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UOMINI E BESTIE

 

8: Prospezioni dell’immaginario

Puellae eaedem flores

Prima parte

 

 

Ecco quanto si legge in due passaggi del Roman d’Alexandre di Alexandre de Paris (che sarà oggetto di una futura scheda di approfondimento).

 

El vergié lor avint une mervelle bele,
Car desous chascun arbre avoit une pucele,
Il n’en i avoit nule chamberiere n’ancele,
Mais toutes d’un parage, chascune iert damoisele.
Les cors orent bien fais, petite la mamele,
Les ieus clers et rians et la color novele.
[...]
Et les puceles issent de la forest chantant,
Vestues comme dames, molt bel et avenant.
Qant voient ciaus de l’ost, encontre vont jouant
Tant com li ombres dure, car ne pueent avant,
Ja si poi nel passaissent que mortes chaïssent;
Mais plus aiment les homes que nule riens vivant,
Por ce q’en cuide avoir chascune son talant.

(III 191-92, 3334-59)

 

Si tratta dunque di una foresta magica in cui l’esercito di Alessandro incontra delle dame di gran lusso, e assai generose cogli uomini dei loro favori, ognuna delle quali pare la proiezione antropomorfa dello spirito vitale di un albero[1] della foresta, tant’è vero che non possono allontanarsi da essa, pena la morte.

 

Non conosco nessuna attestazione classica della singolare fantasia, e non stupisce certo, perché questo bordello di lusso per nobili cavalieri si poteva fantasticare solo dopo secoli di sessuofobia cristiana, ma le puceles sono orientali e dunque… (come nei tempi piú bui della censura democristiana si concedeva però al cinema la visione delle negrette seminude, tanto non erano donne del tutto).

In effetti, tra puellae e flores il rapporto canonico era uno solo:

 

Virgo Christi, si vis caelesti sponso digne placere; stude flores virgineos et munda lilia intus habere: et omnes sensus tuos foris a deceptionibus custodire. Cave milvum o simplex columba: fuge lupum mitis agnella; cave serpentem tibi approximantem, casta puella: ne per fenestras corporis intret ad cubiculum cordis; et corrumpatur puritas conscientiae tuae, per incautum visum vel turpem auditum: aut per ceteros sensus tuos pronos semper ad malum” (THOMAS A KEMPIS, Sermones ad nouicios regulares, p. 254 POHL).

 

E nel mondo greco:

 

 

Dell’Antike resta solo un pallido e anodino ricordo delle ninfe e dei culti arborei. Quelle cosí potremmo catalogare:

 

Del mare

Oceanine e Nereidi

Delle acque dolci

Naiadi, Potamidi, Idriadi, Creneidi

Dei monti

Oreadi, Orestiadi

Delle valli

Napee

Dei luoghi

Ognuna col suo nome specifico

Degli alberi

Driadi, Amadriadi, Alseidi, Meliadi.

 

Limitandoci ovviamente alle ultime, prendiamo oggi in esame le Meliadi.

 

Venne recando la notte Cielo immenso, su Terra
bramoso d’amore incombette e si stese
dovunque, ma il figlio [Crono] dall’agguato si sporse colla mano
manca, afferrò colla destra la falce mostruosa,
vasta, dai denti affilati, dal proprio padre d’un colpo
mieté i genitali, poi dietro li scagliò
a volo. Ma non invano sfuggirono essi di mano:
quante stille sanguigne infatti ne scorsero,
tutte le accolse Terra, nel volger degl’anni
generò le Erinni possenti e gli enormi Giganti,
in armi splendenti, che fra le mani palleggiano l’asta bislunga,
e le Ninfe che chiamano Melie qui sulla terra infinita.
(HES. theog. 176-87)

 

 

Dovremo riprendere in considerazione questo passo esiodeo quando parleremo dei Giganti. Osserviamo qui che nei testi di Boğazköy compare il cd. Ciclo di Kumarbi, il quale conta secondo Hoffner (Hittite Myths, 1990) i sgg. poemi in lingua ittita, tradotti da originali urriti perduti:

 

  1. Il canto di Kumarbi: 14 = CTH [LAROCHE, Catalogue des textes hittites, 1971] 344

  2. Il canto di Lamma: 15 = CTH 343 (La regalità del dio Kal)

  3. Il canto dell’Argento personificato: 16

  4. Il canto di Hedammu: 17 = CTH 348

  5. Il canto di Ullikummi: 18 = CTH 345.

 

Dopo la pubblicazione vi furono molti che notarono le straordinarie somiglianze colla Teogonia esiodea. Scrive ad es. il Wilhelm (The Hurrians, 1989, pp. 59-60):

 

There is no doubt about the parallels between the Hurrian myth of succession and the Theogony of Hesiod, the Greek poet living in Boeotia in about 700 B.C. Just as in the Hurrian myth Anu, the god of heaven, is castrated by his son Kumarbi, to be deposed in his turn by the weather god Teshup, so Kronos becomes ruler of the gods after the castration of his father, Uranus, god of heaven, only to be usurped by Zeus, the thunder god.

