U.N.P. 8 ULTIMO EPISODIO
U.N.P. 8 ULTIMO EPISODIO:
“LA FINE”
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U.N.P. 8 ULTIMO EPISODIO: “LA FINE”
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L’occhialuto ingegnere informatico Aurelio Delfino osservava irato il prototipo guasto del rivoluzionario e potentissimo computer quantico da lui realizzato. Ne era stato assai orgoglioso, ma solo prima che andasse in corto circuito uccidendo due suoi amici, Ezio Torregiani e Moreno Piacenza, mentre erano collegati per provare un innovativo programma di realtà virtuali, prima applicazione pratica del progetto. |
Lui aveva tentato di ripararlo, ma non era neanche riuscito a spegnerlo. Il programma, che permetteva ai navigatori di rivivere trame di romanzi e di racconti, non facendogliele soltanto ripercorrere pedissequamente, bensì permettendo loro di interagire coi personaggi fino al punto di mutarne le vicende, balzava senza pause da una storia all’altra, riproducendole però accelerate in maniera vertiginosa. In precedenza aveva riconosciuto un classico della sf e poi la famosa trilogia noir marsigliese scritta da Jean-Claude Izzo, con le avventure del poliziotto di origine italiana Montale, in svolgimento nonostante l’assenza di visitatori. Aveva seguito per un poco le situazioni tratte da “Casino Totale”, il primo romanzo della serie. In particolare aveva riconosciuto una violenta scazzottata prevista dalla trama, ma siccome dalle immagini si capiva poco, ben presto aveva lasciato perdere. Adesso tornò a guardare lo schermo e distinse l’inconfondibile abito rosso e blu dell’Uomo Ragno. Il supereroe era impegnato in frenetiche evoluzioni in mezzo ai palazzi newyorkesi, combattendo un supercriminale. Qualche attimo dopo – benché nella simulazione dovesse essere trascorso parecchio tempo – venne sostituito da un giovanotto, disteso immobile su un letto d’ospedale. Aveva presente la storia, era in funzione la simulazione, ampliata ed rielaborata a fini spettacolari, di “Una vita incredibile”, una malinconica, brillante rivisitazione del noto personaggio Marvel, firmata sul web con lo pseudonimo di Starsky. Strano, pensò Aurelio mentre l’inquadratura si soffermava sul volto dell’ospedalizzato, permettendogli finalmente di distinguerlo, assomiglia a Moreno. Trovava il fatto curioso, anche perché durante la battaglia tra Spider Man e l’Uomo Sabbia gli era parso di riscontrare somiglianze tra quest’ultimo ed Ezio. A quanto pareva non riusciva proprio ad accettarne la scomparsa. Ma ormai quei poveretti non c’erano più e doveva farsene una ragione. Diede quindi un’occhiata all’orologio e alla batteria d’emergenza, che segnalava ancora cinquanta minuti di carica. Staccare la spina era stata l’unica maniera per spegnere il computer. Non aveva nulla di meglio da fare, quindi tanto valeva trascorrere l’attesa lì. Riportò lo sguardo sullo schermo. Ora scorgeva un infermiere in piedi davanti al letto e non aveva pure lui l’aspetto di Ezio? Sta a vedere che la disfunzione fa credere al programma che Torregiani e Piacenza stanno ancora navigando. Ci meditò sopra qualche istante. Beh, in effetti questo avrebbe spiegato perché il programma non si chiudeva. Proprio in quel momento la trama giunse alla sua naturale conclusione e come al solito si passò automaticamente, a random, a un altro episodio. Ma quale? Si domandò Aurelio. Ah, sì, è Il… *** Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l’esercito di Francia. Carlomagno doveva passare in rivista i paladini. I cavalieri sostavano a migliaia, in attesa su di un immenso campo di papaveri. Indossavano pesanti armature e portavano scudi, lance ed enormi spadoni o mazze ferrate. I volti erano nascosti dalle celate. Pomposi pennacchi sormontavano i copricapo di cavalli e cavalieri e vivaci stemmi spiccavano su gualdrappe e vesti. In quel caldo pomeriggio di prima estate il sole faceva capolino da sotto le nuvole e gli uomini, in attesa all’interno delle armature da oltre tre ore, bollivano per il calore infernale. Dietro a loro sostavano le truppe appiedate, dietro ancora, a ridosso delle mura, c’erano gli attendamenti per chi non aveva trovato posto in città. Ezio Torregiani e Moreno Piacenza, ufficialmente defunti nel mondo reale ma con le coscienze ben vive intrappolate nell’hard disk del pc quantico, facevano parte della schiera dei paladini. Dopo aver abbandonato le avventure dell’Uomo Ragno, si erano direttamente