Whatever it takes
Le oligarchie finanziarie globali hanno
scelto di imporre come modello generale
per la New Generation quello sociopolitico
totalitario cinese, in sostituzione dell’
ormai indebolito imperialismo americano.
A Draghi il compito di implementarlo in Italia
[grazie ad un parlamento quasi nordcoreano]
Marco Della Luna
Non c’è neppure bisogno di tradurre questa ormai celebre quanto concisa frase di Mario Draghi come fermo proposito di far fronte alla stagnazione economica con illimitate iniezioni di soldi nel circuito monetario, contraddicendo il sino allora ferreo divieto UE dell’acquisto di titoli pubblici da parte della BCE.
È ormai noto che questo proposito si tradusse in pratica nell’acquisto mensile di titoli pubblici (QE) per decine di miliardi da parte della BCE, come ho ricordato nel mio ultimo articolo.
Non altrettanto noto è ciò che lo stesso Draghi propose un anno fa dalle colonne del Financial Times dopo lo scoppio della pandemia. Egli suggerì infatti un’estensione dello stesso principio, arrivando però là dove il QE aveva fallito: nelle casse delle imprese. Un resoconto in italiano è visibile qui. [VEDI]
Il ragionamento di Draghi è in parte condivisibile: anziché lasciar soccombere il tessuto produttivo di una nazione sotto il diluvio di decreti limitativi delle attività, bisogna concedere alle imprese prestiti a costo zero tramite il sistema bancario, con la garanzia dello Stato, senza preoccuparsi della crescita del debito che si viene a creare, sia pubblico che privato.
Il ruolo dello stato è quello di “utilizzare il proprio bilancio per proteggere i cittadini e l’economia dallo shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire. La perdita di entrate nel settore privato dovrà essere assorbita, totalmente o in parte, dal bilancio dello stato attraverso un significativo aumento del debito pubblico. […]
I livelli del debito sono aumentati, ma l’alternativa: una distruzione definitiva della capacità produttiva e quindi della base fiscale, sarebbe di gran lunga peggiore per l’economia. […] Davanti a circostanze mai viste prima, un cambio di mentalità è necessario tanto in questa crisi quanto lo sarebbe in tempi di guerra. Lo shock che stiamo affrontando non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di chi ne soffre. Il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile.
Come sappiamo, una delle misure messe in campo dal governo Conte II fu proprio la concessione di credito, entro certi limiti, a seconda delle dimensioni aziendali, erogati dalle banche sotto il cappello della garanzia statale, pur con tutte le condizionalità che le banche applicarono; tanto che gli effetti di questa misura furono molto contenuti. Adesso vedremo se i ristori avranno dimensioni ben maggiori (grazie a un novello whatever it takes) con Draghi rispetto a Conte, purché non servano, più che a rialzarsi, a pagare solo tasse e contributi.
Senza volermi erigere al livello di Draghi, ricordo che in quel tempo io suggerivo qualcosa di simile, ma senza la tara della sua mentalità prettamente bancaria, di cui non è disposto a svestirsi. Invocavo infatti l’emissione di valuta di guerra, emessa dallo Stato italiano e circolante soltanto in Italia (sulla falsariga di quanto fecero i governi Moro con l’emissione di biglietti di stato a corso legale di £ire 500, senza debito né interessi): a) erogata senza vincoli di rimborso alle imprese più colpite dalla pandemia, in proporzione al danno subito, (e non nella misura risibile in cui sono stati effettuati i ristori); b) utilizzandola per pagare i fornitori dello Stato, con una doppia immissione nel circuito monetario. Come precedente citavo (oltre alle £ire di Moro) quanto fatto dalle truppe di liberazione (od occupazione, a seconda dei punti di vista) americane e tedesche; con la fondamentale differenza che allora furono imposte manu militari per finanziare a spese di un popolo già stremato dalla guerra i costi delle truppe stesse, quindi contro gli interessi dell’Italia, che pagava in tal modo l’intervento straniero, in linea con quanto la storia insegna che avvenga in ogni operazione analoga; mentre oggi si tratterebbe di un provvedimento in aiuto dell’Italia, stremata da una guerra invisibile.
