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AFFERMAZIONI E NEGAZIONI.

 TEORIE OPPOSTE. O NO? seconda parte

In un momento di generale radicalizzazione delle idee, forse non guasta porre alla scienza (e porsi) la domanda se "l'armonizzazione del discorde" sia solo un inutile ossimoro o se invece, attraverso le aperture che un pensiero libero offre, rappresenti uno sguardo prefigurante sul "possibile" .

GIULIO SAVE


Nicola Cusano

Leggi la prima parte....

E’ un campo privilegiato, quasi elitario direi, dove la negazione non ribatte e non risponde, contrastandola, all’affermazione (è stata superata senza grossi traumi perfino la sorpresa suscitata dal fatto che possiamo in matematica ottenere a2 sia moltiplicando per se stesso +a, o anche moltiplicando per se stesso il suo esatto contrario, -a; dando vita così alla negazione di una negazione che riavvia il concetto sulla strada positiva dell’essere dove i poli contrapposti si congiungono e si combinano in un’immagine univoca ed ecumenica in cui lo scambio dei ruoli non genera stupore né meraviglia), ma dove ci si muove e si vive e si ascolta prima e avanti al bivio di separazione e formazione degli opposti e delle loro insanabili differenze. Crocevia paradigmatico del tragico. Pur tuttavia vitale.

Per Nicola Cusano (XV secolo) “Dio è anteriore a tutte le cose che possono essere fatte in altro modo, ed è prima di tutte le differenze. …prima della differenza dell’atto e della potenza, del poter essere fatto e del poter fare, della luce e delle tenebre; anche prima della differenza dell’essere e del non essere, di una cosa e di nessuna, della non differenza e della differenza, dell’uguaglianza e della disuguaglianza…Dio è prima di tutta la differenza della differenza e della concordanza…”. E chi rinuncia ad avventurarvisi, sempre secondo Cusano, perde la possibilità di trovare Dio, o la verità, perché entrambi sono da ricercarsi al di qua della differenziazione degli opposti.

Non è facile. Per niente. E forse, se davvero la salvezza non è semplicemente un termine, o la tappa finale di un percorso, ma invece il complicato cammino che dall’intrico vivente si dipana per raggiungerla, non può e non deve essere facile. Perché “il signore di cui è l’oracolo in Delfi, non rivela e non nasconde, ma dà un segno” (Eraclito fr. 93). Già in questo pensiero aurorale ci viene negato il regalo salvifico di una soluzione. E neppure ci viene precisato o imposto alcun altro traguardo. Itinerario, tappe, partenza, orientamento, mezzi, sono tutte scelte nostre.

Il nostro futuro, la sua consistenza, la sua conoscenza, la determinazione della sua costruzione, la sua difficile individuazione nell’immenso mondo di tutti i possibili e di tutti i latenti e di tutti i covanti e di tutti i non-ancora-divenuti che popolano il mondo rinchiuso nella speranza per trasferirlo nell’unico reale, quel futuro, dicevo, deve essere totalmente conquistato. Identificato, progettato, sfidato, espugnato e guadagnato. Soprattutto in un tempo come il nostro in cui la storia si dimostra incerta, tentennante, in bilico su sentieri di sviluppo vertiginosi e indefiniti.


Anassimandro di Mileto
E questo qui ev’essere un terreno fertile se perfino studiosi per definizione molto seri (almeno così me li immagino) come i glottologi hanno voluto dire la loro. Cerca cerca, hanno trovato che ci sono alcune parole che conservano l’espressione originaria dell’infinita difficoltà di enunciare un pensiero oscillante.
Come, tanto per dire, without che nell’inglese odierno vale il nostro senza ma che però è composto da with (con) e out (fuori, senza, non…) e quindi suonerebbe come un autocontraddittorio con-senza.

 O, senza più scomodare sussiegosi filologi ma, invece, immergendoci un momento nel grande calderone gorgogliante di genuinità nazional(poco)-popolari(molto), come l’abbinamento amaro-dolce che nella fusione dell’inarrivabile slang torinese-borgataro cambia provocatoriamente il territorio d’appartenenza verbale e mostra impertinenti riflessi scatologici del tutto inattesi (fa mer-dus; o non dovevo dirlo?).

Oppure si può congetturare che in assenza di verità o in mancanza di accesso alla Verità sia la Necessità ad imporci comunque di decidere e di trovare ogni volta un punto di equilibrio fra Opposti, entrambi reali; l’eventuale drammatica prevalenza di uno dei quali annienterebbe, evaporandolo, l’altro.

Qualcosa che ci ricorda l’importanza dell’armonia per i Greci, e le loro “giuste proporzioni”, e l’ira che scatenava il superamento della misura, il massimo “peccato” del Greco, fino alla “smisurata tracotanza” della hybris. Eraclito ci dice che “questo cosmo …è fuoco vivente che divampa secondo misure e si spegne secondo misure” e che le Erinni “punirebbero perfino il Sole se

trasgredisse la sua misura” (in “I greci e l’irrazionale” di Dodds); e nello stesso mito di Prometeo, la terribile punizione che gli viene inflitta è dovuta non tanto all’atto del furto in sé (del fuoco poi ceduto agli umani) quanto all’ambizione, grandiosa stupefacente e inaudita, che supera tutte le misure, di sostituirsi al dio nel rapporto con l’uomo; e “per questo invito all’oltrepassamento della misura, Prometeo sconta la pena.” (U. Galimberti in “La casa di psiche”)

Da questo punto di vista il famosissimo frammento di Anassimandro di Mileto (VI secolo a.C.): ”Da dove gli esseri hanno origine, là hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”, – che rappresenta il mondo come un alternarsi di Opposti che per mostrarsi all’essere debbono commettere reciprocamente quell’Ingiustizia che poi espiano e riparano sopportando, ciascuno a favore dell’altro, il proprio annientamento – sembra poter anticipare il giudizio di superamento della separazione con l’accettazione del non-differenziato; che non proviene dalle larghe maglie di un’incertezza originaria ma, anzi, dalla comprensione che la compresenza sulla stessa realtà di diversi significati è la massima possibile generatrice di senso. Qui l’indifferenza alla differenza diventa un valore.

(continua)p>