U.N.P. 5

U.N.P. 5
 “DENTRO UN RACCONTO DI MASSIMO BIANCO”

 U.N.P. 5 “DENTRO UN RACCONTO DI MASSIMO BIANCO”

N.B.Il racconto, 5° di 8, è  autonomo e autoconclusivo, tuttavia chi desiderasse leggere qualcuno degli episodi precedenti, gli converrebbe forse a farlo prima di leggere questo, perché altrimenti si perderebbe buona parte del mistero. M.B.

VERSIONE PER EBOOK

La “A.T.L. Informatica” aveva realizzato il primo computer quantico, un sofisticato ibrido tra chip elettronici e componenti biomolecolari, dotato di enorme capacità di memoria e di un potentissimo processore. Per cominciare a sfruttarne le possibilità, aveva inoltre creato un programma di realtà virtuali, che avrebbe permesso di rivivere trame letterarie in maniera così realistica da farle sembrare esperienze autentiche. 

Ezio Torregiani e Moreno Piacenza, ospiti di Aurelio Delfino, principale artefice dell’invenzione, e del suo fratello minore Matteo, stavano per riprovare il prototipo installato nello studio di Aurelio.

 

“Ma stavolta scegliete un racconto breve, che domani mi alzo presto.” Si raccomandò quest’ultimo.

“E poi li sentite i tuoni, ragazzi? Sta per scoppiare il temporale ammazza estate.” –  Aggiunse allegramente Matteo. – “Se aspettate troppo ad andarvene finisce che v’inzuppate.”

Nel catalogo delle realtà virtuali erano presenti i racconti degli scrittori del sito letterario Neteditor preferiti da Matteo. Una short story, dunque. Dei 25 dvd realizzati, 20 ricreavano romanzi, mentre gli ultimi cinque erano dedicati ad altrettanti autori di Net: GIULIA 75, MASSIMO BIANCO, RUBRUS, SCRIBAK e STARSKY. Costoro apparivano con sei testi ciascuno, scelti non tanto perché superiori agli altri ma perché ritenuti più movimentati e quindi più adatti alla realtà virtuale.

 

“Vediamo un po’, “Pericolosi ronzii”,  “Il cuore nero di Lucca”, “Stagione di caccia”, “Erba cattiva”, “Bondel”, “Boom”, “Buon Natale 1-2-3”, “Fiamme”… boh? Non conosco né titoli né autori.” Brontolò Moreno, incertissimo.

 

“Forse sarebbe meglio leggerli tutti per poter decidere qual è meglio.” Disse Ezio.

“Sì, rinviando la navigazione a un altro giorno, però! Facciamo così, se permettete scelgo io, ok? …Bene, allora propongo Massimo Bianco, che è nostro concittadino. Magari una delle sue storie ambientate qui in provincia di Savona e che ci hanno permesso di ricostruirla quasi per intero.”

“Ah, d’accordo, vada per ‘sto Bianco. Così verifichiamo l’accuratezza delle ricostruzioni.”

Montarono dunque sulla pedana, indossarono i visori e le tute coi sensori che collegavano il pc al cervello, s’imbracarono coi cavi elastici per sorreggersi ed entrarono nella simulazione.

Un tizio snello, di media statura e dal volto oblungo, occhiali fotocromatici in plastica e capelli piuttosto lunghi, con indosso una felpa marrone e jeans neri, li attendeva davanti a una libreria bianca e arancione. Si presentò: era l’autore, o meglio, il suo avatar. Torregiani e Piacenza risposero affascinati al saluto, faticando a considerare l’uomo dinanzi a loro come un’immagine virtuale. Su sua esplicita richiesta chiesero poi di visitar uno qualsiasi dei suoi racconti ambientati nel savonese.

 

Ok, allora vi apro “Non entrate dentro il borgo”. Non mi sembra che abbiate mai visitato la mia creazione prima d’ora. Se volete posso farvi da guida, cosa ne dite?” Aggiunse Bianco, elargendo a fine discorso un bel sorriso che gli addolcì per la prima volta l’espressione. Gli avatar degli autori erano stati creati apposta per fungere da Virgilio, se gli utenti lo avessero desiderato.

 

“No grazie, ci arrangiamo da soli.” Disse Ezio, senza esitazione.

“Bene, dato che vi sentite bravi, meglio così, fatica risparmiata.” – rispose Bianco con tono aggressivo. – “Spero che non vi perdiate parte degli avvenimenti. Se però vi trovaste in difficoltà io non ho nulla da fare, quindi sarete liberi di contattarmi, usando il pulsante sulla destra del visore.”

“Grazie. Ahem, ora scusaci, ma abbiamo una gran voglia di visitare il tuo racconto.”

“Una sola? Allora non dovete essere poi così entusiasti, altrimenti avreste avuto almeno tre grandi voglie di visitarlo, no? Beh, arrivederci.” Pronunciata questa battutaccia girò sui tacchi e si dileguò.

