Vivisezione: 7 domande al dottor Massimo Tettamanti

Vivisezione:

 sette domande al dottor Massimo Tettamanti, Chimico Ambientale, Consulente scientifico ATRA.

Vivisezione: 
sette domande al dottor Massimo Tettamanti, 
Chimico Ambientale, Consulente scientifico ATRA.
 

 Ricercatore da sempre impegnato sul fronte dell’alternativa scientifica alla sperimentazione animale. Fondatore del centro internazionale I-Care, completamente autofinanziato, e col quale ha sottratto attualmente più di 17mila animali (inclusi i cani beagle del laboratorio green hill) altrimenti destinati alla morte e alla tortura nei laboratori dei vivisettori. 

Nuccio Salis e Giovanna Rezzoagli Ganci, counselor professionisti impegnati sul fronte umanistico, gli hanno rivolto sette domande.

 1) Si sente dire spesso che la vivisezione non esiste più.  Si può essere d’accordo su questo assunto?

Indubbiamente no per tre motivi.

Il primo motivo è che non esiste nessuna legge che vieti la vivisezione.

Il secondo è che esistono ancora vari esperimenti dove vengono sezionati animali vivi.

Il terzo è una questione terminologica e, secondo la definizione data dal Dizionario Treccani.it: (http://www.treccani.it/enciclopedia/vivisezione/), per vivisezione si intende:”Vivisezione: atto operatorio su animali vivi, svegli o in anestesia totale o parziale, privo di finalità terapeutiche ma tendente a promuovere, attraverso il metodo sperimentale, lo sviluppo delle scienze biologiche, o a integrare l’attività didattica o l’addestramento a particolari tecniche chirurgiche, o, più raramente, a fornire responsi diagnostici. Con significato più estensivo, il concetto di v. può essere applicato a tutte quelle modalità di sperimentazione, non necessariamente cruente, che inducano lesioni o alterazioni anatomiche e funzionali (ed eventualmente la morte) negli animali di laboratorio.”

 

2)   Quali sono, concretamente, i metodi alternativi o sostitutivi fino ad ora validati, che hanno dato realmente risposte soddisfacenti sul piano dei risultati scientifici?

 Purtroppo una delle cose peggiori collegate alla vivisezione è che l’attuale sistema di validazione impedisce ogni possibilità di progresso tecnologico.

Ogni metodo scientifico che voglia sostituire l’uso di animali deve “per legge” dare gli stessi risultati che si ottengono con animali.

Il che è drammatico perché i metodi su animali risalgono all’800 mentre i nuovi metodi scientifici, come ad esempio co-colture di organi umani o simulatori metabolici, hanno quella che si dice una “rilevanza umana”.

Questo vuol dire che i metodi moderni che non fanno uso di animali forniscono risultati sovrapponibili a quelli che si ottengono nell’uomo. Ma, e questo è come detto drammatico, per essere legalmente validati devono dare risultati sovrapponibili a quelli che si ottengono sugli animali.

         3)   In cosa consiste il progetto di I-Care denominato “Italia Senza Vivisezione”?

Questo progetto rappresenta un passo avanti rispetto alle strategie adottate finora perché punta al cuore del problema: i soldi. Obiettivo principale del progetto è quello di spostare i finanziamenti verso la ricerca senza animali o comunque impedire ulteriori finanziamenti alla vivisezione. Togliamo i soldi ai vivisettori e avremo raggiunto un fondamentale obiettivo. E’ vero che l’Italia non può abolire legalmente la vivisezione ma è altrettanto vero che NON è obbligata a finanziarla. Anzi, i principi delle normative affermano che i metodi senza animali sono da preferire a quelli con animali. Ma allora perché i soldi vanno alla vivisezione? Perché circa il 70% della vivisezione in Italia è finanziata con i nostri soldi? È evidente che qualcosa non funziona e che realtà tecnologicamente arretrate riescano ancora, dopo un secolo, ad intercettare i finanziamenti.Per coerenza con i principi delle normative, indubbiamente condivisi dall’opinione pubblica, è arrivata l’ora di dare priorità nei finanziamenti a metodi tecnologici moderni e non più all’ottocentesca vivisezione.

        4)   Cosa è cambiato, in questi anni, in materia di vivisezione, in Italia?

 Tanto.

In questo momento storico l’Italia è osservata dal resto del mondo per le molteplici vittorie ottenute contro la vivisezione. Il caso Green Hill, il sequestro del laboratorio illegale a Mirandola, le sperimentazioni bloccate da I-CARE, il blocco delle importazioni dei macachi da parte di Harlan, la cessione dei cani beagle da parte di Menarini, il presidio da record contro Aptuit/Glaxo, il numero di animali recuperati dai laboratori italiani che ha superato quota 17.000, la creazione di rifugi specializzati in riabilitazione di questi animali, sono tra i principali motivi che rendono oggi concepibile in Italia un salto di qualità.

Inoltre il recente decreto legislativo ha portato al divieto dell’uso di animali a scopo bellico e per sperimentazioni didattiche.

 

5)   L’obiezione alla sperimentazione animale non è più dovuta soltanto a un fenomeno di “sentimentalismo animalista”, ma sono ormai numerose le personalità del mondo scientifico medico (biologi, veterinari, ricercatori ecc.) che contestano la fallacia di questo metodo. Cosa c’è di sbagliato sul piano scientifico?

Riporto la sintesi di due recenti articoli che spiegano chiaramente la fallacia del modello animale.

