U.N.P. 6

U.N.P. 6

 “VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE

U.N.P. 6 “VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE”

 

N.B. Rendendomi conto che questo terzultimo episodio è forse meno comprensibile dei precedenti, isolato dal contesto, suggerirei ai nuovi eventuali lettori di non affrontarne la lettura senza prima aver letto almeno il primo e il quinto. La mia speranza ovviamente è che li leggiate tutti. Buona lettura.

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 VERSIONE PER E BOOK 

Era in corso la prima guerra mondiale, teatro di brutalità e di sopraffazioni senza limiti. Non ancora disumanizzata come gli ipertecnologici combattimenti moderni, coi loro cacciabombardieri e i missili presunti intelligenti, ma nemmeno più a misura d’uomo come quando i guerrieri scaricavano gli istinti aggressivi in singolar tenzone, la grande guerra sta al guado tra passato e presente.

 A ogni modo fu odiosa, cattiva e sbagliata come ogni conflagrazione, anche se necessaria e inevitabile. Perché non ci sono mai stati, né ci saranno mai, conflitti buoni e giusti, esistono tuttavia conflitti necessari e inevitabili o per meglio dire che la follia e l’avidità umana rendono necessari e inevitabili. La prima guerra mondiale non rientrò in nessuna delle due categorie.

I signori Moreno Piacenza ed Ezio Torregiani, anzi, Piacenzà e Torregianì, in tenuta ed elmetto dell’esercito francese, i fucili con le baionette in resta, erano pronti a uccidere o a morire, insieme a migliaia di povere comparse, in quel carnaio che fu la regina dei combattimenti di trincea. Eppure erano del tutto estranei all’evento bellico, essendo nati sessanta anni dopo il suo termine. A parte il fatto che assurdamente lì non solo loro ma tutti parlavano l’italiano corrente di inizio XXI secolo!

Fino a quel momento avevano assistito o partecipato a una serie inenarrabili di orrori. Gli era ad esempio accaduto proprio il giorno precedente, quando un messaggero era giunto al campo mentre cercavano di starsene il più possibile al riparo dalle pallottole vaganti che ogni tanto stendevano qualche povero fantaccino. Il soldato aveva chiesto al sottotenente che lo aveva fermato di poter comunicare col colonnello ed era stato subito accontentato. I due si erano parlati abbastanza dappresso al nascondiglio di Ezio e Moreno da permettere a costoro di ascoltare: il messaggero riferiva circa la morte di un commilitone, ucciso da una granata mentre procurava le vettovaglie. Non che al tre stellette importasse di un decesso in più o in meno. Gli premevano soltanto le notizie sugli alimenti, da tempo scarseggianti. Non ricevette però mai risposta adeguata, perché l’alto ufficiale e la misera staffetta morirono in una subitanea deflagrazione, dalla cui caligine furono avvolti pure Ezio e Moreno.

Poco dopo, appena il fumo si fu diradato, i nostri eroi ritrovarono i cadaveri in fondo al pendio, praticamente abbracciati e accomunati nella morte. Lo spettacolo era agghiacciante. Al messaggero, privo della testa, fuoriusciva dal collo sangue a garganella, irrorando i cespugli circostanti. Il colonnello invece aveva il ventre squarciato e una terribile smorfia di dolore dipinta sul volto.

Moreno, incapace di abituarsi a tali raccapricci, si sentì male. Allora si voltò, cercando di resistere ai conati, tuttavia ben presto l’erba divenne giallastra del suo vomito. Eppure quando più tardi annunciarono la morte del colonnello a un brigadiere, questi commentò distrattamente che un graduato in più o in meno cambiava ben poco.

I due italiani ora se ne stavano nascosti in una trincea non lontana dalle linee tedesche, in perenne attesa che una bomba gli cadesse sulla testa o che dal quartier generale ordinassero una carica, forse suicida. E non avendo nulla di meglio da fare, in attesa degli sviluppi discutevano a bassa voce.

***

Aurelio e Matteo Delfino guardavano spaventati i corpi inerti ma ancora vivi dei loro amici.

La A.T.L. Informatica, per cui il brillante ingegnere Aurelio lavorava, aveva creato i prototipi del primo avveniristico e potentissimo computer quantico, basato sulla tecnologia biomolecolare, e di un innovativo programma di realtà virtuali basate sulla letteratura.

Purtroppo un violento temporale era scoppiato improvviso e un fulmine si era abbattuto sul computer, mandandolo in corto circuito, proprio mentre i loro ospiti, Ezio Torregiani e Moreno Piacenza, erano collegati al sistema attraverso una complessa serie di sensori e cavi elastici. I due navigatori virtuali avevano perso conoscenza e Aurelio non riusciva a capacitarsene. Con tutti i protocolli di sicurezza presenti, non sarebbe mai dovuto accadere.