 

Non va infatti dimenticato che la famiglia del poeta proveniva da Cuma eolica, ove può aver avuto luogo la feconda contaminazione (P. WALCOT, Hesiod and the Near East, 1966). Ecco la trad. it. dall’ed. di Hoffner della parte meglio conservata del Canto di Kumarbi (§ 2-7 = A I 7-41):

 

Molto tempo fa durante gli evi anteriori Alalu era re nei cieli. Alalu era assiso sul trono e il possente Anu [Alalu ed Anu sono fusi nell’Urano esiodeo secondo Duchemin], il primo degli dei, stava in piedi innanzi a lui. Si prosternava ai piedi <di Alalu> e gli offriva la coppa nella sua mano. Per nove anni Alalu fu re nei cieli. Nel nono anno Anu mosse guerra ad Alalu e lo vinse. Alalu fuggí dal suo cospetto e prese la via della Terra Oscura. Prese la via della Terra Oscura e Anu si assise sul trono. Anu occupava il trono divino e il grande Kumarbi [Crono] gli porgeva la bevanda. <Kumarbi> si prosternava ai suoi piedi e gli offriva la coppa nella sua mano. Per nove anni Anu fu re nei cieli. Nel nono anno Anu mosse guerra a Kumarbi. Kumarbi, prole di Alalu, mosse guerra ad Anu. <Quando> non poté piú reggere oltre <il lampeggío?> degli occhi di Kumarbi, Anu si liberò dalle mani di lui e fuggí. Prese il volo verso il cielo, <ma> Kumarbi si precipitò dietro di lui, afferrò Anu per i piedi [o “per le gambe”] e lo fece precipitare dal cielo. <Kumarbi> morse le reni <di Anu> e la virilità di lui si mescolò alle interiora di Kumarbi, come il bronzo. Quando Kumarbi ebbe inghiottito la virilità di Anu si rallegrò e rise rumorosamente. Anu girandosi indietro disse a Kumarbi: “Ti rallegri nel tuo intimo perché hai ingoiato la mia virilità? Smetti di rallegrati nel tuo intimo. Ho deposto in te un greve fardello. In primo luogo ti ho ingravidato del nobile dio della tempesta [Teshub-Zeus]. In secondo luogo ti ho ingravidato dell’irresistibile fiume Aranzah [il Tigri]. In terzo luogo ti ho ingravidato del nobile Tashmishu. Tre terribili dei ho collocati in te, quali grevi fardelli. In futuro finirai col picchiare colla testa le pietre del monte Tassa”. Avendo pronunciato queste parole, Anu si levò verso il cielo e vi si nascose. Kumarbi, il saggio re, sputò ciò che aveva in bocca. Sputò dalla bocca saliva [?] e <sperma> mescolati. Ciò che Kumarbi sputò, il monte Kanzurra ... passato ... lo spaventevole ... [probabilmente lo sputo di Kumarbi feconda la terra come le gocce del sangue di Urano].

 

Quanto segue è frammentario: sembra che Kumarbi occupasse il trono in Nippur e cercasse per lo meno di divorare Teshub quand’era ancora dentro di lui, ma gli fu data da ingoiare una pietra di basalto (cfr. theog. 485 sqq.); dopo sette mesi di gestazione gli dei di cui era gravido tentarono di uscire dal corpo di Kumarbi ma non sapevano donde, finché Teshub e il monte Kanzurra, assistiti da levatrici, non passarono per “il buon posto” (l’uretra?). Alla fine Teshub probabilmente sconfiggeva Kumarbi e prendeva il potere. Le Meliadi, le ninfe dei frassini (l’albero ie. per eccellenza, Yggdrasill o Mimameidr della tradizione norrena), furono le madri della terza generazione bronzea (HES. op. 143 sqq.), una di esse di Folo, il centauro ospite di Ercole (PsAp. II 83), e una di Dolione, l’eroe eponimo dei Dolioni della Bitinia (Alessandro Etolo ap. STRAB. XII 4, 8).


 

[1] In latino arbor è femminile, come tutti i nomi di pianta, e del resto è ovvio: gli alberi generano. I frutti sono neutri perché sono di sesso indifferenziato. Quindi malus (il melo, femm.) sta a malum (la mela, neutro) come in ted. die Mutter sta a das Kind.