Viva l’anarchia
Viva l’anarchia
Il fallimento delle élites e il governo dei peggiori
È ragionevole ritenere che il modello originario di organizzazione sociale presupponga l’uguaglianza assoluta dei suoi membri. Si presentava nella sua forma elementare fra gli indiani del Nord America governati dal consiglio degli anziani ed è lo stesso che si rispecchia nella polis greca e nella res publica romana. In queste, e soprattutto nella seconda, rimane il nucleo di un sistema complesso, che si evidenzia nella coscienza soggettiva del polites- civis di essere detentore della sovranità, nemmeno sfiorato dall’idea di contare meno di chi si trova a ricoprire le massime cariche dello Stato. La divisione dei compiti imposta dalla complessità del sistema finisce per assegnare il potere decisionale ai più adatti fino a intaccare quel nucleo col tarlo della disuguaglianza.
Per secoli le cosiddette civiltà sono state rette da regimi oligarchici. Mentre la grande maggioranza della popolazione era impegnata a produrre ricchezza nei campi e negli insediamenti urbani un’élite più o meno ristretta provvedeva a garantire ordine e sicurezza e alla sua distribuzione. E, per quanto la cultura possa forzare e distorcere la natura, l’efficacia e l’efficienza dei sistemi presupponevano una selezione all’origine, una ripartizione dei compiti in forza della quale quell’élite era veramente tale sotto il profilo intellettivo e cognitivo e proprio per questo era liberata dalla servitù del lavoro. L’energia che metteva in moto la macchina della produzione era prevalentemente muscolare cosicché una buona parte dei membri dell’organismo sociale esauriva la sua funzione nella forza lavoro, che non necessita di una capacità di discernimento individuale ma di una applicazione collettiva eterodiretta. Al bracciante non si richiedeva che sapesse quello che faceva ma che fosse in buona salute e in grado di reggere la fatica. Curiosità, “pulsione esplorativa”, problem solving, potevano essere solo ostacoli per la sua resa energetica.
L’equilibrio interno di quei sistemi comporta due direzioni di sviluppo. La prima è la progressiva brutalizzazione della forza lavoro, l’istupidimento di massa e la perdita di tecnologia. La società, quale che fosse il suo punto di partenza, tende a impoverirsi fino al punto che perde ogni utilità economica e si disfa. La seconda è quella resa possibile da un aumento delle risorse oltre la soglia della sopravvivenza che libera energie dislocandole in attività che a loro volta producono ulteriore ricchezza dando luogo a una spirale virtuosa che ridistribuisce competenze cognitive e intelligenza.
In tutti e due i casi appare evidente che col tempo le élites perdono la loro funzione e che i sistemi organizzativi gerarchizzati non possono durare all’infinito. L’idea di un’umanità che corre verso l’anonimato del consumo sotto lo sguardo indifferente di nuove divinità che l’osservano dall’alto è priva di fondamento e serve solo a vellicare la vanità delle nuove borghesie frutto della globalizzazione che aspirano a farne parte. Nello stato attuale assistiamo ad un apparente appiattimento, preconizzato dal Mass Mensch di Ernst Toller e temuto da Ortega y Gasset, che nasconde la fine della corrispondenza fra ricchezza, potere decisionale, intelligenza, autorità e autorevolezza . Viviamo in sistemi disfunzionali in cui permangono gerarchie che non solo sono ormai prive di senso ma rappresentano un ostacolo al dinamismo interno dei sistemi sociali. Dietro il mito dell’uomo massa e nonostante l’incremento abnorme della popolazione mondiale ogni singolo individuo rimane in misura più meno consapevole una monade in cui è rappresentato l’universo. Questa consapevolezza della civiltà umana è diffusa in modo uniforme in tutti gli strati sociali in indipendentemente dalle posizioni di potere e dal possesso di beni ma la capacità decisionale è scollegata rispetto al potere decisionale, in contrasto col principio di funzionalità che porta alla costituzione delle élites.