– Nel 2012 uno studio condotto da 15 cliniche statunitensi e 2 canadesi arriva a concludere che, rispetto alle risposte genetiche che avvengono nell’uomo, gli studi sui topi forniscono informazioni completamente casuali [www.pnas.org/cgi/doi/10.1073/pnas.1222878110]

– Nel 2012 sono stati presentati i risultati di studi di confronto tra dati ottenuti su uomo e dati su animali e gli autori arrivano ad affermare che non sia rilevante inserire dati ottenuti con animali negli studi prospettici di farmacovigilanza [Regulatory Toxicology and Pharmacology 64 (2012) 345–349].

           6)   Avrà un epilogo, secondo lei, questa pratica tutt’ora diffusa e obbligatoria?

Si, ma sarà sempre troppo tardi.

7)   Quanto incide l’influenza delle grandi multinazionali del farmaco, sulla permanenza dell’uso di animali “da laboratorio?”

 

Gli animali più usati per scopi sperimentali sono sicuramente i roditori: topi, ratti e cavie. Sono piccoli, facilmente gestibili, costano poco e la loro durata di vita di due-tre anni è sufficientemente breve da permettere rapidi studi di cancerogenesi.

Citando alcune delle sostanze chimiche più famose, il benzolo e l’arsenico, cancerogeni per l’uomo, non lo sono per i roditori che vengono normalmente utilizzati per questo tipo di test. Allo stesso modo, la naftilamina, cancerogena per la vescica urinaria umana, non provoca nessun tipo di cancro nel topo.

Una ricerca, partita dall’Università di Manitoba, a Winnipeg ha messo in evidenza che molti antistaminici e alcuni antidepressivi (fluoxetina, amitriptilina, ecc…) provocano il cancro ai topi.

Le aziende produttrici hanno replicato che i loro laboratori possono dimostrare l’innocuità delle sostanze incriminate.

Quindi, in alcuni laboratori, gli studi su animali hanno dimostrato la pericolosità di molte sostanze; in altri laboratori, gli studi su animali hanno dimostrato l’innocuità delle stesse sostanze.

Ciascuno può ottenere il risultato che preferisce, che più fa comodo.

Nel 1992, dopo essere stata denunciata, l’Agenzia di Protezione dell’Ambiente Statunitense (EPA) usò i test su animali per difendersi e garantire la sicurezza di pesticidi in prodotti alimentari.


L’anno successivo, cambiata evidentemente la linea politica, l’EPA produsse una lista di pesticidi, tra i quali quelli per cui era stata denunciata, che avrebbero dovuto essere ritirati dal mercato in quanto cancerogeni per gli animali da laboratorio.

L’unica spiegazione a questa palese contraddizione è la possibilità dell’EPA di disporre di vari dati su animali, contraddittori fra di loro, e la decisione di scegliere, in funzione della situazione, i dati più utili.

Questo esempio, come molti altri, testimonia il vero e reale motivo per cui si continuano a utilizzare gli esperimenti su animali: la possibilità di dimostrare qualsiasi ipotesi.

Se si vuol dimostrare che una sostanza è innocua, è possibile farlo usando gli animali.

Se si vuol dimostrare che la stessa sostanza è tossica, è possibile farlo usando altri animali o altre condizioni di esperimento.

Non è solo la scelta della specie animale infatti che permette di ottenere il risultato voluto: la sperimentazione su animali è una pratica talmente poco controllabile che, anche utilizzando esclusivamente i ratti, gli animali più usati in assoluto, è possibile modificare leggermente le condizioni sperimentali e ottenere risultati completamente variabili.


Nel 1981, sempre il prof. Zbinden pubblicò un articolo, diventato subito famosissimo, in cui criticava pesantemente questa metodologia, dimostrando che i risultati che si ottengono dagli animali dipendono, oltre che dalla specie animale utilizzata, anche dalle condizioni in cui viene effettuato l’esperimento: dal ceppo, dal sesso, dall’età, dalle condizioni di stabulazione, dall’alimentazione, dal rumore, dallo stress dell’animale, ecc.

La prova definitiva della truffa vivisettoria è la seguente: mentre i tossicologi continuano a sostenere che roditori e uomini sono così simili da permettere l’utilizzo di questi animali per testare le sostanze chimiche che verranno a contatto con l’uomo, i produttori di rodenticidi assicurano che i roditori sono così diversi dall’uomo (e dai suoi animali d’affezione) da offrire la possibilità di preparare veleni altamente specifici.

Tramite la sperimentazione sugli animali è possibile ottenere qualsiasi risultato si desideri ottenere.

La sperimentazione su animali non solo non è una metodologia scientifica: è l’esatto opposto della scienza.

Da ciò che si può evincere leggendo questa intervista, appare chiaro che il tema legato alla vivisezione o, come amano definirla con un termine edulcorato i fautori di questa pratica “Sperimentazione Animale”, è complesso e variegato. Gioco facile hanno coloro che hanno interessi (economici) al far passare un messaggio fuorviante e distorto a coloro che non hanno una preparazione specifica al riguardo. Non è “solo” un tema etico, ma anche di sicurezza per l’essere umano. Il Dott. Tettamanti parla chiaro: “Tramite la sperimentazione sugli animali è possibile ottenere qualsiasi risultato”. Non è il camice o il titolo a fornire sicurezza al cittadino, è l’informazione. Chiedetevi come mai è così osteggiata la divulgazione scientifica anti vivisezione.

Dott. Nuccio Salis, Counselor e Pedagogista

Giovanna Rezzoagli Ganci, Counselor.

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.