AFFERMAZIONI E NEGAZIONI.
TEORIE OPPOSTE. O NO?
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G. Leopardi |
Diceva un marito geloso alla moglie:”
Non t’accorgi, Diavolo che sei bella come un Angelo?”
(dallo
“Zibaldone” di G.
Leopardi). E’ la percezione viva carnale inspiegata della coesistenza di due significati. E’ l’ambivalenza. O di più significati. Con una ri-scoperta del simbolo, come mezzo unico ed esclusivo in grado di esprimere realtà inesprimibili e come luogo privilegiato e franco di costruzione del pensiero, inesauribile e così aperto alla libertà di attribuzione di senso da poter dare origine al criterio di responsabilità e di qui avvio alla coscienza. |
Qui,
disseppellendone il sepolcro, ritroviamo, intatto e ribollente di
significati fino all’eccedenza incontrollata di senso, l’anti-banale
totale, il non ordinario, l’inconsueto, il sorprendente-di-per-sé, il
definitivamente inspiegabile, il
mistero. Enigmatico segreto rivalutato perfino da quel Max
Planck, scienziato di concetti forti e modernissimi, geniale teorico e
fondatore dell’idea quantistica, che riafferma quello che si sussurra
con altre parole da qualche migliaio di anni, e cioè, suppergiù, che la
natura è organizzata fondamentalmente in modo misterioso e che
noi,
qui, non potremo
mai risolvere questo mistero
proprio perché noi stessi ne facciamo parte. Con San Giovanni della Croce:
“…il volo della rondine, il saltellare del passero, il balzo del
giaguaro, la luce di uno sguardo, non c’è nulla in questo mondo che non
porti in sé mistero”. Con Nicolas Gomez Dévila:
”…respiro male in un mondo non
attraversato da ombre sacre.”. Fino al tormento lancinante insopportabile eterno e
infinito racchiuso nel grido disperato scatenato dall’esasperante
impotenza di ogni indagine e dall’inutilità rabbiosa delle domande
ultime: “Intuisci il tuo mistero,
mondo?”. Sacro. Che più? Insomma, credo proprio che niente sia ancora
“definitivamente definito” e che ci sia largo spazio (non solo per
mancanza di strumenti di indagine adeguati, ma proprio per impossibilità
intrinseca totale soffocante e assoluta di ottenere risultati conclusivi
nella ricerca) all’ignoto, al misterioso, al profondo, al
sovra-razionale, al sopra-sensibile. Spazio, se così posso dire, alla
metafisica. Forse anche perché stanchi delle
asfissianti costringenti
nulla-di-nuovo-dicenti tautologie della matematica, onnipervasiva e
dominante ma che, a differenza delle altre scienze, non orienta e non
anticipa, non crea spazi di libertà, non libera estensioni ai possibili
ma, al contrario, li ingabbia e li incatena a pure dimostrazioni e
conferme di già inteso. A qualcuno è sembrato esserci un che di volgare
in una scienza che, unica fra tutte, della quantità ha fatto un ideale,
teorizzandone la purezza. Infatti, per Bloch (“il principio speranza”), “questo
[la matematica]
è un
sapere esente dall’esistenza
…allontanato da ogni suo riferimento reale figurativo”.
Non dimentichiamo
che per Platone “…i matematici
lasciano immobili le ipotesi di cui si servono essendo incapaci di
renderne ragione”. | |
Edgar Morin |
E’ forse per questo che non sempre mi convincono, e quasi sempre mi annoiano, le “approfondite filologie” e i vari e onnipresenti e invadenti e adattabilissimi insipidi psicologismi; e, comunque, tutte quelle tediose operazioni di eccessiva razionalizzazione, di decostruzione, di destrutturazione, di svisceramento e sbriciolamento di ogni detto e di ogni concetto, di ogni immagine e di ogni giudizio, di ogni azione e di ogni storia, con la speranza di trovare nelle macerie provocate qualche forma di vita lì intrappolata che riconosca, grata, i liberatori. |
Qualcuno che se ne intende, e che comunque è molto
più preparato di me (anche) su queste cose, mi ha detto che io tendo a
pormi in una prospettiva eccessivamente
olistica. Sarà. Intanto, come
diceva un compagno della parte (cospicua) della mia infanzia-adolescenza
passata in quella gioiosa fantastica inesauribile e magnificamente
interattiva play-station anni ’50 che era la strada, è sempre doveroso
informarsi sul vero significato di una qualificazione forte che ci viene
gettata in faccia prima di passare alle mani. Lo farò. Con questo tipo di analisi retrocedente all’infinito
e il cui effetto inarrestabile vuole prenderci e guidare la mano,
vediamo operare la dissoluzione travolgente di ogni aggregato per quanto
complesso e articolato esso sia, materiale o intellettuale, vivente o
inerte, abitante in uno qualsiasi dei tre fantastici, abitatissimi,
variopinti mondi popperiani: fenomeni storici si riducono a biologici,
questi a fenomeni chimico-fisici che, a loro volta, precipitano giù giù
fino in fondo ad incontrare la dimensione atomica e poi nucleare e poi
ancora quella sub-nucleare, e ancora più giù e più giù verso il sempre
più piccolo, fino quasi a rasentare l’inconcepibile pacificante della
nullità, e così via, senza fine e senza scopo e senza risultato e,
credo, anche, senza senso. Arrivando a ridurre fenomeni ultradensi di
significato, di storia, di emozioni, di motivazioni, di umanità come per
esempio la battaglia di Maratona (l’esempio, geniale, è di Bloch), ad
una sequenza di scarni movimenti muscolari meccanici e completamente
sub-storici dei combattenti, e ”…finendo con l’approdare alla danza degli atomi come base generalissima
di ogni cosa.” Credo che ci dovrebbe essere un limite a questa sorta
di generalizzato e spietato e insistito esame autoptico dell’universo.
Cruento e inutile esercizio animato da segreti intenti ferocemente
autoassolutori. |