Se le regole UE furono violate dalla BCE di Draghi quando si trattò di salvare le banche (e le grandi imprese), l’avvocato del popolo non ardì seguirne l’esempio a livello nazionale, in quanto non lo voleva l’Europa. Ciò ha finito con l’entrare in contraddizione con un’Europa che successivamente ha istituito il Recovery Fund, che ha riconosciuto le condizioni più disastrate dell’Italia rispetto ad altre nazioni (grazie all’euro!), concedendo proprio quell’iniezione di liquidità che avrebbe evitato l’attuale stato comatoso se si fosse provveduto a concederlo un anno fa, per bloccare sul nascere la rovina di tante aziende. Peraltro, non tutti i fondi saranno a titolo gratuito, ossia senza rimborsi, poiché una sostanziosa parte saranno prestiti a bassi interessi, ma comunque prestiti. Il che significa che l’attuale debito pubblico, salito vertiginosamente con l’emissione di titoli di Stato e poi dispersi per oltre 100 miliardi in rivoli senza produrre rimedi risolutivi, salirà ulteriormente e se ne chiederà la restituzione, deprimendo nuovamente l’economia. Quando sento invocare “la riduzione del debito pubblico” mi verrebbe da ridere, se non fosse che viene utilizzato a scopo di ricatto per tenerci sempre sotto il tallone bancario. Un tallone di cui Mario Draghi è sempre stato al servizio e, una volta al timone dell’Italia, potrà premerlo ancor più sul nostro collo. Prevedo che una sua priorità sarà l’eliminazione del contante, sotto le più nobili e ipocrite motivazioni. Se no, farà la fine di Conte. Qualcuno loda la moneta elettronica, per la presunta lotta all’evasione, non rendendosi conto che in tal modo la sua esistenza economica sarà appesa a un filo, anzi a un click su un PC del governo, che, se non sarà in regola con la galassia di adempimenti verso lo Stato e le banche, potrà privarlo di tutti i suoi soldi in un attimo. I grandi patrimoni nulla hanno a temere, in quanto avranno larghe riserve al sicuro nei vari paradisi fiscali; mentre i tapini che non vi hanno accesso resteranno nudi come vermi.
Intervista di Vox Italia all’economista Nino Galloni
Molto illuminante per quanto riguarda il passato di Draghi è l’intervista di Vox Italia all’economista Nino Galloni [VEDI], che, come Draghi, era stato allievo di Federico Caffè, professore di Politica economica e finanziaria all’Università di Roma, “il più keynesiano degli economisti italiani”, la cui misteriosa scomparsa nel nulla nel 1989 rimane tuttora un mistero, come lo fu per Ettore Majorana. Draghi era l’allievo più brillante di Caffè, che infatti affidò a lui la tesi di laurea più importante.
I percorsi accademici e orientativi di Galloni e Draghi furono condivisi per un lungo tratto; poi Draghi, come confidò Caffè a Galloni (“Draghi ci ha traditi”), cambiò radicalmente direzione, per avvicinarsi al mondo della grande finanza internazionale, la quale perorava le privatizzazioni, che pochi anni dopo (dal 1992), Draghi, asceso alla carica di Direttore Generale del Tesoro, attuò a profusione.
Ho trovato alquanto sorprendente la decisa affermazione di Galloni circa la divisione della finanza internazionale in un filone “pro-umano”, che tende a lasciare all’umanità qualche via d’uscita dal groviglio di problemi in cui si dibatte ormai da decenni, se non secoli, che Galloni esemplifica nelle agenzie di rating e nelle banche centrali, di contrapposto al filone “anti-umano” dei Rothschild, Rockefeller, Bill Gates, et sim., che puntano alla distruzione di buona parte dell’umanità in una Terra sovrappopolata. Quello che invece accomuna i due filoni è l’imprescindibilità della moneta a debito, strumento chiave per dominare su un’umanità asservita ai voleri dei padroni del denaro, grazie alla remissività di governi e parlamenti, corrotti con l’elargizione di vistosi privilegi a tutti i loro membri (cos’altro se non questi privilegi tengono per anni quei membri incollati alle poltrone pur di non rischiare una rielezione in caso di voto?).
