Usque ad mortem supervivere. La fine di Elly Schlein e la brutalità della sinistra: lotta di potere senza pietà
Usque ad mortem supervivere
La fine di Elly Schlein e la brutalità della sinistra: lotta di potere senza pietà
“Usque ad mortem supervivere”, letteralmente “sopravvivere fino alla morte”, è un’espressione che porta con sé una cupa ironia, una condanna implicita che risuona perfettamente nelle ultime convulse e tragiche ore della leadership di Elly Schlein nel Partito Democratico. La frase, nella sua apparente contraddizione, esprime la lotta disperata di chi, pur essendo condannato, continua a muoversi e a combattere, non per vincere, ma per ritardare l’inevitabile. Schlein, come un condannato al patibolo, non si arrende, ma la sua sopravvivenza politica sembra sempre più simile a un accanimento inutile, a un’agonia prolungata da un partito che ormai la considera un peso da scaricare.

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Una resa dei conti sanguinaria
Il Partito Democratico, lungi dall’essere una comunità coesa, si conferma ancora una volta una giungla dove la legge della sopravvivenza è l’unica regola riconosciuta. Schlein è finita nel tritacarne, stretta tra l’ostilità della minoranza interna e la ribellione degli eurodeputati che l’hanno sfiduciata con il voto sul ReArm Europe Plan. Il suo stesso partito la sta accerchiando come un branco di lupi affamati, pronti a scannarsi tra loro pur di conquistare il comando.
La segretaria del Pd ha provato a resistere, minacciando il congresso come arma di ricatto, suggerendo che, in caso di sfida aperta, la base la riconfermerebbe con un plebiscito. Ma è davvero così? L’illusione di essere invincibile si sta scontrando con una realtà spietata: la sua leadership, fondata su un fragile equilibrio di correnti e compromessi, sta crollando sotto i colpi dei suoi stessi compagni di partito.
L’ipocrisia della sinistra: nessuna etica, nessuna misericordia
Nella sinistra italiana, non c’è spazio per la compassione o per la lealtà. Ogni leader è utile fino a quando serve a qualcuno, poi diventa un problema da eliminare. La parabola di Schlein è solo l’ennesima riproposizione di una regola non scritta: chi cade non trova mani tese, ma solo coltelli pronti a finire il lavoro.
I “compagni” che fino a ieri la osannavano ora la guardano con sospetto, si muovono nell’ombra, aspettano il momento giusto per infliggerle il colpo finale. I nomi dei possibili successori – Pina Picierno, Antonio Decaro – cominciano già a circolare come avvoltoi attorno a una carcassa ancora calda. Non si tratta di politica, ma di un regolamento di conti, una guerra intestina dove non si fanno prigionieri.
La fine di un’illusione
Schlein ha incarnato per un momento la speranza di un Pd diverso, più radicale, più vicino ai giovani, ai movimenti sociali, alla sinistra americana. Ma quella speranza si è scontrata con la realtà di un partito che non cambia, che non perdona gli errori, che è pronto a sacrificare chiunque pur di preservare se stesso.
Nel giro di pochi mesi, la sua ascesa trionfale si è trasformata in un suicidio politico. Non ha saputo gestire la fronda interna, non ha saputo tenere unito il partito, non ha capito che la politica, in certi ambienti, non è una questione di ideali, ma di pura e semplice sopravvivenza. E così, mentre cerca disperatamente di supervivere, la sua fine è già scritta.
Il boia sta solo aspettando di calare la lama.