“Tipo spiccio e assai diretto nel dire quanto gli passa per la mente, eh? Hai notato che solo lui usa nome e cognome veri? Tra l’altro credo di averlo visto per Savona, con quei capelli lo si ricorda.”

“Sì, va bene, sarà come dici tu, ora però non perdiamoci in chiacchiere, che il tempo stringe.”

Avanzarono di due passi e si ritrovarono in Albenga, attiva cittadina del savonese, in una frizzante giornata tardo autunnale. Il cielo era azzurro e il sole prossimo allo zenit. S’incamminarono lasciandosi alle spalle gli ultimi edifici moderni ed entrarono nel centro storico. Alla loro sinistra sorgevano degli esercizi commerciali. Moreno riconobbe un negozietto di prodotti tipici del posto, in cui una volta aveva acquistato i baxin, deliziosi dolcetti che per l’aspetto ricordavano gli amaretti. Restò qualche istante a guardarne, stupefatto, l’interno. Era proprio come se lo ricordava, gli pareva perfino di riconoscere il commesso. Sulla destra invece sorgevano la cattedrale dell’XI secolo e tre possenti torri con finestre a bifore. Alle spalle della chiesa s’intravedeva il battistero del V secolo, il più prezioso monumento antico ligure, dove è conservato l’unico mosaico bizantino presente nell’Italia peninsulare al di fuori di Ravenna. Più avanti si ergevano compatte case torri nobiliari medioevali ed eleganti palazzi cinque e seicenteschi. Percorsero ammirati le strade del centro storico, sembrandogli di trovarsi davvero lì, del tutto dimentichi di indossare la tuta e i visori. D’altronde uno dei sensori a cui erano collegati desensibilizzava il cervello proprio a tale scopo.

***

I fratelli Delfino sedevano nelle nuove poltrone in pelle dello studio, illuminati dall’elegante lume di Capodimonte posto sul tavolino tra i due sedili, e da lì osservavano gli amici affrontare la simulazione. Certo era curioso vederli muovere sulla piattaforma, con la tuta sensoriale indosso, imbracati ai cavi elastici che li sorreggevano, e sentirli parlare come se si trovassero altrove. Ma attraverso il maxi schermo da 50 pollici collegato al computer, potevano pure seguire gli apparenti movimenti dei loro avatar in jeans, magliette e giubbe virtuali, per le vie della finta Albenga.

***

Ezio e Moreno sbucarono nella piazzetta del municipio, in cui sorge la turrita palazzina ospitante il museo navale romano e si diressero ai tavolini all’aperto d’un bar, desiderosi di scoprire l’effetto prodotto dalle bevande virtuali, quando un uomo gli uscì incontro dalla vicina agenzia immobiliare.

“Buon giorno signori, siete puntualissimi. Prego, accomodatevi.” Esclamò costui, rivolto a loro.

I due restarono un momento sconcertati, poi capirono che il programma doveva prevederlo affinché potessero affrontare l’avventura prevista ed entrarono nel negozio.

“Dunque, se ben ricordo, al telefono dicevate di voler acquistare un alloggio nella vicina Castelvecchio. Ho ciò che fa per voi… Ecco qua, ingresso a sala, cucina abitabile, salotto, due camere, bagno e soffitta.” Disse lo pseudo agente immobiliare, aprendogli la piantina sul tavolo.

“Ah, sì, ecco, interessante.”

“Bene, allora chiudo il negozio e vi accompagno a visitarlo. La mia macchina non è lontana.”

Ezio e Moreno uscirono nella piazza e attesero il loro interlocutore. Questi stava abbassando la saracinesca, quando i due amici per alcuni istanti si sentirono mancare e quindi si ritrovarono in uno stretto vicolo in salita, ignoto. L’agente immobiliare era sparito e non era nemmeno più mezzogiorno. Il sole era basso all’orizzonte, prossimo al tramonto e l’aria si era fatta più tiepida.

***

I fratelli Delfino si alzarono di scatto dalle rispettive poltrone, spaventati. Matteo si portò le mani ai capelli. Aurelio si precipitò verso la pedana. Intanto fuori dalla finestra infuriava il temporale.

***

“Ehi, ma cosa diavolo è successo?” Chiese Moreno, osservando, perplesso e stordito, i dintorni.

“Sarà stato un difetto del programma. In fondo è ancora in fase sperimentale.”

“Ma lo sai che adesso le immagini sembrano diventate addirittura più nitide?”

“Hai ragione. Si vede che prima il programma non funzionava al 100% delle sue possibilità.”

“Non capisco dove siamo finiti, però. Non mi sembra di essere ancora ad Albenga.”

Ezio si guardò intorno. In effetti non si trovavano più in un grande centro ma in un piccolo borgo. Nei pressi sorgevano casette d’aspetto venerando. Il carruggio s’inerpicava ripido davanti a loro, fino a sfociare ai piedi di un castello, abbarbicato tra le rocce alberate sulla vetta della collina.

“Questa è Castelvecchio di Rocca Barbena. Abbiamo fatto un balzo in avanti nella trama, credo.”  Dopo qualche esitazione s’incamminarono lungo il carruggio, salendo verso il castello, ma poco prima di raggiungerlo una coppia uscì da un ingresso e li invitò a casa loro.