Tirando le somme, l’ossatura basilare di questo sistema perverso è la moneta a debito, senza la quale le grandi famiglie della finanza transnazionale sarebbero degli inetti, incapaci di provvedere a se stessi, come gli aristocratici prima della rivoluzione francese o russa.
Il risvolto demografico e ambientale
Ma veniamo alla finanza “anti-umana”. Se seguiamo la stessa logica della natura, non c’è dubbio che il genere umano stia sempre più assumendo i contorni di un infestante nella misura in cui si oppone alla logica dei rapporti tra consumi e disponibilità di risorse che governano qualsiasi altro insediamento vivente, animale o vegetale. L’uomo si oppone alla vecchiaia, alle malattie, a un consumo proporzionato a ciò che il territorio è in grado di produrre senza eccessive forzature. La disciplina ecologica è una grande maestra di vita e insegna che chi vuole stravolgere gli equilibri naturali a suo esclusivo vantaggio e a detrimento di tutti gli altri esseri viventi, ha vita breve, e ciò proprio in proporzione agli sforzi che fa per averla il più agiata e lunga possibile.
Il Covid ha fornito l’occasione per suggerire, o imporre, trattamenti che l’etica avrebbe esclusi. La limitata capacità ospedaliera ha posto i medici, nei momenti di maggior affluenza di malati, al dilemma di dare o no la precedenza ai giovani rispetto agli anziani o a persone con gravi patologie. Nel contempo, ha posto il governo di fronte all’analogo dilemma di trovare il giusto bilanciamento tra diritto alla sopravvivenza e diritto alla dignità umana, fortemente lesa dalle costrizioni poste alla libertà sia di movimento che di esercitare il proprio lavoro, con tutte le conseguenze drammatiche che, quando tale libertà venga negata, ne derivano sotto i profili economico, sociale e psicologico.
L’articolo de La Stampa del 24/10/2020 titola: ”La Svizzera sceglie. Rianimazione negata agli anziani malati (di Coronavirus)”. La rivista ‘Giustizia Insieme’ parte da questa notizia per sviluppare un dibattito tra il filosofo Jürgen Habermas e il teorico del diritto Klaus Günther [VEDI].
Il punto nodale del dibattito verte su un principio che suona come un assioma: Nessun diritto fondamentale vale senza limiti. Quindi, c’è un limite anche al diritto alla vita, quando pregiudica gli altri diritti riguardanti sia la persona che la società nel suo insieme. Questa la domanda che io mi faccio, e tanti operatori economici con me: non abbiamo già superato, e di gran lunga, i limiti del diritto alla vita, calpestando senza pietà i diritti di esistere della società nel suo insieme, uccidendo il suo tessuto economico e produttivo? La mia risposta è SI.
E riallaccio questa mia risposta al termine “anti-umano” che Galloni ha usato riferendosi a quella parte di élite che preme per un ridimensionamento della popolazione umana sulla Terra, non più sufficiente ad ospitare un’umanità in vigoroso aumento sia come numero che come pretese di vita agiata.
Una domanda tanto scomoda quanto terribile, al pari della decisione svizzera di fronte all’insufficiente numero di letti. Il Coronavirus ha avuto senz’altro il merito di porci chiaramente e senza infingimenti questa domanda, che avevamo sinora rimosso. Anche se le occasioni di porcela, in contesti diversi, non sono mancate: è giusto che un paio di generazioni si arroghino la proprietà assoluta del pianeta, provocando, tra altri esiti, l’effetto serra, che minaccia, oltre gli umani dei climi aridi, tanta fauna (e flora), dai climi tropicali a quelli artici o montani, come la tigre o l’orango, l’orso polare o il leopardo delle nevi, e le stesse api, di cui è ancor più di immediata evidenza l’utilità per il nostro stesso genere? Continuando a vivere con lo stile di vita degli ultimi decenni, due generazioni hanno brutalmente decretato non solo l’estinzione di tanta parte del bioma esistente, ma addirittura il diritto alla vita e alla dignità delle stesse generazioni umane, soprattutto da quella giovanile e dalla senile incapiente di oggi, a tutte quelle future.
Marco Giacinto Pellifroni 14 febbraio 2021