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prima parte                    seconda parte

AFFERMAZIONI E NEGAZIONI.

 TEORIE OPPOSTE. O NO? terza parte

In un momento di generale radicalizzazione delle idee, forse non guasta porre alla scienza (e porsi) la domanda se "l'armonizzazione del discorde" sia solo un inutile ossimoro o se invece, attraverso le aperture che un pensiero libero offre, rappresenti uno sguardo prefigurante sul "possibile" .

GIULIO SAVE


G. Leopardi

Diceva un marito geloso alla moglie:” Non t’accorgi, Diavolo che sei bella come un Angelo?” (dallo “Zibaldone” di G. Leopardi).

E’ la percezione viva carnale inspiegata della coesistenza di due significati. E’ l’ambivalenza. O di più significati. Con una ri-scoperta del simbolo, come mezzo unico ed esclusivo in grado di esprimere realtà inesprimibili e come luogo privilegiato e franco di costruzione del pensiero, inesauribile e così aperto alla libertà di attribuzione di senso da poter dare origine al criterio di responsabilità e di qui avvio alla coscienza.

Qui, disseppellendone il sepolcro, ritroviamo, intatto e ribollente di significati fino all’eccedenza incontrollata di senso, l’anti-banale totale, il non ordinario, l’inconsueto, il sorprendente-di-per-sé, il definitivamente inspiegabile, il mistero.

Enigmatico segreto rivalutato perfino da quel Max Planck, scienziato di concetti forti e modernissimi, geniale teorico e fondatore dell’idea quantistica, che riafferma quello che si sussurra con altre parole da qualche migliaio di anni, e cioè, suppergiù, che la natura è organizzata fondamentalmente in modo misterioso e che noi, qui, non potremo mai risolvere questo mistero proprio perché noi stessi ne facciamo parte.

Con San Giovanni della Croce: “…il volo della rondine, il saltellare del passero, il balzo del giaguaro, la luce di uno sguardo, non c’è nulla in questo mondo che non porti in sé mistero”.

Con Nicolas Gomez Dévila: ”…respiro male in un mondo non attraversato da ombre sacre.”.

Fino al tormento lancinante insopportabile eterno e infinito racchiuso nel grido disperato scatenato dall’esasperante impotenza di ogni indagine e dall’inutilità rabbiosa delle domande ultime: “Intuisci il tuo mistero, mondo?”. Sacro. Che più?

Insomma, credo proprio che niente sia ancora “definitivamente definito” e che ci sia largo spazio (non solo per mancanza di strumenti di indagine adeguati, ma proprio per impossibilità intrinseca totale soffocante e assoluta di ottenere risultati conclusivi nella ricerca) all’ignoto, al misterioso, al profondo, al sovra-razionale, al sopra-sensibile. Spazio, se così posso dire, alla metafisica.

Forse anche perché stanchi delle asfissianti costringenti nulla-di-nuovo-dicenti tautologie della matematica, onnipervasiva e dominante ma che, a differenza delle altre scienze, non orienta e non anticipa, non crea spazi di libertà, non libera estensioni ai possibili ma, al contrario, li ingabbia e li incatena a pure dimostrazioni e conferme di già inteso. A qualcuno è sembrato esserci un che di volgare in una scienza che, unica fra tutte, della quantità ha fatto un ideale, teorizzandone la purezza. Infatti, per Bloch (“il principio speranza”), “questo [la matematica] è un sapere esente dall’esistenza …allontanato da ogni suo riferimento reale figurativo”. Non dimentichiamo che per Platone “…i matematici lasciano immobili le ipotesi di cui si servono essendo incapaci di renderne ragione”.


Edgar Morin
E’ forse per questo che non sempre mi convincono, e quasi sempre mi annoiano, le “approfondite filologie” e i vari e onnipresenti e invadenti e adattabilissimi insipidi psicologismi; e, comunque, tutte quelle tediose operazioni di eccessiva razionalizzazione, di decostruzione, di destrutturazione, di svisceramento e sbriciolamento di ogni detto e di ogni concetto, di ogni immagine e di ogni giudizio, di ogni azione e di ogni storia, con la speranza di trovare nelle macerie provocate qualche forma di vita lì intrappolata che riconosca, grata, i liberatori.

 E qualche segnale, sempre benvenuto anche se molto tenue come di qualcosa che si allontana non mai più volendo essere qui, che confermi i pre-giudizi. Con le parole di Edgar Morin, sceltissime e straripanti di senso: ”…l’intelligenza parcellizzata, compartimentata, meccanicistica, disgiuntiva, riduzionistica rompe il complesso del mondo in frammenti disgiunti, fraziona i problemi, separa ciò che è legato, unidimensionalizza il multidimensionale.”

Qualcuno che se ne intende, e che comunque è molto più preparato di me (anche) su queste cose, mi ha detto che io tendo a pormi in una prospettiva eccessivamente olistica. Sarà. Intanto, come diceva un compagno della parte (cospicua) della mia infanzia-adolescenza passata in quella gioiosa fantastica inesauribile e magnificamente interattiva play-station anni ’50 che era la strada, è sempre doveroso informarsi sul vero significato di una qualificazione forte che ci viene gettata in faccia prima di passare alle mani. Lo farò.

Con questo tipo di analisi retrocedente all’infinito e il cui effetto inarrestabile vuole prenderci e guidare la mano, vediamo operare la dissoluzione travolgente di ogni aggregato per quanto complesso e articolato esso sia, materiale o intellettuale, vivente o inerte, abitante in uno qualsiasi dei tre fantastici, abitatissimi, variopinti mondi popperiani: fenomeni storici si riducono a biologici, questi a fenomeni chimico-fisici che, a loro volta, precipitano giù giù fino in fondo ad incontrare la dimensione atomica e poi nucleare e poi ancora quella sub-nucleare, e ancora più giù e più giù verso il sempre più piccolo, fino quasi a rasentare l’inconcepibile pacificante della nullità, e così via, senza fine e senza scopo e senza risultato e, credo, anche, senza senso. Arrivando a ridurre fenomeni ultradensi di significato, di storia, di emozioni, di motivazioni, di umanità come per esempio la battaglia di Maratona (l’esempio, geniale, è di Bloch), ad una sequenza di scarni movimenti muscolari meccanici e completamente sub-storici dei combattenti, e ”…finendo con l’approdare alla danza degli atomi come base generalissima di ogni cosa.”

Credo che ci dovrebbe essere un limite a questa sorta di generalizzato e spietato e insistito esame autoptico dell’universo. Cruento e inutile esercizio animato da segreti intenti ferocemente autoassolutori.