materializzati in sella ai cavalli, sul prato di papaveri. Un errore dei programmatori o dell’autore del libro, quest’ultimo, sospettava Moreno, insegnante di scienze. Aveva qualche dubbio, infatti, che a latitudini così settentrionali i rosolacci crescessero ancora. Ma a parte quell’inezia, pur sapendo entrambi di vivere come avatar in una realtà virtuale, trovavano come al solito la scena assolutamente autentica. Veri loro e veri i cavalli alla cui groppa erano aggrappati. Veri gli altri guerrieri e vere le armi e le corazze. Vere le fortificazioni parigine e veri, verissimi l’erba e i fiori, siappure fuori posto, calpestati dagli zoccoli. Il problema semmai era lo stress, sempre più intenso a ogni cambio di storia, che li stordiva per ore. Sopraggiungeva intanto, alto e barbuto, il grande sovrano. Fermava il purosangue dinanzi a ogni pari del regno e lo interpellava, chiedendogli chi fosse, quante forze avesse con sé, quali successi avesse riportato e scambiando poi due parole con lui. “Sono Ulivieri di Vienna, sire! Tremila cavalieri scelti, settemila la truppa, venti macchine da assedio. Vincitore del pagano Fierabraccia, per grazia di Dio e gloria di Carlo re dei Franchi.” “Bernardo di Mompolier, sire! Vincitore di Brunamonte e Galiferno.” E su la celata a mostrare il volto. Ezio e Moreno osservavano la scena perplessi. Che rivivevano le imprese di Carlo Magno e dei paladini di Francia l’avevano capito, ma tratte da quale testo? “L’Orlando furioso” dell’Ariosto, forse? O magari “L’Orlando innamorato” del Boiardo? In effetti un Orlando in quell’esercito era presente. Tuttavia, a parte il fatto che i personaggi gli parevano tutti un po’ troppo grotteschi, non avevano mai sentito dire che i musulmani fossero giunti addirittura alle porte di Parigi. Beh, potevano anche sbagliare loro, naturalmente, dopotutto non conoscevano con accuratezza né il periodo storico in esame né i relativi poemi, però il prode Orlando era di sicuro perito ben lungi da lì e precisamente a Roncisvalle, sui Pirenei. E poi quello schieramento di forze era esagerato. Ogni condottiero, e ce n’erano parecchi, dichiarava un numero variabile tra tremila e ottomila cavalieri al seguito e almeno altrettanti soldati. Assommati formavano un esercito enorme, almeno per il periodo storico. Se nella realtà ve ne fossero stati così tanti, i mori sarebbero stati spazzati via in cinque minuti. Dopo ore di attesa Carlo Magno stava intanto avvicinandosi al loro cospetto. Non potevano restare in silenzio dinanzi a lui, ma non sapevano cosa dire e neppure avevano idea precisa di quanti uomini avessero al seguito – in proposito Moreno aveva chiesto a un sottoposto, ma questi lo ignorava quanto loro – e poi, per quanto ridicolo fosse, il pensiero dell’imminente incontro con il mitico personaggio li rendeva nervosi. Volenti o nolenti finivano sempre per lasciarsi catturare da ogni nuova avventura, pur riconoscendone la falsità. Il sovrano giunse finalmente alla presenza di Ezio e gli rivolse la parola. “E chi siete voi, paladino di Francia? Non rammento il vostro stemma.” Ezio sollevò la visiera e disse: “Sì, io sono… Ezio di Savona, del finalese e della Val Bormida, mio sire, con al seguito duemilacinquecento cavalieri e cinquemila fanti, compresi i servizi, e ho sconfitto Saddam Ussein, il pirata saraceno.” “Savona?” – Rispose il monarca – “In terra di Liguria, se non erro? Sono lieto di vedere anche gli eroici difensori di quella landa. Avete subito numerose perdite ultimamente, peccato.” A Ezio occorse qualche istante per capire che il futuro imperatore si era aspettato un maggior numero di uomini e perciò dava per scontato che avessero subito tanti lutti. “Ah sì, ecco, sono caduti per la gloria del loro re.” “Da prodi quali erano e quali siete voi.” Il re, soddisfatto, si portò quindi innanzi all’uomo d’arme successivo. “E chi siete voi, mio glorioso campione?” “Io sono Moreno del ducato di Piacenza e Cremona e… uh… vincitore del feroce, uhm, Osama Bin Laden e conduco con me quattromila cavalieri, seimila fanti e duemila servitori, mio sire.” “Ah, Piacenza, ch’io strappai a quei pusillanimi di longobardi ed è ora tra le mie più fedeli città.” Ciò detto Carlo Magno procedette avanti. “Comunque mi piaceva di più essere l’Uomo Sabbia, quella sì che era una figata.” Commentò Ezio, a bassa voce. “Beh, però magari ci divertiremo, combattendo i mori in singolar tenzone.” Rispose l’amico. Continuando