L’incidente era avvenuto alcune ore prima, ma solo in quel momento erano riusciti a scollegare dal sistema i corpi inanimati e ad adagiarli sulle barelle. Ora, mentre gli infermieri portavano a termine il proprio compito, Aurelio passeggiava nervosamente avanti e indietro e Matteo se ne stava accasciato su una delle poltrone, le mani sulla faccia, stravolto dai sensi di colpa e invano consolato sia dalla compagna sia dalla bella e solida Rosanna Cremona, l’insegnante ed ex mezzofondista fidanzata di Moreno, prima e fino a quel momento unica familiare che avessero osato avvisare. Eppure la povera Rosanna era perfino più disperata di lui. Stava però dimostrando una forza d’animo eccezionale. Infine l’informatico scosse il fratello e lo sollecitò a seguirli in ospedale.

Matteo levò le mani dal volto e alzò sul congiunto uno sguardo inebetito e gonfio di pianto.

“Sono i miei migliori amici, Aurelio, e sono ridotti così per causa mia e del mio stupido entusiasmo. Se non avessi tanto insistito perché provassero la tua realtà virtuale… non riesco a perdonarmelo.”

“Finiscila, accidenti a te.” – Rispose irritato l’altro – “Guarda che se qui qualcuno ha delle colpe, quello semmai dovrei essere io. Ero convinto che il sistema fosse sicuro, ma mi sbagliavo e sono stato imprudente a portarlo fuori dell’istituto e a lasciarlo usare da estranei.”

Aurelio tornò quindi a dedicarsi al computer, cercando ancora, ma invano, di spegnerlo. E per qualche ignoto motivo il programma continuava a girare: sul maxischermo si vedevano le immagini, vertiginosamente accelerate e a stento distinguibili, di una delle simulazioni presenti in memoria. Beh, decise infine, rassegnato, ci penserò dopo, con più calma, ora non ha importanza.

“Forza Matteo, alza le chiappe da quella poltrona e andiamo.” Esclamò poi, sempre più stizzito.

***

“Le nostre coscienze devono essere rimaste imprigionate nella memoria del computer, mi pare evidente.” – Stava dicendo Ezio Torregiani. – “E veniamo sbalzati da una storia all’altra, porco cane. Noi c’eravamo convinti d’aver sognato sia l’avventura virtuale vissuta a casa dei Delfino sia le due successive, invece ogni volta uscivamo da ciascuna simulazione solo per entrare automaticamente in un’altra e le nostre menti, messe di fronte a degli eventi scioccanti e incomprensibili, rielaboravano i ricordi, interpretandoli erroneamente come dei sogni.”

“Sì, questo lo afferro. Non può essere andata che così. Però la faccenda non mi torna lo stesso. La prima volta ricordo benissimo di essere uscito dal programma di realtà virtuali, averti accompagnato a casa ed essermene andato a dormire. Non ero più dentro quella dannata simulazione, capisci, ero a casa mia. E allora come ho potuto risvegliarmi in Brasile, il mattino dopo?”

“Me lo stavo chiedendo anch’io e credo purtroppo di avere trovato la spiegazione…”

“E allora? Non tenermi sulle spine, sputa fuori.”

“Senti, non hai notato nulla di strano nello studio dei Delfino, quando l’avventura a Castelvecchio è finita e ci siamo tolti il visore a cristalli liquidi e i sensori?”

“Di strano dici? No, no, niente, perché? Cosa avrei dovuto vedere?”

“In effetti neppure io lì per lì ci avevo fatto caso ma, pensaci un attimo, Aurelio e Matteo se ne stavano seduti sul loro vecchio divano di velluto.”

“Sì, certo e con que… o ca…”

“Vedo che ci sei arrivato pure tu. I ragazzi hanno cambiato il divano tre mesi fa. Ero così abituato a vederlo che lì per lì non ci ho fatto caso. Adesso al posto del divano hanno due poltrone in pelle.”

“Sì, hai ragione, però…. da dove è saltato fuori il vecchio divano? Non capisco.”

“Beh, a me pare ovvio, invece. Noi non siamo mai usciti dalla realtà virtuale. Quando siamo emersi nell’appartamento di Aurelio ci trovavamo ancora dentro la simulazione. La casa dei Delfino non era autentica, era una ricostruzione del computer.”

“Eh? E come potrebbe essere? No, proprio non capisco.”

“Perché tu non vuoi capire, Moreno. Quando però ci siamo sentiti al telefono per accordarci sulla seconda visita, Matteo me lo ha spiegato e io te l’ho riferito. Per creare i vari avatar, il programma di realtà virtuale utilizza delle fotografie, no? Beh, Aurelio deve avere inserito in memoria le foto che abbiamo fatto l’inverno scorso in casa sua, quando ancora c’erano il divano e il vecchio lume a stelo, poi sostituiti con le poltrone e quella raffinata bajour in ceramica di Capodimonte raffigurante due angioletti, te la ricordi? Quando siamo riemersi nello studio, i ragazzi erano seduti sul divano davanti alla vecchia lampada e siccome il programma ha in memoria il precedente arredamento, noi dovevamo essere ancora dentro la simulazione. Io credo che deve essersi verificato un incidente nel momento in cui siamo stati sbalzati in avanti lungo la trama di <>.”

