soluzioni che suggerisco sono sempre multiple ed estranee a logiche commerciali. Forse sentendomi parlare del progetto KITEGEN di M.Ippolito, che non è una mia ossessione ma un geniale modello concettuale ( come il progetto ARCHIMEDE di C.Rubbia ), l’inesperto lo confonde con un impianto da collocare chiavi-in-mano sul mercato: basta informarsi per accorgersi che non è così.

Non ancora, purtroppo.

Domando però: di fronte ad un problema, ha senso impedirsi una scelta fra diverse soluzioni nel timore di compromettersi se si favorisce una od un’altra opzione?

 Concludo riassumendo il mio discorso.

Ripeto che denunciare è facile, risolvere i problemi molto meno.

La documentazione di cause ed effetti di problemi sensibili è necessaria e colpisce al cuore l’ascoltatore, mentre un progetto tecnico-strategico fa appello alla ragione ed intimorisce chi non abbia le competenze per comprenderlo.

Ma cuore e ragione debbono comunque integrarsi per poter agire efficacemente.

Sono convinto che la situazione della nostra provincia possa cambiare non se si riduce un po’ la massa dei fumi emessi da una centrale termoelettrica o la dimensione di un molo di sbarco per contenitori, oppure edificando qualche palazzo a filo d’acqua o magari parassitando torme di croceristi in transito, ma solo se si modifica integralmente il modello di sviluppo (azione tecnico-culturale) e se si sostituisce il sistema di potere locale (azione politica).

Ognuno è libero di coltivare le proprie illusioni, ma credo che se ci si limiterà a moltiplicare comitati o a riassemblare avanzi di partiti avvizziti e non si comincerà a progettare insieme il futuro (nei due aspetti sopra indicati), tutta la buona volontà e le energie impegnate da molte brave persone saranno state sprecate e finiremo sepolti con le nostre denunce ed i nostri progetti. Magari sotto mucchi di carbone, cataste di containers o colate di cemento, che i “cattivi” intanto ci avranno imposto. Oppure sottoterra, soffocati da polveri più o meno sottili.

Il frutto del mio lavoro si può pure buttare alle ortiche: qualcun’altro saprà certamente fare meglio di quanto ho fatto io ( lo spero: finora non ne ho avuto notizia ). Ma si faccia presto.

 

Anch’io ho un sogno, che sto cercando di realizzare.

Non coltivo purtroppo la nobile arte della diplomazia, ma mi piacerebbe se si potesse discutere tutti insieme (“cattivi”, “scontenti” e “creativi”) di Scuola di Naturalità, del sottoprogetto SAVADO, di innovative proposte per Ferrania, di UNIVERSAVONA, di gestione di rifiuti, di ecosocialità, del sottoprogetto PRIAMÀR & FUTURO, ecc. (questo ed altro si trova in SAVONADOMANI, il cui dossier informativo sintetico è pubblicato a puntate su TRUCIOLISAVONESI) nonché delle presumibili meravigliose proposte di tanti ingegni nascosti savonesi, per scoprire se siamo solo in grado di produrre collezioni di stupidaggini oppure se questo può essere l’inizio di un percorso risolutivo per la nostra comunità.

E magari si potrebbe parlare anche di nuova politica, intendendo il vocabolo in senso etimologico e non come tentativo di risuscitare vecchi paradigmi o rivitalizzare qualche zombie.

 

Non vorrei invece che la fragilissima rete di relazioni fra scontenti e creativi che stava cominciando a strutturarsi per condividere il nuovo progetto di evoluzione della nostra provincia, rischiasse di essere distrutta da assurde polemiche fratricide (che non mi interessa attizzare).

Attenzione: i cattivi - che intanto marciano compatti - non aspettano altro.

 

   

P.S.: ricordo ai distratti che tracce del progetto SAVONADOMANI si possono trovare in numerose testimonianze orali a partire dalla fine del 2002 ed in resoconti di convegni (Cairo Montenotte-2006, Valleggia-2007, Milano\NEXTENERGY-2008 ); citazioni in libri come IL PONENTE SAVONESE\Dalle Alpi al mare di S.Riolfo Marengo o TRUCIOLI SAVONESI di A.Pastore; non manca nemmeno una comparsata sul calendario CEMENTO ALL’INDICE del 2008. Sorpresi?

GIUSEPPE OZENDA