Voler bene fa bene

L’importanza delle relazioni positive, simmetriche o complementari

Gli organismi viventi hanno una base comune sulla quale si sovrappongono stratificazioni proprie di ciascuna specie. L’uomo reagisce come un lombrico ad una stimolazione improvvisa: una reazione di ritiro che è parte del repertorio di sopravvivenza di ogni animale.  Repertorio affidato a sistemi di recezione e di risposta periferici organizzati o no in un sistema centralizzato, che nella forma più definita costituisce il cervello.  Nel quale, oltre alle centrali sensoriale e motoria, con l’infittirsi delle reti neurali si sviluppano sistemi di elaborazione di dati automatizzati o sotto controllo cosciente.

Ed è unanimemente riconosciuto che nell’uomo questi sistemi raggiungono una complessità tale da farne un animale sui generis. Agli antichi greci e romani era familiare l’idea dell’affinità o della contiguità dell’uomo con l’animale ma lo era anche lo iato che lo separa dalla bestia. Una bestia che per altro convive con lui e dentro di lui in una commistione che ci ricorda la nostra appartenenza alla natura ma ci deve anche mettere in guardia contro i pericoli e gli inconvenienti ai quali espone l’orizzonte cognitivo ed emozionale innato in un ambiente profondamente plasmato dalla cultura.  I mammiferi sono caratterizzati da una relazione simbiotica fra la madre e la prole dalla quale originano sentimenti di protezione e di aggressività finalizzati alla sua salvaguardia, con tutto il corollario di ansietà, timori, diffidenza oltre che dipendenza, calore, possesso, che si affinano nella vasta gamma delle emozioni propria dell’uomo. Nei rapporti interpersonali questa gamma emotivo-sentimentale ha un colorito positivo – amichevole, di apertura, simpatia – o negativo – ostile, di chiusura, antipatia – e di norma l’uno e l’altro sono calibrati sulla scorta di valutazioni di carattere cognitivo, conscio o no. Nel paranoico un circuito disfunzionale fra percezione della realtà e investimento di senso fa sì che il pericolo inesistente alimenti sospetti, rancori, aggressività.

È la radice dell’odio, del disprezzo, della derisione, che si traducono in una spirale perversa di sofferenza interiore, senso di isolamento, di esclusione, marginalità, incomprensione. Chi ne soffre si chiude in un’infelicità rancorosa dalla quale col passare del tempo diventa sempre più difficile uscire. Infatti quando prevale questo approccio emozionale negativo le relazioni con l’altro sono possibili solo in modalità complementare, se l’altro assume una posizione di sottomissione e si adatta al ruolo di vittima; l’alternativa è un non-rapporto simmetrico, un conflitto destinato ad alimentarsi fino a un punto di deflagrazione. È un esito esistenziale impiantato sui modelli corticali e subcorticali di risposta aggressiva non modulati sulle condizioni ambientali, responsabile di condotte disfunzionali fino al limite della sociofobia o della sociopatia. Per uscirne la strada maestra è quella di un crollo emotivo liberatorio seguito da un adeguato sostegno psicologico. Ma non è una strada che tutti sono in grado di percorrere. Il problema non è però solo individuale e non si risolve semplicemente con la marginalizzazione.

Per fortuna la cura e la difesa della prole non sono affidate solo all’attivazione delle strutture ipotalamiche e del tronco e alle loro proiezioni nella neocorteccia. Infatti la relazione madre-figlio comporta anzitutto attaccamento e contatto e il loro corrispettivo neurale e ormonale è rappresentato nel sistema limbico e nel rilascio di sostanze, come la dopamina, che entrano in gioco nell’innamoramento, nelle situazioni di euforia e più genericamente di positività. E, anche in questo caso, le pulsioni istintuali e le condotte riflesse trovano il loro corrispondente nell’investimento affettivo, che ha il suo primo oggetto nel bambino ma poi si differenzia e si irradia in tutto l’ambiente sociale. Positività che nelle relazioni con l’altro si esprime nell’attesa fiduciosa, nello spirito collaborativo, nelle relazioni simmetriche di amicizia e di amore e in quelle complementari di cura, disponibilità, empatia. L’altro non è una minaccia ma una risorsa, non è un rivale ma un alleato con cui stringere un patto e il paradigma dello stare insieme sono la solidarietà e il reciproco riconoscimento, non il calcolo e la convenienza.

Il destino di una società, la sua solidità e il suo benessere sono riposti nel rapporto fra questi atteggiamenti fondamentali: aggressività da una parte, mansuetudine dall’altra. E non intendo quella untuosa e imposta come dovere etico o religioso ma quella che nasce dalla sicurezza, dall’ottimismo, dalla razionalità. Quella che non soltanto consente il costituirsi di relazioni amicali, che sono importanti ma esauriscono la loro funzione nella sfera privata, ma è alla base del confronto fra le idee e, di conseguenza, della crescita culturale individuale e collettiva. Quando prevale, l’esistenza è una meravigliosa opportunità. Se però è il primo atteggiamento a prevalere perché il numero delle persone che ne sono portatrici supera la soglia entro la quale possono essere neutralizzate, allora, secondo l’antico mito, la Discordia entra nelle nostre case, la compagine sociale diventa un campo arido e irto di spine e l’esistenza un’affannosa difesa da attacchi provenienti da un universo ostile

Pierfranco Lisorini

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