“Ma se siamo tornati a casa con la mia macchina!” Insistette Moreno, non convinto.

“Sì, ma quando i tecnici della A.T.L. Informatica hanno inserito in catalogo i racconti di Massimo Bianco ambientati nel savonese, ne hanno approfittato per ricostruire l’intera provincia. Noi quella sera eravamo piuttosto stanchi, siamo proprio sicuri che l’auto era esattamente identica alla tua? Perché a me pare evidente che durante il viaggio di ritorno in macchina dovevamo essere già intrappolati nella simulazione. A casa poi procedevo a tentoni al buio, per non svegliar mia moglie.”

“E non hai notato anomalie. Ok, dev’essere come hai detto tu, ora me ne rendo conto. Per qualche motivo le nostre coscienze sono rimaste intrappolate nella memoria del computer e noi passiamo da uno all’altro dei romanzi in catalogo, a random. Ma perché farci credere di essere tornati a casa?”

“Colpa dei protocolli di sicurezza. Se ho capito bene le spiegazioni di Matteo, un sensore rilevava l’eccesso di stress nei navigatori e interveniva se venivano superati determinati valori.”

“Ma non potendo più farci uscire dalla simulazione, per alleviarci lo stress ha finto la fuoriuscita!”

“Così eccoci ora incastrati nella prima guerra mondiale e va a sapere da che libro sarà ricavata.”

“Visto che mi ci fai pensare… non ne sono sicuro, ma potrebbe trattarsi del <<Viaggio al termine della notte>> di Celine. Ho letto quel libro sette od otto anni fa e non lo ricordo bene, ma la nostra situazione un po’ me lo riporta alla mente.”

“Io invece credo di averne riconosciuto un altro. Quando ci siamo risvegliati in quel luogo pazzesco e per uscire siamo stati costretti a inserire una monetina nella porta d’ingresso, hai presente?”

“E come potrei dimenticarmene? Un incubo assurdo, cazzo. Ricordo come fosse ieri…”

“Oh no, per favore Moreno, risparmiami le tue memorie, che non mi pare il momento.”

“Ok, ok, calmati, volevo solo dire di avere quella follia bene impressa nella mente. Sapevo di essere andato a dormire nel mio letto, dentro la mia casa, ma poi mi sono alzato, sono andato in bagno, ho acceso la luce e davanti a me non c’era il solito lavabo, perché quello non era il mio bagno!”

“E beh, durante quegli avvenimenti provavo uno straniante senso di dejà vu che non mi spiegavo, ma ora ho capito tutto. Alla lunga non potevo non riconoscerlo, perchè è sempre stato uno dei miei romanzi preferiti. Eravamo dentro <<Ubik>> di Philip Dick, un mitico capolavoro fantascientifico, ma la stranezza della nostra situazione, uno sbalzo di trama e il fatto che anche il mio personaggio si fosse consumato benché la trama originaria non lo prevedesse mi ha impedito di capirlo subito.”

“Già, e prima dobbiamo aver vissuto una qualche storia avventurosa ambientata in Brasile e poi un secondo romanzo di fantascienza collocato su un mondo alieno. Il pianeta Regis… terzo, mi pare? “Regis III, esatto. E sarei molto curioso di sapere di quali romanzi si trattava.”

“Ma chi se ne frega! Io vorrei invece che la simulazione non fosse così realistica da permetterci perfino di rimettere, come mi è capitato prima. Ma vomitare cosa, poi? Bit su bit di informazioni?” “Per lo meno non c’è puzza. Te n’eri accorto? Io me ne sono reso conto da un po’. Questo dannato programma non è in grado di registrare gli odori.”

“Sai la consolazione. Dio, non ne posso più, meglio morire definitivamente che continuare così.”

“E se fossimo già morti? Nella memoria del computer sono rimaste imprigionate le nostre coscienze, ma cosa ne sarà stato dei nostri corpi?” Concluse Ezio, con tono assai cupo.

Dopodiché nessuno dei due si sentì più di parlare. Poi qualcosa si mosse nella trincea di fronte.

Perché la trama di Celine procedeva ineluttabile, a parte inspiegabili salti in avanti – e unica via di scampo una dipartita non consolatrice – passando dagli orrori della guerra a quelli del colonialismo africano, dall’inumanità del protocapitalismo statunitense fino ai disagi delle banlieues parigine…

Come disse l’autore di quel capolavoro, “non è letteratura, è vita, la vita così come si presenta. L’uomo è nudo, privo di tutto, anche della fede in se stesso.”

Fine episodio 

 

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