a passare in rivista gli uomini, il monarca giunse all’ultimo della fila, un imponente cavaliere che indossava un’armatura completamente bianca, a parte una righina nera ai bordi, e un pennacchio multicolore. Questi si presentò con un nome lunghissimo, di cui da lontano si capì solo una parte: Agilulfo Emo dei Guildiverni. E quando infine si decise, ripetutamente sollecitato da sua maestà, a sollevare la celata, rivelò che al suo interno non c’era nulla. La sua armatura era completamente vuota! “Oh merda, cos’è, un fantasma? Questo allora deve essere un romanzo fantasy, dove possono verificarsi tutte le pazzie e apparire maghi, draghi, orchi… Non mi piace.” Si lamentò Ezio. “Non so se è proprio un fantasy, a dire il vero. Anche se l’ho letto da adolescente ora lo riconosco. È “Il cavaliere inesistente” di Italo Calvino.” Rispose Moreno, con un pallido sorriso. Le trombe intanto suonarono il rompete le righe. Il giorno dopo si sarebbe combattuto, ma per qualche ora ci si poteva rilassare. Ognuno si dedicò alle proprie faccende, mentre il candido cavaliere si aggirava instancabile per il campo, continuando a indossare l’armatura e unendosi ai capannelli senza mai partecipare alle conversazioni e mettendo a disagio i colleghi. Quanto tempo sarà trascorso da quando siamo qui? Si chiedeva intanto Ezio. Starà bene il bambino? E mia moglie? Mia madre? Sentiva la sua passata esistenza sempre più lontana e non sapeva se esserne contento o infelice. Decise quindi di consolarsi provando ad appartarsi con una donzella parigina, per scoprire se anche le gioie del sesso erano ricreate in maniera soddisfacente. L’inattività dava modo di meditare anche a Moreno. Negli ultimi tempi non aveva rivolto molti pensieri a Rosanna, la sua fidanzata, perché quella sua folle esistenza virtuale era stata talmente frenetica da non dargliene tempo e soprattutto perché aveva troppa paura di non rivederla più, per approfondire. Ormai però era talmente abbattuto da anteporre il desiderio di abbracciare la donna a ogni altra questione. La separazione forzata gli aveva fatto capire quanto la amava e il pensiero che soffrisse lo addolorava. Cosa starà facendo, adesso? Si chiese, inconsolabile. Sarà in pena per me? Gli mancavano inoltre gli alunni. Dopotutto la sua professione gli piaceva. Chissà se le scuole saranno riprese? Si chiese immalinconito. Non riesco neppure a distinguere con certezza lo scorrere del tempo. Mi manca tutto il mio mondo, accidenti. Riusciremo mai a tornare all’esistenza reale? Gli sembrava che fosse passato davvero troppo tempo e cominciava a perdere la speranza. Ormai avrebbero ben dovuto averli salvati, no? Perché invece non succede nulla? Si chiedeva. Perché continuiamo a essere prigionieri della realtà virtuale? E se le nostre menti sono finite qui, cosa ne sarà stato dei nostri corpi? Forse non possono far niente per noi? È questa la verità? Ma in tal caso non sarebbe meglio se le nostre coscienze venissero cancellate per sempre, anziché essere costretti a sopravvivere per l’eternità in questo modo insensato? Non lo so, dannazione, proprio non lo so. Alla fine si ritirò nella propria tenda, ad attendere, sconsolato, l’alba e pianse per buona parte della notte. Il giorno dopo l’esercito si mise in movimento. Lungo il cammino incrociarono un gruppo di anatre starnazzanti e tra esse un mentecatto che, non discernendo la propria condizione umana, si era convinto di essere anch’egli un’anatra, tentando perfino di alzarsi in volo. Poi, portatosi presso lo stagno verso cui i pennuti si erano diretti, scambiò se stesso per uno dei pesciolini d’acqua dolce che lo abitavano e cominciò a nuotare e a boccheggiare come un essere branchiato. Agilulfo lo notò e lo volle con sé come scudiero. Insieme facevano una bella coppia: l’uno pur essendoci non si rendeva conto di esistere, l’altro pur sapendo di esistere non c’era. “Non trovi che quei due sembrano simboleggiare la nostra condizione?” – Disse Ezio – “Anche noi siamo come il bianco cavaliere: sappiamo di esserci ma in realtà non ci siamo, perché i nostri corpi sono altrove e tutto ciò che vediamo è irreale.” “Già” – rispose Moreno – “e siamo condannati come quell’indigeno a cambiare continuamente vesti, con personalità sempre diverse e sconosciute di cui il più delle volte non sappiamo nulla.” Giunsero infine dinanzi all’esercito nemico e si schierarono. E all’improvviso un acuto e possente biiip, proveniente