Si trattava di due persone dell’apparente età di quaranta anni, lui pallido e grassoccio, lei assai più asciutta, che si presentarono come Romolo e Anna Re, i loro vicini.

Moreno si bloccò all’entrata e fissò, basito, l’ambiente. Era quanto meno strano che l’arredamento della saletta d’ingresso fosse identico a quello della sua stanza da pranzo. Gli sembrava addirittura di trovarsi a casa propria! Poi lui ed Ezio entrarono e la porta sbatté con violenza, ma non se ne preoccuparono, doveva trattarsi d’una corrente d’aria. Ebbero però appena il tempo di compiere altri due passi dentro l’abitazione, seguendo i padroni di casa, che il pavimento si sollevò a formare un’onda e Torregiani, Piacenza e i coniugi Re caddero a terra.

Gocce acidule iniziarono a piovergli addosso dal soffitto. Ezio posò la mano sul pavimento per far perno ma, con sua profonda sorpresa, s’incastrò nel terreno per poi iniziare ad affondarci dentro. L’ennesimo gocciolone gli cadde sul braccio. Nel punto colpito la carne prese a squagliarsi. I Re intanto urlavano terrorizzati. Pur sapendo che nulla era reale, provò paura.

“La mano si è rammollita e mi si è incastrata. La pelle mi brucia, cazzo.” Esclamò, la voce incrinata dall’emozione, dibattendosi invano nel tentativo di liberarsi.

“Sto male, Ezio… è doloroso… in che razza di trama siamo finiti? La prossima volta scegliamo una storia che abbiamo letto, per favore.” Rispose Piacenza, la voce in parte coperta dalle grida dei Re.

“Ah, o merda, non credevo che nella simulazione si provasse dolore.”

“Sì che si prova, Matteo l’ha detto, ma i protocolli di sicurezza l’attenuano… strano, ho sonno.”

“È vero, il dolore sta passando, ora sento solo un po’ di fastidio, eppure continuo ad affondare dentro la parete. Questa belin di casa ci sta assorbendo e la sensazione non mi piace per niente. Ehi, ma mi ascolti Moreno?… non ti stai mica… addormentando? …Moreno, rispondi… sarà svenuto?”

Ezio Torregiani fissò i Re e l’amico, ora immobili, i corpi mezzo sciolti in via di sparizione dentro il pavimento. Si sentiva sempre più stordito e assonnato. Era pieno di graffi e gamba e fianco destro affondavano mollicci nel pavimento. Alzò lo sguardo e vide distintamente l’ennesimo gocciolone staccarsi dal soffitto e precipitare fino a schiantarsi sul suo naso. Una stilla gli entrò in bocca. Era vagamente acidula. Il suo stordimento s’accentuò, non sentiva più dolore e gli veniva sonno. Spalancò con uno sforzo gli occhi e si guardò intorno. Le pareti e il soffitto incombevano su di lui. Si muovevano, ondeggiavano, parevano respirare. Gli rammentavano… uno stomaco, visto dall’interno. Sopraffatto dall’angoscia non riuscì più a connettere. Una lacrima gli si formò dall’occhio sinistro e scivolò lungo la guancia. Infine perse i sensi e poco dopo morì.

Ezio batté più volte le palpebre. Era di nuovo imbracato dentro la tuta sensoriale, nello studio di Aurelio Delfino, il quale gli si era accostato e lo fissava con un’aria vagamente preoccupata.

“Tutto bene ragazzi? Mi sembrate sconvolti.”

“Sì, sì è fantastico. Mangiato vivo dalla casa. Sembrava tutto vero, cazzo.” Rispose Ezio, entusiasta.

Aurelio si riaccomodò soddisfatto nel divano di velluto da cui aveva seguito col fratello l’evolversi del viaggio, stagliandosi sotto il cono di luce della vecchia bajour di metallo a stelo posta alla sua sinistra, che ne rimandava l’ombra sulla parete opposta. Intanto era ormai l’una e venti. Gli amici si accomiatarono, montarono nell’auto di Moreno e, tornati alle proprie case, andarono subito a letto.

Moreno si svegliò con la spaventosa impressione di essere stato digerito dalla casa aliena. E non la sera precedente, ma appena una manciata di minuti prima! L’assurdità dell’erronea sensazione temporale lì per lì lo confuse, poi però capì: Aveva sognato. Una volta addormentatosi, la sua mente doveva aver rielaborato l’esperienza trasformandola in un incubo, molto vivido, per giunta. 

 

Si sentiva indolenzito e infreddolito, come se avesse dormito all’addiaccio. Scostò la coperta che lo riparava, si alzò e restò stupefatto. Si trovava davvero all’aperto, circondato da decine di dormienti e da altrettanti cavalli impastoiati nei pressi! Ma perché non era a casa sua? E per quale demenziale motivo quel luogo gli ricordava il sertao brasiliano? Non se ne capacitava proprio.

 Fine dell’episodio

 

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