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Accade così che l’esistenza di un singolo individuo perfettamente in grado di organizzare il suo cammino e quello degli altri si trova ad essere condizionata da un altro individuo con risorse di gran lunga inferiori. Per rendere icasticamente evidente il paradosso dell’attuale congiuntura possiamo ricorrere ad esempi concreti. Un imprenditore lungimirante deve fare i conti con una persona come Lollobrigida che ad essere generosi potrebbe essere un suo dipendente di basso livello. Se poi si assume una prospettiva più ampia ci si scontra con assurdità che solo il servilismo degli “intellettuali” cerca di rendere sopportabili: consentiamo a una signora tedesca che palesemente non vale una donnetta presa a caso al mercato del pesce di esprimere pareri e prendere decisioni che possono sconvolgere la vita di tutti noi in combutta con uno che per qualità morali intelligenza e cultura trova maggiore corrispondenza nelle carceri o negli ospedali psichiatrici che nella media della società civile. Si fa passare per normale ma non è per niente normale che il capo del governo di un micro Stato fantoccio come la Lituania – che solo nel nome rievoca un’epoca di grandi assestamenti dell’Europa medioevale – metta a repentaglio con le sue farneticazioni belliciste la nostra vita o che una persona obbiettivamente pericolosa come la signora Kallas abbia qualche potere nel decidere i destini dell’Europa.
Quando l’ultimo dei fantaccini è più capace del comandante abbiamo un problema; se il mio amico che lavora per una ditta di pulizia sui treni è più intelligente e più documentato di Giorgia Meloni abbiamo un problema; se siamo costretti a sperare nel salvatore Donald Trump abbiamo un problema. Le élites non funzionano più; ha ragione Vannacci: questo è il mondo al contrario ed è tale perché è finito nelle mani di una minoranza di imbecilli (absit iniuria verbo). A una cantante si chiede orecchio musicale e una voce gradevole, poi può pensare e dire le peggiori scemenze. Ma se quelle scemenze ci vengono propinate dai media come opinioni autorevoli questo è un grosso problema. Il sistema così non può funzionare e per rimetterlo in sesto non basta intervenire sulla qualità delle élites attraverso una scuola selettiva e meritocratica. Non funziona così: la natura, per quanto forzata dalla cultura, punta verso il loro superamento, comunque esse vengano formate. L’utopia anarchica, interpretata spesso da individui spregevoli, aveva un fondo di verità, come un fondo di verità aveva l’utopia del visionario Grillo: “uno vale uno”. Il futuro è un nuovo umanesimo centrato sul singolo, il recupero di una sovranità non più astratta ma concreta e operante, in cui il basso e l’alto, la base e il vertice tornano a coincidere e la ragione prende il posto che le compete nella sala di comando. Il cerchio si chiude: torniamo all’origine della politeia e della civitas,quando, pur nella disuguaglianza delle fortune, il civis-polítes continuava a godere di piena sovranità anche dopo aver investito di auctoritas un suo pari; quando sarebbe stato inconcepibile che un minus habenstenesse nelle sue mani le leve del potere o che un capo perseguisse i suoi interessi invece di quelli della comunità. Tornare alle origini per conquistare il futuro, dopo aver toccato il fondo. Ammesso che ci sia un futuro.
P.s.
Ne stiamo vedendo e sentendo di tutte, tutti i giorni a tutte le ore. Mentre scrivo sento le parole di certa Farruggia, che parla come esperta di politica internazionale da Rai News 24. Commenta le telefonate fra Trump e Putin sull’ipotesi di un accordo che metta fine al conflitto in Ucraina: “Una cattiva notizia”, dice . E rimani senza parole. In altri tempi si sarebbe detto: ma questa chi l’ha sciolta? Bene, è espressione dell’accademia italiana. Fa il paio col corrispondente da Washington che pochi minuti dopo sulla stessa emittente e a proposito dello stesso conflitto parla di “milioni di morti”. Ho dovuto chiedere conferma a mia moglie: sono io che capisco male o ha detto veramente “milioni”? Incredibile.
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