da ovunque e da nessun luogo, sovrastò per qualche momento ogni altro suono e rumore. I due si guardarono attorno, sbigottiti. Cosa poteva significare? Ma non c’era tempo per pensarci. Gli eserciti stavano entrando in contatto: era tempo di combattere. *** Aurelio aveva osservato l’evolversi della trama. Non che ci si capisse molto, guardando sul maxischermo quelle immagini troppo veloci. Carlo Magno – sapeva che il personaggio al centro della prima scena doveva essere Carlo Magno – pareva spostarsi freneticamente da un paladino all’altro dell’imponente esercito. Poi al campo era trascorsa in un battibaleno un’intera nottata e il mattino successivo era stato occupato con l’avanzata dell’esercito. A suo tempo si era molto divertito a realizzare quel capitolo, uno dei pochi da lui curati di persona. Nella poltrona di fianco alla sua ora sedeva Rosanna Cremona, la quale seguiva le scene addolorata. Rosanna, insegnante di lettere nella stessa scuola di Moreno, era innamorata di lui fin da quando erano entrambi giunti nell’istituto e ben presto ci si era fidanzata. Niente più matrimonio per loro, però e la giovane non se ne faceva una ragione, trovando una morte così davvero troppo ingiusta. Mezz’ora prima aveva telefonato ad Aurelio. I Delfino erano stati gli ultimi a vedere Moreno vivo e desiderava sapere tutto ciò che ricordavano dell’incontro. Aurelio gli aveva riferito il curioso fenomeno verificatosi sul computer, lei aveva insistito per venire a vedere e si era precipitata. Erano venti minuti ormai che i due parlavano e osservavano. Rosanna avrebbe dato qualsiasi cosa per rallentare le immagini e guardarlo bene per un ultima volta, prima della fine. Poi giunse il cicalino che annunciava l’esaurimento della batteria. Se entro dieci minuti gli ipotetici navigatori non fossero usciti dal programma chiudendo la sessione, tutto ciò che non era stato salvato sarebbe andato perso. Alleluia! Pensò Aurelio, stufo marcio. Erano trascorsi altri nove sanguinosi minuti effettivi e la battaglia era appena terminata, quando i due spettatori videro un personaggio sollevare la visiera. Il suo volto occupò lo schermo per un solo secondo, ma fu sufficiente per distinguere bene Moreno Piacenza. Vedendone l’espressione stanca e sconvolta, in apparenza assolutamente reale, Rosanna fu colta da un dubbio improvviso: e se non fosse solo il suo avatar? Se in qualche misteriosa maniera la mente, la coscienza del suo amore si fosse invece trasferita dentro l’avatar che ne rappresenta le fattezze e vi sopravvivesse? Agitata, riferì il pensiero ad Aurelio. “Ma no, questo è inverosimile. Il programma è molto accurato nell’interpretare le emozioni degli avatar, tutto qui.” Rispose lui. “Eppure la sua espressione era così umana, perché il programma dovrebbe continuare a ricostruirla tanto autentica se lì dentro non c’è più nessuno? No, io non posso proprio credere che quella che ho visto sia solo una finzione. Fa qualcosa, Aurelio.” “Io capisco il tuo dolore, è dura anche per me, ma devi sforzarti di accettare la verità, Rosanna, altrimenti farai solo male a te stessa. Moreno è morto e non c’è più nulla da fare.” Eppure mentre lo diceva venne colto dal dubbio. Assurdo, sì, ma effettivamente nella sua ignoranza Rosanna aveva colto un punto. Perché riprodurre le espressioni nel volto degli avatar, se i sensori non erano più collegati ai cervelli che avrebbero dovuto esprimere i sentimenti corrispondenti? Possibile allora che le loro coscienze in qualche maniera… Ma in tal caso avrebbe avuto senso salvarli? Ormai erano stati addirittura seppelliti! Eppure chissà, non poté fare a meno di dirsi, con i prodigi della tecnologia moderna, anche se i corpi non esistono più, magari una soluzione si trova… ma allora se non salvo la sessione di lavoro li uccido per sempre, senza remissione? In quell’istante suonò ancora il cicalino e apparve una scritta. CARICA DELLA BATTERIA: 0. Il computer stava per arrestarsi. Preso da un impulso andò col dito sul tasto “Salva”, pigiandolo nello stesso momento in cui lo schermo si spegneva. Non riuscì a capire se aveva fatto in tempo. *** Ezio e Moreno stavano rilassandosi dopo la dura battaglia, quando udirono un nuovo biiip e nel cielo apparve un’enorme scritta. CARICA DELLA BATTERIA: 0. Poi, tutto si oscurò. FINE e stavolta definitiva. Saluti da Massimo Bianco, con la speranza che abbiate apprezzato.
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