Un’etichetta a tutti i costi

Un’etichetta a tutti i costi

 

Un’etichetta a tutti i costi

Mauro Cosmai *

 Una delle maggiori pseudovalorizzazioni sociali riguarda l’abbigliamento firmato, che nei toni più esasperati rappresenta un significativo esempio della psicopatologia di massa. Non vi sono soltanto genitori rassegnati (e svenati), anche altri adulti non sfuggono a queste regole spietate che li vedono sempre più preda di prezzi assurdi e abbigliamenti che arrivano tranquillamente al ridicolo. Viene da chiedersi in effetti se sia più preoccupante questa tendenza negli adulti o nei più giovani, e potremmo immediatamente rispondere che la materia diventa incandescente quando si tratta dei giovanissimi, vale a dire nella fascia d’età compresa all’incirca tra i dieci e i quattordici anni, dove gli interessi in effetti dovrebbero essere orientati verso altri oggetti e loro funzioni piuttosto che verso un’etichetta e una firma che dovrebbero posizionarli socialmente (sic).

Cosa spinge comunque ad acquistare capi d’abbigliamento marchiati, anche se questi, il più delle volte a parità di condizioni qualitative, costano molto di più? Viene da rispondere subito che è il desiderio di seguire la moda al fine di distinguersi, argomentazione schizoide poiché queste scelte sortiscono implacabilmente l’effetto contrario, laddove arriva a distinguersi proprio chi non segue  gli ultimi dettami delle mode, anche le più patetiche, che si avvicendano regolarmente.

La mancanza di ogni senso critico sforna nugoli di ragazzini vestiti in modo pressoché identico ma salda in ogni singolo componente del gregge la certezza di essere originale, unico, a dispetto di ogni logica e di ogni ottica. La realtà però è meno frivola di quanto si pensi: un esame attento del fenomeno evidenzia un’aspirazione vacua e sterile a differenziarsi, a “elevarsi” ma senza gravami, senza alcun impegno.

Il possesso di “prestigiosi” capi d’abbigliamento e relativa ostentazione dovrebbe insomma vidimare un positionning sociale valorizzante prima che corrispondente ai propri (eventuali) gusti; ma se non si osservano le regole imposte dall’alto (del marketing) c’è solo l’anonimato, se non l’esclusione.

Occorrerebbe dunque prendere atto di queste “deformazioni” specie riguardo i più giovani. Un bambino non dovrebbe delegare la sua affermazione personale al possesso  di determinati oggetti o indumenti che non è comunque in grado di scegliere criticamente. Genitori e adulti avrebbero il dovere di indirizzare su scelte più consone alle caratteristiche dell’età.

Ma come pretendere dall’adulto un’azione critica (o perlomeno ragionevole) se questi per primo non è in grado di valutare con sufficiente maturità i termini della questione?

Ultima considerazione per giudizi e pregiudizi nei confronti di quei (sempre) pochi che sono fuori dal coro: creare odiose e gerarchie fra bimbi oltre che spregevole è l’antitesi di ogni valido processo formativo.

   * psicoanalista – sessuologo

 

   (docente universitario)

 Gli aforismi di Mauro Cosmai

 

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